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Pseudonimo sì o no? Ecco cosa devi sapere se lo vuoi usare
Per chi scrive

Pseudonimo sì o no? Ecco cosa devi sapere se lo vuoi usare

Dalle grandi scrittrici costrette a utilizzare un altro nome per essere prese sul serio a personaggi ben più pop come Lady Whistledown di Bridgerton, usare uno pseudonimo è come un mantello magico che regala il dono dell’invisibilità e dell’inattaccabilità. È un pass che pare garantire la libertà di espressione ed è di per sé un elemento deliziosamente narrativo.

Non c’è bisogno di spiegare a chi ama i libri e la letteratura il fascino indiscutibile del nom de plume. Ma oggi ha senso adoperare uno pseudonimo, in che modo questa scelta avvantaggia o limita un autore?

Pseudonimo e nome d’arte sono la stessa cosa?

Si usano spesso in modo intercambiabile ma nella narrativa, nella saggistica e nel giornalismo quando parliamo di pseudonimo intendiamo per esempio il caso Elena Ferrante, la cui identità è sconosciuta. Altro è il nome d’arte, per esempio, Patty Pravo che in realtà si chiama Nicoletta Strambelli.

Per restare in campo letterario: Naike Ror è il nome d’arte di Emanuela Migliorin che dichiara in una intervista a La Stampa “ma è troppo lungo, graficamente non funziona sulla copertina di un libro. Naike Ror è il frutto dell’incrocio tra il nome di mia madre Naide (molto usato nel Mantovano) e quello di mia figlia Aurora”.

Diversi modi di utilizzare lo pseudonimo o il nome d’arte

C’è chi come Elena Ferrante non ha intenzione di rivelare la propria identità che, nonostante i curiosi, è ancora sconosciuta. Il che significa sottrarre anche un corpo, una presenza con tutto quello che comporta.

C’è chi opta per il nome d’arte attuando una sorta di “separazione delle carriere”, stabilendo così un confine tra la propria vita privata – il lavoro, la famiglia… – e l’attività di scrittore. Mi viene in mente Felicia Kingsley che possiamo vedere e seguire sui social, incontrare alle presentazioni ben sapendo che quello non è il suo vero nome.

E ancora, c’è chi inizia con uno pseudonimo – perché magari era quello che utilizzava su altre piattaforme, come Wattpad o sui social – e poi a un certo punto decide di metterci la faccia. Un esempio abbastanza recente? È quello di Erin Doom, che a un certo punto si è mostrata e ha dichiarato la propria identità. Mossa di marketing, voglia di godersi il successo? Di per certo se si adopera uno pseudonimo si può ovviamente decidere di cambiare idea.

Prendersi una pausa dal proprio nome?

Usare uno pseudonimo può essere anche un’occasione per prendere una sorta di boccata d’aria. Per scrivere un genere diverso, contenuti che si considerano magari meno di valore rispetto ai propri (ma che possono essere monetizzati in modo efficace) o un po’ troppo distanti dall’immagine che si è veicolata è costruita nel tempo.

Mi viene in mente senza dubbio l’avventura di Rowling che, a un certo punto, ha cominciato a scrivere con lo pseudonimo di Roberth Galbraith la serie gialla sul detective Cormoran Strike che nulla c’entrava con il mitico maghetto Harry Potter.

Abile mossa di marketing? Il desiderio (e il timore) di cimentarsi con qualcosa di diverso? Anche in questo caso qualsiasi sia il motivo è sicuramente stato un utilizzo interessante dello pseudonimo.

Comunque sia, a un certo punto l’autrice ha dichiarato di essere lei l’autrice generando molta curiosità è aumentando in maniera sensibile le vendite.

Cosa toglie e cosa dà uno pseudonimo?

Se sottraiamo l’identità sottraiamo un corpo che è lo strumento indispensabile per portare un autore nei diversi contesti pubblici che possono essere festival, eventi, fiere, firma copie, presentazioni… e quindi entrare in contatto con i lettori, reali o potenziali.

Sottrarre un corpo vuol dire non poter essere sui social nella maniera più diretta, quindi mettendoci la faccia e la voce, utilizzando video e foto. I creator “misteriosi” sanno bene che è possibile restare nell’ombra e creare contenuti, ma la sfida è più complessa.

Uno pseudonimo contiene una domanda implicita: chi sei veramente? E le domande sono dei potenti attivatori di curiosità. Ma il mistero da solo di certo non basta, se la scrittura e i temi e la voce dell’autore non sono efficaci, di valore.

La domanda decisiva è: come raggiungo i miei lettori? Come posso dialogare con loro e creare quel prezioso storytelling intorno ai miei libri e alle mie storie?

Un nome per nascondersi e proteggersi

Nascondersi dietro uno pseudonimo può essere anche un modo per proteggersi perché si trattano temi sensibili o si svolgono dei lavori delicati (all’interno di istituzioni, nei servizi segreti, nell’esercito…) o perché, per esempio, si combattono le mafie e quindi dichiarare la propria identità metterebbe in una posizione non semplicemente scomoda ma rischiosa.

Un altro caso sono tutti quei mestieri che richiedono l’anonimato per poter essere svolti in modo etico e professionale. Penso a chi si occupa di valutare i ristoranti o di mettere le stelle Michelin che non può ovviamente dichiararsi, altrimenti la valutazione sarebbe falsata.

Raccontare i fatti propri senza che diventi un problema

Molti autori pensano allo pseudonimo per evitarsi tutti i problemi che potrebbero sorgere raccontano fatti privati e temi delicati (vergogna, timore della gogna mediatica) o vicende che riguardano altre persone che potrebbero sentirsi ferite (o sporgere denuncia!).

