In questa storia c’è una Casa – scritto con la maiuscola – e in questa casa abitano tanti bambini. Che non hanno nulla, se non se stessi e il luogo in cui vivono. Non sono fratelli ma un po’ sì… sono orfani ma ad accudirli ci sono le mamme della Casa. C’è un direttore. E c’è il custode.
Un giorno aveva chiesto a mamma Irene se avesse dei figli tutti suoi e lei gli aveva risposto di no, che i suoi figli erano loro. Ma lui sapeva che stava dicendo una bugia, perché teneva la testa bassa e la sua voce era triste.
Nella Casa si sta al sicuro. Riparati dalle brutture del mondo. E il mondo là fuori è un posto orribile, pericoloso. C’è la guerra? Per questo non li fanno uscire? Per questo non sanno che cosa stia accadendo davvero?
Erano stati fortunati, la luna era sottile ma abbastanza luminosa da non avere bisogno di una torcia. Nella Casa nessuno dei bambini ne possedeva una, anzi, nessuno dei bambini possedeva niente di niente.
Quel che è certo Nuto, Viola, Sandro, Giuliano un po’ si sentono prigionieri: non possono andare oltre il muro di cinta, non possono sapere. E non possono neppure dimenticare: la morte, il fuoco, le urla… popolano i loro incubi.
La notte sognava un’aria bollente, odore di fumo, allora si convinceva che i suoi genitori fossero morti in un incendio insieme a quelli di Nuto e che lui si fosse salvato grazie a sua sorella che era riuscita a fuggire portandolo in braccio. Le mamme dicevano che sognare il calore e gli odori era impossibile, e gli ripetevano che la fantasia era pericolosa.
Però questo orfanotrofio non pare uno come tanti, anche se i bambini desiderano essere scelti, queste famiglie che vengono a prenderseli ci fanno capire che c’è dell’altro… cosa?
Accostavano l’orecchio alle finestre chiuse nella speranza di sentire le loro voci mentre chiacchieravano con le mamme, o col direttore; si domandavano se erano voci di uomini e donne buoni, oppure cattivi.
Il lettore comincia a capire solo nella seconda parte di questo romanzo il senso di questo orfanotrofio. Il tempo di questa storia. E mentre cresce la consapevolezza di chi legge crescono anche i personaggi che ritroviamo, nella terza parte adulti.
Avrebbe voluto dire che il suo gioco preferito era chiudere gli occhi insieme a Dino e giuliano e ricordarsi il passato, ma era un segreto.
C’è la memoria in questa storia, il dolore e la fatica di mantenere vivo un ricordo che dà senso a un dolore e a chi lo prova. Ci sono boschi e montagne che vanno scalati e scoperti, perché nel buio tocca entrare se si vuole scorgere qualcosa.
Un racconto delicato e malinconico che commuove, una storia che resta nel cuore e nella testa.