Scopri i Libri a Colazione della settimana: Un uomo che dorme di George Perec e Perfetti o felici di Stefania Andreoli.
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UN UOMO CHE DORME
di George Perec, traduzione di Jean Talon Sampieri, Quodlibet, pagine 170
“All’inizio è solamente una specie di spossatezza, di fatica, come se d’un tratto ti rendessi conto che da parecchio tempo, da varie ore, sei in balia d’un malessere insidioso che t’intorpidisce, un dolore che si accenna appena e tuttavia è insopportabile, con la sensazione dolciastra e opprimente di essere privo di muscoli e ossa, di essere come un sacco di gesso in mezzo a sacchi di gesso.”
E poi suona la sveglia. Hai dormito bene, è tutto come dovrebbe essere, devi solo mettere un piede fuori dal letto, alzarti e andare a sostenere il tuo esame. A riempire sette/otto fogli a protocollo sull’alienazione, la modernità, gli operai…
La sveglia suona ma tu non ti alzi.
Resti così, disteso a guardare il soffitto e a contare le crepe perché non hai più voglia di alzarti, di uscire, di parlare, di vedere, di niente.
E poi con la rapidità delle illuminazioni che ti scivolano davanti agli occhi come se ci fossero sempre state ti è chiaro: “Per dirla senza tanti giri di parole, tu non sai vivere, e mai ne sarei capace”.
Hai 25 anni e quel poco che possiedi non ti interessa più e non ti interessa più neppure avere altro, fare progetti, vedere persone, avere idee. Vuoi solo aspettare e lo farai finché non ci sarà più niente da aspettare.
Che cos’è che ti fa paura? Forse che la tua strada sia tracciata, tutti i ruoli siano pronti e così le etichette. E sai che non cambierebbe nulla neppure davanti alla più sonora delle rivoluzioni, qualunque qualcosa tu facessi, tutti i sedili sono lì che aspettano il tuo turno.
E così te ne stai rintanato nella “tua stanza che è la più bella delle isole deserte, e Parigi è un deserto che nessuno ha mai attraversato. Non hai bisogno di nient’altro che di questa pace, di questo sonno, di questo silenzio, di questo torpore (…) Qui tu impari a durare”.
George Perec in questo libro ti racconta un ragazzo, un venticinquenne degli anni Sessanta in Francia a Parigi. Un ragazzo che cerca nella sottrazione una magra felicità, cioè semplice assenza di dolore.
E questo anonimo studente non è annoiato o strambo o malato, come degli adulti del tempo avrebbero potuto pensare o come gli adulti di oggi potrebbero pensare. Non è qualcuno senza coraggio, senza obiettivi, senza grinta, poco performante. Uno che non sfrutta le proprie qualità, uno che non accetta il corso naturale delle cose.
Uno che non vuole succedere, figurati se vuole il successo! Questo giovane è uno che si oppone. Che vuole essere visto attraverso la propria sottrazione, si toglie dal quadro delle cose, spicca per assenza e ti costringe a interrogarti sul perché. Non accetta l’ordine, spariglia le regole. Fa la rivoluzione stando fermissimo dove non si deve stare e il suo smarrimento diventa anche il tuo.
PERFETTI O FELICI
di Stefania Andreoli, Rizzoli, 256 pagine, anche in ebook
“Non considerati dalla politica, ignorati a lungo dai mezzi di comunicazione, estromessi dal carrello dei consumi, ridicolizzati dal mercato del lavoro, ostaggi della famiglia d’origine: l’esperienza di vita di chi ha tra i venti e i trent’anni e, con peculiarità che andremo a vedere insieme, tra i trenta e i quasi quarant’anni era già da tempo impervia e fonte di un disagio profondo, ma nessuno l’aveva ancora valutata in modo sistematico.”
I “giovani adulti” chi sono? Come stanno? Con quali guai se la vedono?
Se non sei una/uno di loro forse non hai troppe idee su quale possa mai essere la risposta giusta. E, forse, anche se ne fai parte hai i tuoi guai a rispondere.
Tranquillo/a, sappi che di giovani adulti si parla poco, pochissimo e quando lo si fa, spesso, lo si fa male, molto male. La rappresentazione di questa fascia di età che ha tratti fantasmagorici è spesso impietosa.
E c’è una possibile spiegazione. A parlare di loro sono spesso gli adulti – parliamo della generazione X e dei baby boomers – che a conti fatti non hanno troppi vantaggi a dirne bene. Tanto per cominciare non essere più giovani adulti non è una bella sensazione, ma se esserlo non è granché forse è più sopportabile. Ma, soprattutto, se rivolgi lo sguardo a questa fascia di età, se la guardi e pensi in modo buono, ti tocca anche invitarla a partecipare alle cose che contano, darle spazio, starla sentire… con tutti i “pericolosi” cambiamenti che ne potrebbero derivare.
Perché da sempre, chi prende il posto può farlo in silenzio mettendosi in scia di chi è venuto prima di lui ma, molto più facilmente, arriva e cambia. Trasforma, rivoluziona.
C’è da dire che “anche quando sono loro a parlare in prima persona, o non vengono capiti, o non vengono creduti, o vengono snobbati.”
Ma cosa significa diventare adulti? Compiere 18 anni, avere delle responsabilità giuridiche, assumersi le proprie responsabilità… forse arrivare a capire che da quel momento in poi il permesso per fare o non fare, per essere o non essere lo devi chiedere soltanto a te stesso.
Ma quanto è facile diventare adulti oggi? Quanto è complesso essere qualcuno che non sai bene com’è? No, non è che non sappiamo dire con precisione che cosa significhi “adultità”. Il guaio sono gli esempi, gli adulti non li vediamo granché: che fine hanno fatto? Cioè che conquista sarà mai questa benedetta età adulta se manco agli adulti interessa più essere adulti?
Seguo con grande interesse le domande che si pone via via la psicoterapeuta Stefania Andreoli. Perché le domande aiutano a vedere, a capire e ad abitare lo spazio che ci è dato con una consapevolezza diversa. Quella del “noi” e non solo dell’“io”.
La maggior parte di queste domande è molto scomoda per tutti gli adulti, o sedicenti tali, ma direi che è arrivato il momento di porsele. E invece saranno molto preziose per i “giovani adulti” che, forse, stavolta, si sentiranno guardati e visti per davvero.