Libri a Colacione 4 novembre 2017

Libri a Colacione 4 novembre 2017

Tornano i Libri a Colacione, la rubrica dei libri di Tutto Esaurito su Radio 105! Ecco i BookBlister consigli della settimana: Questa casa non è un hashtag di Alessandro Curioni (Mimesis) e La madre di Eva di Silvia Ferreri (Neo Edizioni).


Vuoi ascoltare la puntata? Ecco il podcast!


QUESTA CASA NON È UN HASHTAG
di Alessandro Curioni, Mimesis, p. 152

QUESTA CASA NON È UN HASHTAG Alessandro Curioni Mimesi

Genitori e figli devono capirsi (almeno un po’) per poter comunicare. E una cosa che i genitori spesso faticano a comprendere è perché i loro figli passino tutto il proprio tempo con lo smartphone in mano (anche se moltissimi genitori fanno altrettanto).

Il punto? Per un ragazzo lo smartphone non è un accessorio, è lo strumento per essere in contatto e per comunicare. Senza, è come se non avesse le braccia o la voce.

Lo strumento tecnologico, di solito uno smartphone, oppure un tablet e un pc è in realtà una estensione di ciò che sono. Da anni le ricerche affermano che i giovani vivono il loro telefono come una droga, personalmente credo sia come dire che l’uomo ha sviluppato una grave forma di dipendenza dalle sue braccia.

Lo smartphone è anche un potente aggregatore di emozioni e attività. Basta pensare ai “ragazzi di una volta”, quelli nati prima della rete: tornavano a casa da scuola e accendevano la tv, dopo un po’ ecco lo strillo di mamma: “Spegni e fai i compiti!”. Accendevano la radio, strillo di mamma, e dopo qualche compito veloce facevano una telefonata all’amica; altro strillo di mamma, altri compiti, e poi videogiochi, il film… adesso, tutto questo mondo di possibilità e attività sta dentro un cellulare.

Il problema è ciò che i ragazzi trovano mentre comunicano, si tengono in contatto, si divertono e informano. Perché un ragazzo, se attraversando la strada vede una macchina che non rallenta, si blocca e percepisce un pericolo. Ma questo senso si allerta, in rete, non c’è mai o quasi mai. E invece i rischi esistono.

Alle volte li ignorano persino i genitori che dimenticano o, peggio, non sanno che per stare sui social network si dovrebbero avere almeno 13 anni, che un ragazzino non potrebbe neppure avere un contratto telefonico (l’età minima dovrebbe essere 15 anni e per intestarsi una Sim serve la presenza del genitore ma diverse “card” sono vendibili dagli 8 anni in su) e che esistono social come ThisCrush nati per dolci dediche d’amore anonime e poi trasformati in una palestra di bullismo feroce.

Tuttavia lo strumento gli apre le porte di un Altro Mondo e voi dovreste sapere che non sono pronti, anzi, sono biologicamente inadatti (come ogni essere umano del resto) quindi non sarà l’istinto a evitargli i guai, ma la conoscenza.

Perché vale la pena leggere insieme con i propri figli questo libro: perché non bacchetta i millenials, né fa terrorismo psicologico parlando di rete ma dimostra, per esempio, che il mondo non è poi così cambiato è solo traslocato dentro alla rete, cioè la rete è un posto con delle regole e dei pericoli che vanno conosciuti. È un libro che non giudica ma osserva, cerca di capire perché l’obiettivo di un genitore è, sempre, guidare, proteggere e amare.

LA MADRE DI EVA
di Silvia Ferreri, Neo Edizioni, p. 195

La madre di Eva Silvia Ferreri Neo

Questo libro si apre con una mamma in sala d’attesa. Una madre che, più aspettare, è una presenza. Lei c’è. Lei tiene il punto. Lei è lì per dimostrare a sua figlia che la ama.

