Scopri i Libri a Colazione della settimana: Fine di un matrimonio di Mavie Da Ponte e Sono normale di Sarah Chaney.
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FINE DI UN MATRIMONIO
di Mavie Da Ponte, Marsilio, pagine 400
«Devo parlarti» esordì comparendo sulla porta della stanza, senza togliersi le scarpe. «Sì» gli risposi, «ho letto. Hai saputo di Parigi?» gli chiesi, andandogli incontro per aiutarlo a liberarsi del cappotto.
Fece da solo, gli passai una mano sul braccio, come una carezza malriuscita. Indossava una giacca che gli stava ancora bene: fui sorpresa dal ricordo inatteso e nitido del momento in cui l’avevamo comprata, eravamo andati insieme in un negozio alle spalle della stazione, che non esisteva più. Quanto tempo era passato?
Mentre il tetto di Notre-Dame si disintegra tra le fiamme, la guglia precipita e viene mandata in onda sulle televisioni di tutto il mondo al rallentatore, mentre assistiamo alla morte della bellezza in tempo reale va in scena anche un’altra fine.
Libero è un ginecologo scontento e lamentoso – suo padre, suo nonno, suo fratello fanno lo stesso – insomma il mestiere per lui è una specie di obbligo dinastico e non è certo una vocazione.
Alberta lo sa bene, sono diciott’anni che lo ascolta. Ma gli effetti di tanto scontento verso pazienti, madri e gravidanze si sono fatti tangibili nel loro matrimonio. Non hanno avuto figli. Semplicemente lui non ha mai smesso di prescriverle la pillola e lei non ha smesso di prenderla. E non ne hanno nemmeno quasi mai parlato.
Questa sera, invece – prima di un evento nella galleria di Alberta, una mostra che ha organizzando da un anno – Libero sembra tutto intenzionato a parlarle. A dire la verità e a cambiare per sempre le cose.
E così lei lo fissa, dopo averlo ascoltato biascicare discorsi un po’ sconnessi. E pensa che potrebbe essere un bell’uomo, ma è suo marito e conosce così bene le sue debolezze – i suoi pensieri meschini, la verità nascosta dietro l’ipocrisia – che non è più capace di separare quello che lui è dal suo aspetto, dal fascino che può esercitare su qualcun altro.
Che cosa le ha fatto questo matrimonio? Forse ha spento le luci che le permettevano di guardarsi e di avere un’idea chiara di sé, ma era troppo invischiata nelle reti di mio marito per ammetterlo. E la cosa curiosa è che, sebbene tra loro quella più esposta a ogni sorta di debolezza fosse lei, si sentiva in dovere di proteggerlo, di prendersi cura di quel vulnerabile animale umano che, forse, l’aveva sposata proprio perché gli impedisse di andare in frantumi.
Che cosa accade quando una di quelle vicende a cui diamo una importanza spropositata succede per davvero? Perché uno di quei cataclismi che magari per anni ha adombrato il nostro presente e minacciano la nostra serenità poi, quando succedono al contrario ci stupiscono per quanto sono insignificanti e indegni di nota.
La fine di un matrimonio può consumarsi allo stesso modo: ti ostini a non pensarci per anni ma quando arriva, quando tuo marito chiude la porta di casa e della vostra relazione, ti pare un dolore sopportabile. O perlomeno, questo è ciò che succede ad Alberta.
Questa è la storia dello spazio di mezzo tra una distruzione e una costruzione. Quella parentesi che ti permette di capire meglio chi sei. Uno specchio che ti mostra a tocchi, piena di buchi, a caccia dei pezzi per dirti intera. Lo spazio per fare i conti con il fatto che il tuo essere felice o no è una tua responsabilità.
SONO NORMALE?
di Sarah Chaney, traduzione di Bianca Bertola, Bollati Boringhieri, 256 pagine, anche in ebook
“Il mio corpo ha una forma o una dimensione normale? È normale piangere di fronte agli altri? Lasciare che il cane mi lecchi la faccia? Avere un flusso mestruale pesante? Fare sesso con sconosciuti? Sentirsi in ansia sui mezzi pubblici?”
Sono normale? È una domanda che ci poniamo spesso e la normalità – qualunque cosa sia – è un ideale vago e misterioso che ci accompagna durante gran parte della vita. E di solito questa sensazione va a braccetto con un’altra, altrettanto insidiosa: che se qualcosa in noi o di noi fosse magicamente cambiato, allora tutto di colpo sarebbe andato bene.
E siamo circondati da stime di normalità: peso, altezza, bellezza, intelligenza, salute mentale… devono rientrare in certi canoni, in certi range.
E non è sempre stato così. Dall’Ottocento possiamo parlare della cosiddetta scienza della normalità. Nient’altro che un manipolo di scienziati, medici, studiosi che hanno tentato di misurare e standardizzare l’umanità. Il problema? Erano in stragrande maggioranza uomini, bianchi, benestanti, occidentali ed esclusivamente eterosessuali. E il presupposto che certi standard valessero anche per il resto del mondo era, per l’appunto, soltanto un presupposto.
L’esclusione e la tendenza a marginalizzare gli altri gruppi ovviamente non è stata sempre intenzionale ma è indubbio che la maggior parte di queste persone era convinta che il proprio posto in cima alla scala sociale fosse nel naturale ordine delle cose.
Un esempio tra tutti? La colonizzazione. Che, quando non prevedeva l’eliminazione delle popolazioni native, si proponeva di acculturare e di assimilare, cioè di normalizzare l’altro da sé, formando esseri umani “veri e normali” a immagine e somiglianza dei colonizzatori.
E ancora. Nel 2010 tre scienziati del comportamento nordamericani hanno ipotizzato che i criteri di normalità scientifica sono stati modellati su un sottogruppo definito WEIRD (Western, Educated, Industrialized, Rich, Democratic) che corrispondono al 12 per cento della popolazione mondiale. Solo che corrispondono anche al 96 per cento dei soggetti esaminati negli studi in psicologia e all’80 di quelli esaminati negli studi in medicina. Il che significa che cure e medicine sono modellati su un campione esiguo. E quindi come potranno funzionare per tutti gli altri?
Perché tutto questo, oltre che doloroso e preoccupante, è anche immensamente istruttivo? Perché da un lato ci costringe a perfezionare e ad ampliare le nostre definizioni di ciò che è normale, naturale o desiderabile. E, soprattutto, deve spingerci a chiederci se cose del genere esistano per davvero.
Perché la normalità, diamine, esiste! Ne siamo certi no? È una sorta di invisibile legge di natura che plasma la società, noi, il nostro modo di guardare il mondo, ma anche di desiderare, di relazionarci. La possibilità che questa legge sia mal formulata o non esista regala quindi un certo brivido.