Non uno e neppure tre… spesso sono tanti, troppi e del tutto inutili: ecco perché usare poco, anzi pochissimo, i puntini di sospensione.
Il puntinismo. No, non è una strana malattia esantematica. Neppure una corrente pittorica.
È il lato oscuro della forza che spinge un esordiente (e non solo, ahimè) a conficcare nel proprio testo una marea di pallini a gruppi di tre, ma pure di quattro, cinque fino a crivellare il foglio senza pietà.
Sto parlando dei temibili puntini di sospensione. Solo che tutta questa sospensione, non fa bene. Perché il testo in pratica galleggia e il lettore, poveretto, fatica a rintracciare delle parole tra questi blocchi di angosciante attesa.
La punteggiatura intermedia
La punteggiatura, intermedia e non, se usata a dovere, ci permette di ottenere gli effetti più disparati. Ed ecco che una virgola dà respiro al periodo, sposta l’attenzione su una parola, chiama in causa un personaggio.
I puntini, però, non sono virgole. Sono più simili ai punti esclamativi e se ne mettete troppi, invece di aumentare, il loro effetto si smorza.
I tre punti di sospensione sono un segno di pausa e servono per far capire che un discorso si interrompe ma non si conclude (per esempio quando si ha la troncatura di una frase o il personaggio ha un’esitazione) e quindi hanno il potere di creare un’attesa. Vengono anche usati al posto di “eccetera” e sono un’arma per tutti gli amanti delle elencazioni, quelli per cui “l’essere concisi” è una minaccia alla loro libertà di espressione.
Come si usano
Nota pratica: i puntini seguono senza spazio la parola e precedono, sempre senza spazio, la parola: quindi sarà… e non sarà … Idem per la parola che …precedono.
Ritornando alla nostra pausa, il parlato è vero è pieno di sospensioni, ma non è detto che per imitarlo si debbano infilare puntini da tutte le parti! Scrivere non significa prendere la realtà e ficcarla a forza nel foglio, richiede un passaggio intermedio, un’elaborazione, che permetta alla scrittura non di essere il reale ma di rappresentarlo in modo credibile. Talmente credibile che il lettore leggendo vede persone, cose e mondi, e non semplici sequenze di lettere.
I puntini fanno apparire il narratore goffo. È come se sussurrasse di continuo all’orecchio del lettore: “Hai capito il senso? Ehi, dico a te, c’è una sospensione qui! Lo vedi il personaggio come si angustia, come parla frammentato? Evvai con l’effetto, ta da da da dam! La senti l’attesa eh, lo senti il pathos?!”
I puntini non regalano realismo ai vostri dialoghi, i dialoghi li affondano. E per il pathos… ma quale pathos?! Perché il puntinismo mi ricorda un po’ quei B movie in cui non succede granché, eppure la colonna sonora sembra ideale per rappresentare l’Apocalisse. L’effetto è, ahimè, un bel comico involontario.
Perciò, levateli. Tutti. Spazzateli dalla faccia del foglio. Sbianchettateli, mimetizzateli da punti e basta.
Se volete scrivere vi tocca lavorare con le parole, con la costruzione della frase e non solo con ’ste benedette mollicuzze di pane inchiostrato.
8 comments
Io li uso solo su Twitter, non so come mai 🙂 Che è pure uno spreco di caratteri poi 🙂
Ah, lì vale, sprecare caratteri con i puntini è da signori!
Io li uso molto su FB… Come adesso! Ma quando scrivo racconti mai
Martina, credo sia naturale. Nei social network si ricrea, virtualmente, lo scambio verbale che per sua natura è frammentato, ricco di pause. lo stesso capita negli sms, per esempio. Io mi riferisco alla narrativa, ecco lì ogni scelta va ragionata a mio avviso. E i puntini sono davvero molto naif 😉
Io sapevo che lo spazio ci va dopo i tre puntini. Tu stessa l’hai messo qui:
E per il pathos… ma quale pathos?!
🙂
Sì, appunto, intendevo dire che seguono la parola senza spazio tra loro e la parola. Non così … Insomma!
… … … …
Eh no! Ho scritto punto per esteso e non sono un pesciolino che vuol essere preso al naso dalle Mollicuzze niente dire, insomma.
Comments are closed.