Dieci verità scomode sull’editoria

Dieci verità scomode sull’editoria

Chi ci lavora le conosce bene queste 10 verità scomode sull’editoria, forse ne conosce molte di più! Ma sapere che qualcosa non va è il primo passo per cercare delle soluzioni e cambiare.

Le 10 verità scomode sull’editoria non saranno una novità per gli addetti ai lavori. Ma chi in questo settore vorrebbe lavorare, chi vorrebbe pubblicare e anche i lettori che vogliono capire meglio alcune dinamiche editoriali, dovrebbe conoscerle.

Preferisci guardare il video? Eccolo!

  1. In editoria si fanno dei bei soldi. Sì in effetti un editore, sul prezzo di copertina, guadagna il 4-5 %. Il 7-12 % è quello che si porta a casa l’autore. E i librai? Un libraio indipendente (cioè una libreria che non fa parte di una grande catena) compra un libro dal distributore con uno sconto del 30/35; vale a dire che su un libro da 19 euro, con il massimo sconto, il margine è di 6.65 euro e con questi soldi dovrà far fronte a tutte le spese (affitto, bollette gestionale…). Quindi, se vi alzate al mattino pensando che l’editoria sia quel posto in cui si fanno tanti soldi: tornatevene a dormire.
  2. Fare l’editore è folle. Tu produci ogni anno decine – centinaia se sei una grande casa editrice – di prodotti diversi l’uno dall’altro. Sono prototipi, come li definisce Oliviero Ponte di Pino, che hanno in comune solo la confezione e la forma (una copertina che racchiude fogli nel mezzo). È come se ogni anno una ditta dolciaria producesse cento linee di biscotti diversi, con nomi diversi, e dovesse anche decidere quali tra questi lanciare e promuovere, quali abbandonare al proprio destino. E, a fine anno, vedesse morire la maggior parte di questi prodotti.
  3. Fare lo scrittore è folle. Ti interessa il mondo tanto che te ne stai per la maggior parte del tempo da solo a raccontarlo. Passi mesi a scrivere e rivedere ciò che hai scritto, quando hai finito – se tutto va bene – convinci il tuo agente che quel lavoro è buono e il tuo agente convince un editore che sì, quel lavoro è buono, e l’editore dice all’ufficio stampa di convincere il pubblico a comprare quel libro perché è buono. Il tuo libro esce, vende poco (mille copie, cinquemila se va già bene) o non vende affatto e allora, dopo tre settimane dall’uscita, i librai che devono prendere altri libri e fare spazio, lo rendono all’editore. E il libro, così come ci entrato, esce dal mercato. E tu? Ti rimetti a scrivere.
  4. Quello dello scrittore sta smettendo di essere un lavoro. Perché un mestiere è tale solo se ti permette di sussistere. Gli scrittori non solo non guadagnano abbastanza per vivere dignitosamente, ma non guadagnano abbastanza neppure per vivere malamente. Quindi, se scrivete, non pensate di diventare ricchi pubblicando un libro con un editore. One book One back dicono gli americani e noi qui in Italia, potremmo tradurre con un euro a libro. Questo è ciò che si porta a casa, più o meno, un autore. E sappiate che degli oltre 65.000 titoli pubblicati nel 2016 moltissimi non hanno venduto più di 50 copie. In effetti venderne 1000 è già un successo, 6.000 è una ottima cosa. E le 50.000 copie di alcuni bestseller? Sono un miraggio, sono i numeri di pochissimi.
  5. Fare l’agente letterario, cioè rappresentare gli autori e guadagnare una percentuale (di solito si tratta del 15/20 per cento) sui diritti degli autori, è folle. Perché nella maggior parte dei casi si lavora per mesi per incassare una percentuale sul niente. Facciamo due conti: mettiamo che il nostro autore venda ben 5.000 copie – come detto non è poco – e diciamo, per comodità, che incassi 1 euro a copia. Il nostro agente guadagnerà ben 150 euro o, se è così esoso da chiedere il 20 %, ben 200 euro.
  6. Cari traduttori, dico a voi! Fare il traduttore no, non è un lavoro folle. Anzi, è un lavoro davvero speciale e prezioso ma è un lavoraccio. E, no, non è pagato benissimo ma almeno è pagato – recupero crediti permettendo – indipendentemente dalla fortuna di un libro. Ma voi siete matti ad accettare lavori in cui vi pagano meno con la scusa di darvi una percentuale sulle vendite del libro! (Un conto è essere pagati equamente e ricevere ANCHE una percentuale sulle vendite) Se dovessero proporvelo, voi ridete perché questa è una barzelletta.
  7. Ah, quanta robaccia in circolazione! E le sfumature e Fabio Volo… Avete presente le solite lamentele sulla qualità dei libri? Chiariamo: l’editore non fa il mercato. Ci prova! Alle volte ci riesce perché azzecca un libro che i lettori accolgono con entusiasmo: lo comprano, lo leggono, lo consigliano… Chi lo fa il mercato? Gli acquirenti, cioè i lettori che con le proprie scelte decidono che cosa funziona e che cosa no. Così, la prossima volta che della “robaccia” scala le classifiche sappiamo tutti con chi prendercela. Sempre che abbia senso farlo…
  8. Gli editori non fanno i soldi con i bestseller. Alcuni editori, talvolta, imbroccano il libro giusto, quello che vende. Ma spesso hanno fatto “bagni di sangue” con libri sbagliati e hanno strapagato autori che non hanno venduto nemmeno la metà di quanto previsto. Gli editori fanno i soldi con le guide, i libri di cucina, alcuni classici, i manuali, i saggi, i libri per bambini… libri che vendono poco ma continuano a farlo nel tempo. È la cosiddetta coda lunga. Ecco tutti gli editori ne vorrebbero più di una!
  9. Attenzione a come si occupano gli spazi. Un tempo i testi pop servivano anche per finanziare proposte più ardite e letterarie. I testi di nicchia cosiddetti (quelli che spesso vale davvero la pena leggere). Adesso ci sono pochi soldi. Perciò, se pubblichi robaccia questa occupa spazio sugli scaffali, in rete, sulle pagine dei giornali, in tv o in radio. E se vende, i soldi che incassi li investi in altra robaccia! Quindi no, la robaccia non finanzia più la qualità ma finanzia altra robaccia.
  10. L’editoria è il luogo delle idealizzazioni: “Ah il profumo della carta” (segue invettiva contro gli ebook), “ah la cultura necessaria” e “le parole, le parole sono importanti e vanno usate con cura”. E poi “le librerie, che luoghi meravigliosi sono le librerie!”. Peccato che troppo spesso si scopra la loro esistenza quando stanno per chiudere… Perciò occhio, perché come diceva John Dewey: “Il valore degli ideali sta nelle esperienze a cui essi conducono”. Perciò se questi ideali non vi conducono tra le pagine di un buon libro o all’interno di una bella libreria, fatene a meno.

