Stavolta non parlerò di editoria né di libri, ma anche questa è una storia. Purtroppo, è vera.
È il 21 dicembre 2012 e per le 11.11, ora italiana, i Maya hanno previsto la fine del mondo.
Alle 12 io me ne sto seduta al pc, senza realizzare lo scampato pericolo. Ho troppe rogne, una miriade di mail cui rispondere e devo pure ritirare un pacchetto da una signora speciale che mi ha organizzato una festa speciale.
E così mollo tutto, ché l’aria natalizia è insidiosa e corrompe la voglia di fare. Saluto mia figlia, la tata ed esco.
Alle ore 12.21 sono con Anna, la signora speciale, nel suo splendido ufficio che si affaccia sul verde, ha i colori della gioia e tante foto di promesse. Chiacchieriamo di piacevolezze e altre amenità. Ho voglia di vacanza. Pure lei. Ho voglia di giornate un po’ noiose, di tempo che scorre lento da sprecare di giorno dormendo e di notte rimanendo svegli a leggere.
Suona il telefono. Sul display compare il nome della tata, immagino le solite domande su pappe, nanne e pannolini. Qualcosa che non si trova, un contrattempo.
Rispondo e lo sento, subito: un urlo, feroce. Ha solo picchi e non si concede tregue. E anche se è trasfigurato, in quel suono riconosco il pianto di mia figlia. La voce della tata arriva dopo, incespica, biascica: bruciata, pastina…
Non capisco niente ma capisco tutto.
Anna cerca di rassicurarmi al volo, perché in effetti è quello che faccio: volo, corro come se non avessi fatto altro tutta la vita. Da dove mi trovo a casa mia c’è un chilometro e mezzo almeno. È quasi Natale, il traffico è il solito puzzle di macchine, un taxi non lo troverei mai… perciò corro. E mentre lo faccio, mi sento male, e chiamo mia madre. Ho bisogno che mi dica che non è successo niente e pure di respirare perché altrimenti muoio per strada. Corro e ansimo al telefono. Però lo so che è successo qualcosa di terribile e così chiamo anche mio marito. Mi viene in mente che alle due ha un appuntamento in zona e allora cerco di simulare un tono umano, perché non voglio terrorizzarlo, soprattutto se non è nelle vicinanze. Mi dice che è sotto casa e allora gli urlo di lasciare la macchina e correre su, di correre, correre come un pazzo. Come me. Rallento perché non ce la faccio e penso – scema! – che se avessi problemi di cuore, starei insieme allo sporco sul marciapiede.
Quando arrivo all’ascensore, ringrazio Dio che sia occupato, non lo voglio vedere cosa è successo. Adesso posso ancora raccontarmi la bugia che tutto sia come prima. Come alle 12 del 21 dicembre 2012.
Spalanco la porta e raggiungo il salotto. Mio marito parla al telefono, l’ambulanza sta arrivando mi dice. O me lo urla, non lo so.
Mia figlia è nuda, in braccio alla tata. Sembra svenuta. La pelle dal viso fino al pancino è paonazza, sollevata. I brandelli, penzolano come un bavaglino… le manine e le dita sono gonfie. La prendo in braccio e comincio a ninnarla e lei chiede di me, del ciuccio, di Brunetto il suo orso. Mi spaventa perché non grida, non piange. Lo dice piano. Come se stesse per addormentarsi.
Mi viene in mente – altro pensiero scemo – che in tutti i libri, nelle mille storie che ho letto, quando si parla di un incidente, tutto sembra succedere in fretta.
A me non capita. Oggi non si fanno sconti.
Il tempo si srotola preciso e non smarrisce alcun dettaglio: l’attesa dell’ambulanza; i cinque angeli che ci hanno soccorsi e aiutati; le prime cure sul letto, una vena che gioca a nascondino, il copriletto azzurro che si macchia del sangue di mia figlia; la corsa in ambulanza con le braccia che mi fanno male, perché la mia piccola è piccola ma pesa; la paramedica che mi asciuga le lacrime e mi rassicura, mentendo, ma io le voglio credere e faccio finta che davvero andrà tutto bene e, sì, la scottatura è lieve; le prime cure in pronto soccorso; l’anestesia, garze e bende; numeri che non capisco (come sempre); percentuali; profondità; spessori parziali; il miracolo di un letto libero in un centro per grandi ustionati che ne ha solo dieci (dieci!). Scoprirò solo più tardi che Lorenzo oggi è uscito e ha fatto posto a mia figlia.
Grazie, Lorenzo.
