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Hisayasu Nakagawa, Introduzione alla cultura giapponese.
Interruzioni

Hisayasu Nakagawa – Introduzione alla cultura giapponese

Introduzione alla cultura giapponese. Saggio di antropologia reciproca di Hisayasu Nakagawa è l’interruzione che ci propone questa settimana Laura Imai Messina ricordandoci quanta generosità sia necessaria a un saggista.

Hisayasu Nakagawa, Introduzione alla cultura giapponese.
Autore: Hisayasu Nakagawa
Editore: Bruno Mondadori
Traduzione di Francesco Saba Sardi

Ecco una mente lucidissima, anche nei ripensamenti. Hisayasu Nakagawa era uno studioso che aveva una risposta ben argomentata, mai animosa, su ogni questione. Senza indulgere né nel protagonismo – benché lecito nel suo caso (fine studioso dell’Illuminismo francese, professore emerito dell’Università di Kyōto, direttore generale del Museo di Kyōto, è stato vicedirettore dell’Istituto di studi superiori di Kyōto e membro dell’Accademia del Giappone) – né nell’erudizione, ha dimostrato in questo eccezionale libretto non solo un comando invidiabile della lingua francese, ma del pensiero che sostiene entrambe la cultura occidentale e orientale.

In Introduzione alla cultura giapponese. Saggio di antropologia reciproca sono riuniti brevi saggi pubblicati tra il 1990 e il 1994 sul periodico “L’Äne” e il testo di una conferenza tenuta alla Maison franco-japonaise.

Disparati anche i temi trattati: si passa da un acuto confronto tra l’individualismo europeo e l’“uniformismo” giapponese – entrambi con caratteristiche proprie di vantaggio e svantaggio sociale –, a malintesi originati da traduzioni che prima ancora che alla lingua, sono ancorate alla cultura di origine e di approdo di un testo; dalla definizione del giapponese come lingua «lococentrica» (ovvero che, se per un occidentale gli eventi sono risultato di una azione umana in termini di merito e/o colpa, e più generalmente di responsabilità di un soggetto singolo, in giapponese è invece la situazione, la circostanza calata in una rete di condizionamenti ambientali, a determinarli), alla spiegazione di come la religione sia eccezionalmente percepita in un Giappone che non contrappone ma integra i credi buddhista e scintoista.

Nakagawa spiega tra l’altro quello che, erroneamente, gli stranieri giudicano il “sorriso falso” dei giapponesi e quel non dire che disorienta l’occidentale, ma che va inteso piuttosto come fiducia in un sentimento la cui verità sta nel manifestarsi “spontaneo e naturale”, senza didascalie. È un annuire costante perché, quelle che potrebbero configurarsi come intuizioni personali di chi ha a che fare con il Sol Levante, qui acquistano spessore e nitidezza.

Ci vuole generosità nel pensiero e nella parola per scrivere saggi, considerato che ogni pensiero che si dona si auto-rigenera e necessariamente si sviluppa in un altro tracciato. Così, dalla lettura di Introduzione alla cultura giapponese, scaturisce la curiosità verso il concetto di “Diritto e rovescio”, con cui il celebre psicanalista Doi Takeo illustra meccanismi tipici del comportamento giapponese, e per «l’intuizione-atto» di Kitarō Nishida, immenso filosofo vissuto a cavallo del 1800 e 1900, di cui esistono alcune traduzioni in italiano.

Prendendo a prestito parole d’altri, in una integrazione costante tra la Francia dei Lumi e il Giappone otto-novecentesco, Hisayasu Nakagawa ci suggerisce anche la percezione della morte, intesa non come conclusione della vita o come qualcosa da sconfiggere attraverso il ricordo, bensì come una delle varie forme che l’uomo assume su di sé.

Stupefacente la fame che Introduzione alla cultura giapponese induce nel lettore. E ancor più mirabile è la bilateralità della curiosità che instilla, di modo che non è solo del Giappone che viene voglia di sapere, ma anche della Francia dei Lumi.

«Tutte le nazioni hanno la fastidiosa tendenza a credere che la loro cultura sia la migliore del mondo» così che ciascuna nazione, scrive Nakagawa, pare malata di egocentrismo e rivolge ad un’altra una sorta di «sguardo deformante». La risposta a questo atteggiamento facile, rassicurante eppure profondamente sbagliato, pare essere il viaggiare, lo staccarsi da quel luogo di conforto per gettarsi nel mondo.

Nel corso dei suoi numerosissimi viaggi e soggiorni in Francia, lo studioso racconta di come grazie agli studi egli sia riuscito ad «abbandonare gli schemi concettuali e sentimentali dei giapponesi comuni», i vari cliché, facendo sì da arricchire il proprio sguardo rivolto alla lettura degli scrittori francesi, e soprattutto riuscendo un poco alla volta a «girare lo specchio per osservare allo stesso modo la [propria] civiltà».

Ecco allora l’#Interruzione: lo specchio che si gira, la scoperta di se stessi grazie all’osservazione dell’altro.

Il sottotitolo del resto lo anticipava: è di antropologia reciproca che stiamo parlando. In un andare e venire che è il viaggio da una cultura a un’altra, e ritorno. Ritorno che è presupposto di una nuova partenza.

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