Chandra Livia Candiani per “DiVersi, solo le cose inutili sono poetiche” di Elisabetta Bucciarelli che oggi ci parla di silenzio e ascolto.
Bisogna tacere
come fanno i lupi
e le lucciole
come fa il noce
e le tasche
come quatti quatti
zittiti dal batticuore
fanno gli esseri
sotto tiro.
Il respiro è un antro buio
sotterraci la pelle
e improvvisa il frammento
di un ballo,
le armi sono alzate
come rami in un bosco fitto,
passa nel tunnel
e urla solo dopo
anni dopo
di notte.
Ci sono momenti dove dire è difficile e allora ci si può mettere in ascolto. L’ascolto prevede il silenzio, che non significa semplicemente stare zitti, è altro e va oltre. Il silenzio è a tutti gli effetti un’azione e quando è attivo raccoglie, accoglie e coglie. Nel nostro tacere possono nascere domande. Ecco, con umiltà domandare, potrebbe essere una posizione per questi nostri giorni.
La poesia proposta per DiVersi è tratta dal volume La domanda della sete, di Chandra Candiani e suggerisce proprio di tacere, ma non un tacere qualunque, ci invita a farlo come i lupi.
E allora, dopo averci pensato, ho deciso di chiedere a Candiani e mi sono messa in ascolto.
Chandra, cosa vuol dire tacere come fanno i lupi?
Immagina il silenzio di un lupo. È il silenzio di chi è sottotiro. Il silenzio della tensione verso la riflessione non pensata ma avvertita, come possibile equilibrio nell’azione, come varco. Quando più niente può essere detto, perché tutto è già stato detto e frainteso, c’è il silenzio che precede l’azione intonata a salvarci.
La guerra mi ha ammutolita. Sembra così non contemporanea. Eppure c’è. Fino al giorno prima in tanti dicevano: “Non ci sarà nessuna guerra.” e come sempre edulcoravano la realtà dei fatti, la loro buiezza. Non solo non sappiamo stare nel tragico come tragico ma nemmeno vogliamo conoscere il male. Sulla via che percorro si dice: “Stare con il piacevole come piacevole e con lo spiacevole come spiacevole”, che è come dire con il bene come bene e con il male come male. Conoscerli per come sono. Quindi non si tratta di forzare lo sguardo per vedere nel buio la luce, ma stare nel buio in attesa, sentendo, aspettando il da farsi, l’intuizione che guida. Pare che Putin abbia imparato fin da bambino, sulla strada, la sua legge: “Colpisci per primo.” Bene, impareremo come si fa a essere secondi. Quale acutezza di sguardo, di silenzio, di improvvisazione e di conoscenza della storia e del male occorra per rispondere. Agire per secondi, raccogliere le sfide, non puntare alla violenza, ma alla giustizia, alla resistenza, alla spinta della vita.
Non so niente, sto nel dolore di questo ulteriore squasso e quando tutto precipita, assaporo il crollo come crollo, sento l’andare a pezzi di ogni certezza e compattezza e studio il male.
E come sanno gli eremiti, che forse tengono in equilibrio il mondo, inviare da lontano il bene è una potente forma di vicinanza e un’azione politica attiva. Il silenzio di un lupo.
Abbiamo bisogno del male?
Come dicevo, abbiamo bisogno di studiare il male, di non negarlo, di non farne un mostro appartato. Il male ci compete, fa parte di noi. Stanare il tiranno, il guerraiolo che c’è in noi. Non ci sono schieramenti netti, tutto è miscelato dalle cause e dalle condizioni. Così raramente siamo in contatto con la nostra brama insaziabile, di successo, di ragione, di vittoria, di accumulo, di benessere, ma è la stessa brama che governa chi invade, depreda, ammazza, non è un’altra brama, è la stessa. Non studiare il male che ci abita, non imparare ad amministrare il fuoco ci rende complici. Basta con la bontà come spontaneità del cuore, la bontà nasce dopo anni di miniera, di scavo, di compassione sincera per il proprio essere malvagi, solo allora possiamo incontrare la crudeltà dell’altro e rispondere. Ma ci sono malvagi irraggiungibili, non si lasciano comprendere né avvicinare, lì nasce il silenzio del lupo, i passi felpati, indietreggianti del felino. Imparare a tornare indietro, a retrocedere, a ripararsi è quello che il tiranno, il discepolo della brama non può mai fare. Non ci sono ricette già pronte, ognuno fa il cammino camminando, sperimentando, cadendo, ferendosi. L’umano è atroce e splendente, non si può avere uno senza l’altro. L’atrocità, la crudeltà sono in noi e con certe condizioni possono uscire allo scoperto. Tutta la storia umana è una risposta all’interrogazione del male. E ci sono così tanti tipi di infinito.
Provo in questo momento una profonda vergogna a dire, scrivere qualsiasi cosa. Sono solo frantumata dalla storia e balbetto i miei minuscoli strumenti di non separazione, di tentativo di comprendere, collegare tutto. Chiedo profondamente scusa per ogni parola di troppo.
Dobbiamo uscire o rifugiarci?
Non li sento come due movimenti separati. Per me prendere rifugio in quello che mi sveglia, nella realtà delle cose così come sono e negli esseri che mi spingono al risveglio è la massima esposizione. Sono all’aperto, nello spalancato, quando mi sento fragile e non mi nascondo ma chiedo alleanza a ciò che in me e in tanti altri è pronto a risvegliarsi, ad alzarsi, a gridare, a fare del male un apprendimento di cosa sia il bene senza soggetto, senza appropriazione, senza anima bella.
Il male riconosciuto è l’equilibrio che consente al bene di sbocciare perché il campo è sgombro, la terra lavorata, la pioggia caduta, e non perché strattono i petali perché nascano fiori virtuosi. La cosa che più soffro è il volto di chi non si fa raggiungere, la condizione di chi non si lascia avvicinare, il tiranno che vuole restare tale e che accampa irragionevoli ragioni, falsità in cui sembra credere, la doppiezza, la molteplicità di esseri che vivono in una persona sola. E mi fanno male le opinioni, i commenti che coprono la nudità dei fatti, che spiegano in modi parziali e non danno tregua al respiro, al poter sostare nell’ignorare e cadere a pezzi. Dai pezzi si ricompone l’intero. Forse. E quando si cade, dicono i tibetani, per rialzarsi bisogna aver fiducia nella terra.
LA DOMANDA DELLA SETE 2016-2020
di Chandra Livia Candiani, 152 pagine, Einaudi, anche in ebook