Chi sta in questo reparto non può permettersi il lusso del mondo, perché il mondo è contaminato. E le infezioni, per un ustionato, sono un rischio intollerabile. Meno persone entrano, meglio è, e lo stesso vale per le cose. Si deve contrattare per un giocattolo, per un tablet che aiuta a distarsi dal dolore, dal prurito della pelle impazzita con il ph ballerino. Dai lamenti degli altri ammalati. Si contratta e si disinfetta. Si indossano copriscarpe, cuffia, camice, mascherina e alle volte vorresti pure tappi per non sentire e un paraocchi per non vedere. Perché ciò che ustiona deturpa.
Mi viene in mente Antonio. Mai un fiato, un accenno di fastidio, sempre sereno, sempre pacato. Eppure è quasi arso vivo dentro a un container. Luigi, il nonnino del reparto che invece grida tutto il tempo e se mia figlia piange, urla più forte. E qui che lo capisco per davvero: l’inizio e la fine della vita sono identici. Solo che se sei piccolo fai tenerezza, se sei vecchio pena. E poi c’è Sergio che ha perso il senno, lui gran lavoratore costretto a letto, e così bestemmia e cerca di scappare e non ci dà pace. La mamma e le sue gemelline, due su tre con questa diabolica e oscura malattia per cui la pelle è in rivolta e si scolla, letteralmente.
Nessun malato sa per quanto ne avrà e non lo sanno neppure i suoi cari. Ci vogliono diversi giorni per scoprire di che grado è una bruciatura. Perché il calore procede, si fa strada nella cute e ancora più sotto. E per capire, bisogna aspettare. La pelle è un organo stupefacente, geniale ma pure bizzoso: accetta le cure, le rigetta, reagisce in modo abnorme, non collabora affatto… e così chi sta in sala d’attesa a caccia di esiti ha la sensazione di giocare a dadi. Primo, secondo, terzo grado, trapianti, auto-prelievi. Si galleggia nel dubbio e si affonda a ogni cattiva notizia.
Un giorno, invece di scrivere, vorrei fare qualcosa di più concreto per chi sta vivendo tutto questo (e forse ci stiamo riuscendo). Per chi dorme sulle panche. Va avanti a caffè delle macchinette. Non si lava per giorni. Perché chi assiste non si può permettere il lusso del lamento, deve sostenere, essere forte. Un giorno spero di essere utile, nel frattempo chiedo a voi di fare qualcosa per me:
– dimenticate fumenti o suffumigi. Lasciate perdere qualsiasi cosa che preveda un pentolone di acqua bollente. La maggior parte dei pazienti, grandi e piccoli, arriva in un centro ustioni per questo. Mettereste il vostro bambino davanti a dell’olio bollente?
– Lasciate perdere i fuochi d’artificio. Quelli che ho visto entrare l’anno scorso avevano tutti qualcosa in meno. Dita, occhi… pelle. I fuochi non erano illegali, nella maggior parte dei casi erano certificati e a norma.
– Un bambino in cucina non dovrebbe starci. Noi genitori ristrutturiamo gli spazi a misura di cucciolo, erigiamo barriere, smussiamo gli spigoli, mettiamo fermi alle finestre, blocchi ai cassetti, placche per coprire le prese e non badiamo troppo ai fornelli. Ci sono degli aggeggi brutti e ingombranti che si chiamano proteggi fuochi e che a me avrebbero cambiato la vita. Pensateci.
Oggi 21 dicembre 2013 è passato un anno esatto, ce la siamo cavata.
Brucia ancora, però.
P.S. Grazie al centro grandi ustionati dell’ospedale Niguarda. Grazie alla dottoressa Lasagna che ha fatto un prelievo di pelle con tocco fatato. Grazie alla dottoressa Citterio, che ha seguito momenti terribili e miglioramenti e, come la Bibbia prescrive, il suo parlare è stato: “Sì, sì; no, no” perché i genitori si meritano il rispetto e la verità. Grazie agli infermieri, quelli bravi e quelli no.
32 comments
Chiara…
Un bacio grande 😉
La cosa bella è : che è passata, che insieme e felici festeggerete Natale, e che con il passar degli anni il brutto Natale sarà sempre un ricordo lontano, anche se brucia sempre un po’. Auguri Chiara, un bacio grande!
Cara la mia Tina! Se anche la pelle dimenticherà, sarà una meraviglia! Un bacio immenso,
Chiara
…grande rispetto per il tuo dolore, per il vostro. Se fossi un editore vorrei la voce del tuo racconto così diretto e semplice in un libro da diffondere come un virus. Bellissima testimonianza.
