Introduzione alla cultura giapponese. Saggio di antropologia reciproca di Hisayasu Nakagawa è l’interruzione che ci propone questa settimana Laura Imai Messina ricordandoci quanta generosità sia necessaria a un saggista.
Ecco una mente lucidissima, anche nei ripensamenti. Hisayasu Nakagawa era uno studioso che aveva una risposta ben argomentata, mai animosa, su ogni questione. Senza indulgere né nel protagonismo – benché lecito nel suo caso (fine studioso dell’Illuminismo francese, professore emerito dell’Università di Kyōto, direttore generale del Museo di Kyōto, è stato vicedirettore dell’Istituto di studi superiori di Kyōto e membro dell’Accademia del Giappone) – né nell’erudizione, ha dimostrato in questo eccezionale libretto non solo un comando invidiabile della lingua francese, ma del pensiero che sostiene entrambe la cultura occidentale e orientale.
In Introduzione alla cultura giapponese. Saggio di antropologia reciproca sono riuniti brevi saggi pubblicati tra il 1990 e il 1994 sul periodico “L’Äne” e il testo di una conferenza tenuta alla Maison franco-japonaise.
Disparati anche i temi trattati: si passa da un acuto confronto tra l’individualismo europeo e l’“uniformismo” giapponese – entrambi con caratteristiche proprie di vantaggio e svantaggio sociale –, a malintesi originati da traduzioni che prima ancora che alla lingua, sono ancorate alla cultura di origine e di approdo di un testo; dalla definizione del giapponese come lingua «lococentrica» (ovvero che, se per un occidentale gli eventi sono risultato di una azione umana in termini di merito e/o colpa, e più generalmente di responsabilità di un soggetto singolo, in giapponese è invece la situazione, la circostanza calata in una rete di condizionamenti ambientali, a determinarli), alla spiegazione di come la religione sia eccezionalmente percepita in un Giappone che non contrappone ma integra i credi buddhista e scintoista.
Nakagawa spiega tra l’altro quello che, erroneamente, gli stranieri giudicano il “sorriso falso” dei giapponesi e quel non dire che disorienta l’occidentale, ma che va inteso piuttosto come fiducia in un sentimento la cui verità sta nel manifestarsi “spontaneo e naturale”, senza didascalie. È un annuire costante perché, quelle che potrebbero configurarsi come intuizioni personali di chi ha a che fare con il Sol Levante, qui acquistano spessore e nitidezza.
Ci vuole generosità nel pensiero e nella parola per scrivere saggi, considerato che ogni pensiero che si dona si auto-rigenera e necessariamente si sviluppa in un altro tracciato. Così, dalla lettura di Introduzione alla cultura giapponese, scaturisce la curiosità verso il concetto di “Diritto e rovescio”, con cui il celebre psicanalista Doi Takeo illustra meccanismi tipici del comportamento giapponese, e per «l’intuizione-atto» di Kitarō Nishida, immenso filosofo vissuto a cavallo del 1800 e 1900, di cui esistono alcune traduzioni in italiano.
Prendendo a prestito parole d’altri, in una integrazione costante tra la Francia dei Lumi e il Giappone otto-novecentesco, Hisayasu Nakagawa ci suggerisce anche la percezione della morte, intesa non come conclusione della vita o come qualcosa da sconfiggere attraverso il ricordo, bensì come una delle varie forme che l’uomo assume su di sé.
Stupefacente la fame che Introduzione alla cultura giapponese induce nel lettore. E ancor più mirabile è la bilateralità della curiosità che instilla, di modo che non è solo del Giappone che viene voglia di sapere, ma anche della Francia dei Lumi.
«Tutte le nazioni hanno la fastidiosa tendenza a credere che la loro cultura sia la migliore del mondo» così che ciascuna nazione, scrive Nakagawa, pare malata di egocentrismo e rivolge ad un’altra una sorta di «sguardo deformante». La risposta a questo atteggiamento facile, rassicurante eppure profondamente sbagliato, pare essere il viaggiare, lo staccarsi da quel luogo di conforto per gettarsi nel mondo.
Nel corso dei suoi numerosissimi viaggi e soggiorni in Francia, lo studioso racconta di come grazie agli studi egli sia riuscito ad «abbandonare gli schemi concettuali e sentimentali dei giapponesi comuni», i vari cliché, facendo sì da arricchire il proprio sguardo rivolto alla lettura degli scrittori francesi, e soprattutto riuscendo un poco alla volta a «girare lo specchio per osservare allo stesso modo la [propria] civiltà».
Ecco allora l’#Interruzione: lo specchio che si gira, la scoperta di se stessi grazie all’osservazione dell’altro.
Il sottotitolo del resto lo anticipava: è di antropologia reciproca che stiamo parlando. In un andare e venire che è il viaggio da una cultura a un’altra, e ritorno. Ritorno che è presupposto di una nuova partenza.