Chissà domani: quale sarà il modello culturale del nostro Paese?

Chissà domani: quale sarà il modello culturale del nostro Paese?

Quale sarà il modello culturale del nostro Paese? Se ne è discusso in rete durante l’incontro “Chissà domani – incontri dal futuro” organizzato da Scuola Baskerville. Tanto per cominciare, bisogna sopravvivere. 

Che ne sarà della nostra amata editoria? Ne hanno discusso ieri Teresa Martini e Riccardo Cavallero di SEM, Francesca Chiappa e Silvia Sorana di Hacca Edizioni, Luca Pantarotto di NN Editore, Sara Saorin di Camelozampa e Antonio Franchini di Giunti Editore moderati da Ciro Auriemma di Scuola Baskerville.

Riccardo Cavallero ha subito fatto un quadro della situazione e del mercato. Perché la prima questione riguarda ovviamente la sopravvivenza delle case editrici. Il guaio del settore non è solo non guadagnare, è il fatturato negativo. Chi non mastica pane ed editoria si stranisce ma tutto dipende dalle rese: anche in un momento in cui il fatturato è bloccato vengono infatti accreditate le rese ed ecco spiegato il segno meno.

Un mercato dominato dai big

Come potranno quindi tirare avanti gli editori che, molto probabilmente, fino a settembre non vedranno liquidità? Sopravviveranno quelli che hanno “fieno in cascina”, vale a dire le case editrici che possono vantare un fatturato superiore ai 10 milioni di euro. Parliamo quindi dei grandi gruppi come Mondadori (qui trovate i dati), Gems, Giunti ed editori come Sellerio e Laterza.

E gli altri? Pochissimi sfiorano i 4 milioni mentre, nella maggior parte dei casi, si parla di un fatturato al di sotto dei 500mila euro. Come resisteranno?

Il mercato riaprirà con ordini minimi e c’è da aspettarsi almeno un 30 per cento in meno delle tirature. E non va dimenticato il fatto che l’Italia vede i grandi gruppi editoriali proprietari delle grandi catene librarie (parliamo del 70 per cento del mercato contro il 22 per cento degli editori indipendenti) che con buone probabilità favoriranno, nei punti vendita, la vendita dei titoli dei propri marchi.

Si rischia quindi di andare verso un mercato dominato dai big mentre i piccoli editori rischiano di chiudere o di essere assorbiti. Come sarò possibile garantire la bibliodiversità? E soprattutto: quale modello culturale vogliamo per il nostro Paese?

Salvare la filiera editoriale e il contesto culturale

Francesca Chiappa e Silvia Sorana di Hacca Edizioni hanno sottolineato la cecità della politica. Sono stati fatti ragionamenti a breve termine, basti pensare a un decreto che, con 4 giorni di anticipo, annunciava la riapertura delle librerie pensando di sanare o tamponare la crisi del settore.  In realtà ha soltanto scaricato la responsabilità dalla “rinascita” alle librerie che non erano pronte per gestire la situazione – pensiamo alla mancanza di norme e dispositivi di sicurezza – né teneva conto della crisi endemica del settore che da sempre deve fare i conti di margini minimi.

Quel che è certo: le risposte dello Stato finora sono state insufficienti. E la questione riguarda la sopravvivenza di tutta la filiera editoriale, composta da lavoratori inquadrati con contratti ma da moltissimi lavoratori a Partita Iva, molti dei quali quindi privi di cassa o di rimborsi.

E la bibliodiversità si basa sul talento e sulla competenza di tutti questi lavoratori che operano in ambito editoriale: se muoiono loro muore il sistema. La resistenza di un editore indipendente dipende anche dalla sopravvivenza di un contesto culturale fatto di altrettanti piccoli editori che creano un dibattito, un dibattito che dà senso a ciascuna di queste piccole realtà.

L’editoria indipendente sussiste se “abita” in un contesto culturale che sia vivo e popolato da altrettante voci. Per questo motivo si devono andare a salvare i lavoratori della filiera editoriale e i lettori, cioè le famiglie (per esempio con dei bonus culturali).

Eventi e digitale

Si è parlato del difficile momento dell’editoria per l’infanzia che è davvero un mondo a sé e vive soprattutto intorno a eventi come la fiera di Bologna e adesso deve tentare di riorganizzarsi.

Si è parlato poi del digitale, per anni snobbato e riscoperto in questo periodo. Dei podcast – che però sono un prodotto culturale che al momento non porta soldi in cassa e quindi non paga alcuno stipendio, tanto quanto le presentazioni – e di tutte le occasioni per creare dibattiti ed eventi in rete. Perché l’incontro con i lettori è importante ma quante volte si spendono troppi fondi per realizzare eventi che non ripagano in alcun modo?

Si è parlato quindi di vecchi sistemi che devono essere scardinati perché fallimentari, di occasioni mancate per sfruttare questo momento di disruption… perché c’è molto da fare nel settore editoriale, ma per farlo tocca prima di tutto sopravvivere.

Qui parlo di editoria digitale, con tanto di classifiche di Amazon

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