Nadia, un abbraccio di cuore!
Grazie
Grazie per aver condiviso con noi la tua storia Chiara.. Un bacio grande alla piccola Vittoria che è stata forte come una roccia. Un bacione alla tua famiglia e buon Natale!
Cinzia,
non scrivo mai… stavolta ne sentivo il bisogno!
Un bacio e buon Natale,
Chiara
Carissima Chiara, grazie per aver condiviso questo momento di catarsi. Buone feste a te e alla tua famiglia 🙂
Catarsi, esatto! Stavolta ci voleva proprio.
Un bacio grande e buone feste a te!
Ciao Chiara,
ho letto con le lacrime agli occhi…un racconto bellissimo, che avrei preferito non leggere, e certamente tu non scrivere. Dai che il peggio è alle spalle, un abbraccio a te e alla piccola e forte Vittoria, buon Natale!
Tomas
Il peggio stavolta vorrei solo fosse utile, per evitarlo, e godersi solo il meglio.
A presto, Tomas, e tanti auguri, buon Natale!
Sapevo, ma ritrovarti tutta nella storia della strada (perchè non sapevo invece dove fossi al momento dell’incidente) ha aggiunto un tassello alla pena. Chiara Chiara quanto ho pregato per voi.
Lo so. Si sentiva… Bacio grande, grande.
Chiara grazie per avere condiviso con noi questa parte della tua vita. Mi hai fatto venire i brividi come mamma e come scrittrice. Il ricordo brucerà per sempre ma per fortuna la tua bimba splendida e coraggiosa è con te ❤
Cara Diana, la piccola in effetti è una tigre! Un super abbraccio! E grazie a te…
Vi abbraccio con affetto, Chiara.
Sara, un bacio a te. E buon Natale!
Un grande abbraccio, Chiara.
Uno doppio per te! Buon Natale, Romano
Rileggerti – è passato un altro anno, ma come sta ora Vittoria? I progressi ci sono lo so – è sempre penoso, lo sarà anche nel 2015 2016 2020 ti abbraccio
I progressi ci sono. Le cure sono rognose. Le cicatrici pure… adesso mi sto scornando con la burocrazia, vorrei portare una cura che all’estero c’è ed è la norma, e da noi è il solito miraggio. Vedremo!
Un abbraccio grande a te 😉
Ciao Chiara, sono diventato da poco papà e la tua storia mi ha fatto riflettere su quanto possa essere pericolosa una casa e a quante cose dovrò sistemare prima che la mia piccolina inizi a camminare. Un abbraccio a te e alla tua piccola grande bimba!
Ciao Gianluca!
Nessun allarmismo, però, la casa è un nido. Ci protegge! Congratulazioni per la vostra piccolina e buon Natale!
Chiara
Ciao Chiara, sono qui con le lacrime agli occhi. Non sapevo niente di questa cosa. Da mamma a mamma, un abbraccio grandissimo. E niente, un pensiero a tante mamme e bimbi, e mi fermo qua perché non voglio essere patetica.
Ciao Serena, grazie per il commento. Sono passati tre anni e va molto meglio! Quello che conta è che succeda il meno possibile… e mentre stiamo lavorando per aprire un centro che aiuti a curare le cicatrici con un trattamento molto speciale, l’unico modo per fare qualcosa è parlarne. Un abbraccio grande e buon Natale!
Commento e vi penso ogni anno a costo di sembrare stucchevole. Abbraccione (per gli auguri c’è tempo!)
Conosco quella paura quando vorresti il tasto rewind. E in un modo o nell’altro riesci a riavvolgere il nastro… Un abbraccio e grazie.
Raffaella e io abbraccio te! Buon Natale. E grazie per il tuo commento 😉
Questo dell’acqua bollente e dei fornelli è un rischio troppo spesso sottovalutato. Anche quando si parla di sicurezza in casa. Se ti può consolare nell’agenda del bambino che danno ora dopo la nascita c’è scritto svariate volte di stare attenti a rischi del genere.
Sono contenta che qualcuno ne parli, anche se mi si spezza il cuore a pensare cosa avete passato.
Vi abbraccio tutti e vi auguro buon Natale,
Carlotta
Davvero c’è scritto?! Questa è una super notizia!
Grazie di avermelo detto e del messaggio.
Buon Natale!
Non sono una madre ma sono stata una figlia sopravvissuta e ti offro questa solidarietà. I genitori non dovrebbero mai sentirsi in colpa per qualcosa che era imprevedibile. Tanti auguri alla tua bimba (con quel ritardo di sei anni) ma anche e soprattutto a voi due 🙂
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