Certo, è possibile scrivere con uno pseudonimo e togliersi un bel po’ di sassolini dalle scarpe o dire tutta la verità sulla propria famiglia infelice… ma a mio avviso è bene ragionare sul fatto che la narrativa è uno strumento perfetto per dire qualcosa di sé, senza parlare di sé in maniera diretta!

Una trama è l’occasione per fare una sorta di trasfusione di temi, questioni, relazioni, dolori e traumi senza parlare direttamente dei fatti propri e mettere in piazza la propria vita, così da schermare e proteggere le persone che – nel bene o nel male – c’entrano con questi fatti.

Esplorare le possibilità con i professionisti

Un autore ha il diritto di esplorare la possibilità di adoperare uno pseudonimo. L’ideale è parlarne con i professionisti – agenti, scout o l’editore stesso – così da valutare assieme quale percorso potrebbe essere più utile e perché.

Il punto è capire se questa scelta è necessaria per una forma di tutela. Oppure se potrebbe essere interessante da un punto di vista della comunicazione e del marketing. O, ancora, se è una sorta di capriccio, una vanità fine a se stessa che potrebbe danneggiare il percorso dell’autore.

Come contattare agenzie e case editrici se si vuole mantenere l’anonimato?

La cosa più semplice che si possa fare? È inviare il proprio testo e fare presente che si sta esplorando la possibilità di utilizzare uno pseudonimo. È implicito che la prima questione rilevante sia il contenuto: è di qualità? Benissimo, allora si può passare alla seconda questione.

E se l’autore non volesse rivelare la propria identità? Può utilizzare lo pseudonimo, dichiarandolo, oppure avvalersi di un mediatore – un legale per esempio – che faccia i suoi interessi e si occupi dei primi contatti.

Ma è bene ribadire che questo segreto è “a tempo”: nel momento in cui si firma un mandato di scouting o di rappresentanza o un contratto editoriale è necessario utilizzare il proprio nome il proprio cognome e i propri documenti.

E i self possono usare lo pseudonimo?

Chi opta per il self publishing può utilizzare sia uno pseudonimo sia un nome d’arte. Anche in questo caso la piattaforma esige i dati reali dell’autore ma dà la possibilità di richiedere l’uso di un altro nome.

Restano valide tutte le complessità che riguardano gli autori che optano per l’editoria tradizionale.

Pseudonimo e contratti editoriali

Lo pseudonimo può essere usato, ma con alcune accortezze legali e contrattuali. Ci sono due livelli da tenere distinti: il livello legale (identità giuridica) e il livello editoriale (identità pubblica).

Nel contratto editoriale deve essere indicata l’identità reale dell’autore (nome, cognome, codice fiscale, residenza), perché il contratto è un atto giuridico e dev’essere stipulato tra persone reali. L’identità reale è necessaria per l’attribuzione dei diritti d’autore e per la fiscalità. Inoltre l’autore deve poter esercitare i propri diritti morali ed economici, cosa che solo una persona reale può fare. Quindi: lo pseudonimo non sostituisce mai il nome anagrafico nel contratto.

Nel contratto può essere però esplicitamente indicato che l’opera sarà pubblicata sotto pseudonimo. Questo è importante soprattutto se si vuole che lo pseudonimo appaia sulla copertina, nei metadati del libro, nella promozione eccetera. L’editore deve impegnarsi a rispettare questa scelta e a non divulgare l’identità reale dell’autore, se pattuito.

Quindi in un contratto potremmo trovare una clausola come questa: “L’Autore, Mario Rossi, chiede che l’opera sia pubblicata sotto lo pseudonimo di Marc Red, che sarà utilizzato in tutte le comunicazioni editoriali, promozionali e di distribuzione. L’Editore si impegna a non rivelare a terzi l’identità dell’Autore, salvo obbligo di legge.”

È ovviamente importante verificare che lo pseudonimo non sia adoperato da altri, non corrisponda a nomi noti o a marchi noti, così da evitare ovviamente problemi legali ma anche pericolose confusioni.

È obbligatorio registrare lo pseudonimo?

No, non è obbligatorio. Ma potrebbe essere consigliato collegare ufficialmente lo pseudonimo all’identità legale dell’autore. Non farlo, in caso di contestazioni o problemi legali, potrebbe creare vuoti di tutela (dimostrazione della reale paternità dell’opera, appropriazioni indebite o conflitti di attribuzione).

È quindi possibile fare la registrazione prezzo la Siae che permette agli autori iscritti di registrare uno o più pseudonimi (o nomi d’arte, Siae non fa una distinzione tra i due termini) ma non tutela dal fatto che altri possano utilizzare commercialmente quel marchio.

È la camera di commercio a proteggere lo pseudonimo a livello commerciale (nessuno potrà usare quel nome per vendere libri, spettacoli, contenuti o prodotti simili senza autorizzazione…) a livello nazionale, europeo o internazionale.

Il deposito notarile, l’utilizzo della Pec, della marca temporale o della blockchain vengono utilizzati per generare una “data certa” e provare che in un certo momento l’autore ha prodotto un testo o una idea. Si possono usare per lo pseudonimo? Non sono una registrazione ma in caso di contestazione restano una prova legale di paternità.

Pseudonimo sì o no?

Torniamo alla domanda iniziale, sperando che adesso le idee siano un po’ più chiare e che l’unico mistero rimasto sia il vero nome di Elena Ferrante!

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