Capiamo presto che si tratta di un ospedale e che sta avendo luogo una operazione. Di cosa si tratta? Non è tanto ciò che sta accadendo ma ciò che rappresenta: una trasformazione. E quando si assiste a un cambiamento è inevitabile domandarsi: perché sta accadendo?

Non mi senti e non mi vedi ma sono qui. Non ti lascio. Ho promesso che ci sarei stata fino alla fine e sono qui. Ti ho portato in capo al mondo a farti smembrare come un agnello sacrificale e resto con te fino al compimento di questo sacrificio estremo. Fino a quando tu non sarai più tu e al posto tuo ci sarà una persona nuova.

C’è una donna che ripercorre la sua storia in sala d’attesa. Rievoca i piccoli e grandi passaggi che l’anno portata da donna all’essere una mamma. Capiamo che cosa significhi davvero per lei tutto questo. Il desiderio, la gioia ma anche il timore di commettere degli sbagli, piccoli e grandi, sbagli che magari potrebbero aver prodotto crepe, cambiamenti, disagi. Che avrebbero potuto anche impedire a sua figlia di accettarsi. C’è anche la vergogna di madre che sa di non aver accettato e, spesso, di essersi vergognata.

Non dicono più nemmeno la madre di, semplicemente la madre. Sono sola, ho scelto di percorrere questa strada senza nessuno. Ho scelto di portare questo peso con te, perché tu sei mia e sei sempre stata mia e se un errore abbiamo fatto, l’abbiamo fatto insieme. Non leggo, non parlo con nessuno, non ho la forza. Aspetto e seguo pensieri che arrivano a onde, poi si fermano, poi tornano.

Perché Eva è stata una bambina diversa da come lei aveva immaginato ed è cresciuta in modo diverso. Eva voleva essere un’altra lo ha desiderato tanto che adesso lo sta facendo, adesso sta cambiando.

Pensavamo di essere preparati. Ma un conto è leggerlo sui libri e parlare con qualche psicologo; un altro è prendere un volo, un taxi, un albergo per andare a incontrare il carnefice di tua figlia, per sederti davanti a uno che ti spiega per filo e per segno come taglierà la tua bambina in dieci parti buttando via qualcosa e riadattando il resto.

E intanto l’operazione procede. Ci vogliono sette o otto ore così le hanno detto i medici. E mentre attende vengono fuori ricordi che parlano di incomprensioni, risentimenti… e poi ci sono le domande, prima tra tutte: è la cosa giusta? È bene accogliere, capire o opporsi? Perché c’è la paura, anzi il terrore, di non saper riconoscere uno sbaglio, sapendo che non sarai tu a farlo, ma tua figlia e che questo errore – se è davvero tale – potrebbe avere delle conseguenze devastanti nella vita di questa persona che ami e che hai messo al mondo e che adesso stai facendo rinascere una seconda volta.

Ho chiuso le mani sulle tue, ho guardato il tuo corpo per l’ultima volta. Così come te l’avevo fatto. Speravo bastasse. Le madri sbagliano sempre. Io evidentemente di più.

Un monologo davvero toccante che parte dal presupposto che ci fa un po’ paura: le madri sbagliano sempre. Ma alcune sanno esserci anche quando dentro a una sala operatoria c’è la loro bambina, che ormai è una donna di diciotto anni, che ha deciso di cambiare sesso.

Ti sei innamorato di un libro? Scrivimi a info@bookblister.com e raccontami perché è speciale e diventerà il prossimo BookBlister consiglio!

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3 Comments

  • Ho ascoltato (in radio) e letto (qui). Mi è molto piaciuta l’idea di libro “accogliente”… Nessuno lo aveva mai detto di uno dei miei scritti ed è molto… Bello. Grazie.

    • Alessandro, lo è! Perché da tecno-appassionata e da mamma, mi piace chi mi mette nella condizione di capire, chi mi fornisce dati e informazioni, e strumenti. Senza visioni apocalittiche. E poi cercare di capire i ragazzi dovrebbe essere anche un po’ il nostro lavoro di educatori… quindi, sì, accoglie!

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