Questa storia illustrata (alla grande! da Emma Shoard) inizia con l’arrivo in una casa nuova e con un grande albero. E papà, Sean, dice a suo figlio Benjamin che quest’albero è perfetto per costruirci su una casetta. Anzi, un nido, il nido di Benjamin.
E così è perché Sean è bravissimo. E costruisce un piccolo capolavoro con tanto di porta e finestra. E non mancano i confort cioè gli imprescindibili: due piatti, due coltelli, due forchette, acqua, il coltellino svizzero di Sean e i fumetti di Benjamin sistemati nel loro scaffale.
Dopo un anno, però, le cose in questa famiglia non vanno granché bene. Mamma Helen è scontrosa, torna a casa sempre più tardi, sta sempre al telefono e parla con un certo “Steve”… il papà smette di cucinare, smette di interessarsi alle cose che prima lo appassionavano, di radersi e si rifugia nel nido.
Sono ricordi, questi, ricordi di un uomo adulto che cerca di rimettere insieme i pezzi del proprio passato. La felicità dell’infanzia, la cecità dell’infanzia che non riesce a mettere a fuoco il disagio dei propri genitori e la fine di un matrimonio.
Non ero abbastanza intelligente, o forse semplicemente non ero abbastanza grande, da capire cosa stava succedendo. E in ogni caso, quando si è piccoli si è totalmente assorbiti in se stessi, no? Tutto quello che accade è tremendamente importante, assolutamente unico e illuminato da potenti riflettori. I genitori sono solo tappezzeria. Lo scenario che fa da sfondo
Un racconto toccante che mostra le fragilità dei grandi con gli occhi di un bambino. E lo fa con una delicatezza cristallina.