Scopri i Libri a Colazione della settimana: Parole nascoste di Arianna Montanari e La vita dei bambini negli ambienti digitali di Alberto Rossetti.
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PAROLE NASCOSTE
di Arianna Montanari, Mondadori, pagine 252, anche in ebook
“Le sue regole erano:
- confidenza: poca, pochissima, al limite si riceve ma di certo non si concede;
- parole: solo quando servono, sempre misurate;
- risate: praticamente mai, basta un sorriso a mezza bocca.”
È un nonno tutto d’un pezzo, questo. Un mito, uno di quelli che si conquista nelle narrazioni familiari un posto d’onore a suon di ciò che ha fatto e come lo ha fatto. Uno che sa, uno perfetto. Eppure… eppure quando c’è lui nella stanza sua moglie – la Marisa con le sue mani paffute piene d’anelli, il rossetto e quegli abiti che le danno un’aria così sofisticata – be’ sua moglie, che di solito è l’ape regina, se ne sta muta, quasi imbarazzata.
Come si fa a essere figli di un uomo solido, un vaso di piombo senza fratture e difetti? Che figlio si diventa, che uomo si diventa? E poi: che padre si diventa?
Arianna, sua figlia, decide di capirlo davvero solo quando suo padre non c’è più. Quando tocca parlare di lui all’imperfetto e per vivere il presente bisogna fare i conti con i ricordi, con il passato. Perché mai quest’uomo ha dimostrato un attaccamento così fragile alla vita, come se non vedesse l’ora di andarsene? Da dove arrivava il dolore che per anni lo ha nutrito? Qual è il punto di origine e la causa di tutta la sua tristezza?
Arianna pensa di non sapere alcunché di suo padre. E sanguina perché pensa di non essere stata un amore sufficiente per restare, per lottare. Niente nella storia di suo padre c’entra con quella metafora trita del malato che combatte contro il suo male come fosse un nemico da sconfiggere.
E così, dopo aver cercato nelle parole degli altri, nei libri degli altri prende coraggio e va a caccia delle risposte nelle parole di suo padre, cioè nei suoi diari. Vuole capire, tutto, lo vuole capire per intero, così non le bastano solo i diari, le servono perfino le cartelle cliniche. Vuole tuffarsi in questo mare di tristezza sperando che l’acqua possa finalmente alleggerirla da tutti i pesi.
Per ritrovare questo padre e prendersi cura di lui scrive Arianna e cuce assieme immagini e ricordi, ricompone la storia della sua famiglia perché spesso chi siamo, il nostro dolore, l’insofferenza comincia molto prima di noi e vanno cercati altrove.
E ci racconta così una famiglia storta e disordinata, attraversata da un amore potente e sghembo, l’amore di una figlia per un padre che è un centro, senza un centro. Che per tutta la vita, alle volte pieno di entusiasmo e buone intenzioni, alle volte rotto e malinconico, ha forse solo cercato un modo per stare bene, un posto in cui stare bene, dove crescere una volta per tutte.
Arianna Montanari, nel suo esordio racconta un rapporto padre-figlia che diventa presto un romanzo sul maschile, sulla ricerca di una identità, di uno spazio e di un ruolo possibili e sulla dolorosa nostalgia per tutto ciò che non possiamo essere o non abbiamo mai neppure immaginato di poter essere.
LA VITA DEI BAMBINI NEGLI AMBIENTI DIGITALI
di Alberto Rossetti, Edizioni Gruppo Abele, 159 pagine, anche in ebook
Il nostro presente è fatto (anche) di rete di digitale. Ma ecco che, appena scandiamo la parola “tecnologia”, si creano le fazioni. Utilizzatori entusiasti versus pessimisti che demonizzano ogni aggeggio e anfratto della rete. Tencofili e tecnofobici. E quando si introduce la variabile “bambino” è ancora peggio perché la discussione diviene (o viene presa) come un’accusa verso i genitori.
Ma è naturale fare delle riflessioni vedendo un bambino che al parco non gioca con gli amichetti perché è troppo preso dallo smartphone che regge nelle mani o un suo coetaneo che non si nutre, se davanti non ha un video. Anche scorrendo il feed di un social a caso (social che, di norma, proibisce agli adolescenti minori di 14 anni di accedervi) e notando che è pieno di foto e video di bambini e ragazzi, fatte dai loro genitori.
Cercare di capire che cosa è giusto fare e quali sono le conseguenze, questo è il tema. Non di chi sia la colpa. E per farlo servono dati e serve osservare il sistema.
Che la rivoluzione sia iniziata nel 2007 con il lancio dell’iPhone non è un segreto. Ma forse non sai che quando è nato l’App store, nel giro di una settimana, le applicazioni scaricate sono state oltre dieci milioni. Nel 2009 le app sono 35mila e nello stesso anno si scopre che delle 100 applicazioni che hanno avuto maggiore successo il 35 per cento ha come target bambini di età prescolare, il 12 per cento è per quelli della scuola primaria. Cioè quasi una app su due è pensata per i più piccoli. Sarà un caso ma sempre queste app, rispetto a quelle degli adulti costano meno. Basta un clic, paghi poco e il gioco (in tutti i sensi) è fatto.
Si può pensare di proibire ai figli qualsiasi accesso? E cosa accade quando il bambino esce al microsistema familiare e si confronta con l’esterno (altri amici, la scuola…)? I dati, peraltro, ci dicono che in America un bambino su due, tra 0 e 2 anni, usa già lo smartphone e il 35 per cento un tablet (assai simili i dati per smart watch e assistenti vocali…). Il primo accesso alla tecnologia è quindi molto molto precoce.
Il problema, spesso, è che tutto avviene mentre noi ci abituiamo a qualcosa di cui non conosciamo gli effettivi effetti. Cosa sappiamo dell’utilizzo da parte dei bambini dei vari schermi, touch o meno, che oggi sono a loro disposizione? Quale posto occupano nella loro vita? Ci sono delle relazioni, positive o negative, tra l’utilizzo di dispositivi con schermo e lo sviluppo dei bambini? Qual è l’impatto dei contenuti, delle pubblicità sui minori?
Parliamo spesso di risorse facendo riferimento alla marea di contenuti e informazioni disponibili in rete ma senza un adulto che filtra e vigila, possiamo davvero parlare di risorse?
Alberto Rossetti, psicologo e psicoterapeuta, ci guida a caccia di alcune preziose risposte. E affronta anche il delicatissimo tema dello sharenting: adulti che condividono pubblicamente contenuti che riguardano i loro figli (cosa fanno, cosa provano, capricci, malattie, disagi, bisogni…).
Delicatissimo perché questa condivisione spesso ha più a che fare con algoritmi e like – con il proprio ego, il marketing e il desiderio di successo… – che con il reale bisogno di condividere le sfide della genitorialità. Finendo così per dare in pasto le vite dei minori ad altri adulti che sono quasi sempre degli sconosciuti.