Gianni Montieri per “DiVersi, solo le cose inutili sono poetiche” di Elisabetta Bucciarelli che oggi ci porta a camminare vicino ai confini.
C’erano ampi margini, confini,
scatti da fare sul fondo, e l’erba
tagliata male. Crossare al centro.
Uno a saltare di testa, potevamo
crescere, raddoppiare in difesa.
Poi cosa è successo? Uno ha preso
un treno, uno è saltato di testa
o per aria.da “Ampi margini” di Gianni Montieri
Marcelo Alberto Bielsa Caldera è un allenatore argentino, chiamato El Loco, il pazzo, per molti motivi che in parte riguardano anche noi. Durante una delle sue conferenze, Bielsa disegnò il rettangolo di un campo di calcio e dentro il rettangolo tracciò un’ellisse che copriva la gran parte del terreno di gioco. L’asse minore coincideva con la linea mediana del campo, il maggiore era compreso tra una porta e l’altra.
A questo punto l’allenatore riempì di colore la superficie dell’ellisse spiegando che quella era la zona in cui tutti i giocatori correvano avanti e indietro, calpestavano l’erba fino a renderla terra. Era la zona più frequentata, la più conosciuta.
Restavano fuori da quella porzione di campo i quattro angoli. Più difficili da raggiungere, più scomodi e faticosi, decisamente inusuali, specialmente per farsi servire una buona palla gol. Quei quattro pezzetti angolari avevano però un grande pregio, lo spazio libero, l’erba verde era ancora intatta. In quello spazio potevano essere tracciati percorsi differenti, unici, buoni solo per chi fosse stato capace di cercarli, trovarli e osare.
Invece di ostinarci a camminare sempre per la stessa strada di tutti, quella che si deve per forza fare così anche se fare così non ci fa stare bene, proviamo a scegliere una curva imprevista o meglio, proviamo a camminare vicino ai confini del già conosciuto. Potrebbero esserci ampi margini di miglioramento per ciascuno di noi. Adesso, subito.
“C’erano ampi margini, confini” e tu Gianni Montieri, da che parte sei andato?
Io ho cercato di ampliare quel confine, un po’ come dice Bielsa sono andato a cercare lo spazio, ho provato un’altra strada, ho provato – come scrivo in un’altra poesia di “Ampi margini” – «davanti al mare / per una volta non accontentarsi», a non accontentarmi. Eppure, negli anni della mia adolescenza, la salvezza pareva stare proprio nell’accontentarsi, nel restare a giocare nella parte colorata da Bielsa. A me però piaceva sognare, piaceva lo spazio, piaceva il respiro, mi piaceva il calciatore che s’avventurava, mi piaceva la poesia. Bielsa, in fondo, con altre parole, tracciando quelle linee sul campo cita dei versi di Bolaño: «Sulla strada dei cani, là dove non vuole andare nessuno. / Una strada che prendono solo i poeti / quando non gli resta altro da fare». Perciò, sono andato nello spazio, sono atterrato nel centro di Milano.
“Potevamo crescere, raddoppiare in difesa. Poi cosa è successo?” Che domanda è questa?
Non è una vera domanda, nel senso che qualcosa è successo, ma è indefinibile. Siamo cresciuti, non tutti, qualcuno non ha fatto a tempo. Per qualcuno il campo da gioco, quello pieno di buche ma anche di sogni, si è ristretto, è rimasta solo la massa in mezzo al campo, e non è stato più in grado di vedere lo spazio, la possibilità. È difficile, era difficile.
E noi cosa possiamo fare se l’erba è tagliata male?
Continuare a correre, stando attenti alle buche nascoste, perché se è un campo è quello di periferia, è sempre curato male, ma è bellissimo, lo è ancora. Nell’erba tagliata male si inciampa, ma è anche vero che un falso rimbalzo può venirci in soccorso e metterci da soli davanti al portiere. Le poesie pure funzionano così, nascono da stupende azioni, perfette e piene di passaggi puliti, riusciti e pure dai rimbalzi falsi, dai tiri deviati, da un verso che all’inizio pareva sbagliato e dopo è diventato quello decisivo. Era un gruppo di parole buttate là e adesso è un settenario.