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6 Comments

  • Io sono una scrittrice di testi impegnativi, non romanzi. Da un paio d’anni , nonostante la mia età avanzata, ho voluto fare l’esperienza di pubblicare attraverso varie tipologie di editoria. Non ho il problema , ringraziando iddio, di guadagnare dalla vendita dei miei libri per mangiare, tuttavia è stata un’esperienza interessante che mi ha fatto conoscere una realtà economica, non culturale certamente, che mi ha convinto a desistere, non già dallo scrivere, ma dal pubblicare, perchè, tuo malgrado, entri in una specie di girone dantesco di ansie, aspettative, svalorizzazioni, anche un pò piratesche. Il mercato non lo fa solo l’acquirente, ma anche ” l’operatore culturale”, quale dovrebbe essere l’editore, altrimenti è un imprenditore qualsiasi che potrebbe fare le viti o i sacchetti di plastica.

    • E i romanzi non possono essere impegnativi? Povero Proust e povera Woolf 😉
      Comunque mi par di capire che il suo viaggio nel mondo editoriale non sia stato granché confortevole.
      Purtroppo i problemi non mancano, e lo sappiamo, e non mancano neppure i ciarlatani. Ma ci sono anche persone capaci e realtà di successo.
      Bisogna scegliere bene.

  • Ciao, al punto 5 c’è un piccolo errore: se l’autore vende 5000 copie (beato lui) e incassa 1 euro a copia, l’agente ne guadagna 750 al 15%. 150 euro è il guadagno dell’agente se il libro del suo autore vende 1000 copie.
    Non che con quei 600 euro all’anno in più l’agente si arricchisca, per carità…

  • L’editore non ha alcun controllo sulle vendite di un libro (fosse per lui, ogni nuova proposta dovrebbe essere un best seller). Non ha alcun controllo sul mercato, non puó prevederlo – sebbene qualcuno si illuda commissionando inutili analisi. Non conta la qualitá della scrittura, si sa, non conta l’impegno sincero degli autori. Che fare, dunque, da editore? Fare tantissime piccole scommesse molto varie, assicurandosi che eventuali fallimenti comportino perdite contenute ed eventuali successi guadagni elevatissimi. In questo modo ci si puó permettere di perdere 99 volte e vincere una sola – una prestazione peggiore anche del puro caso – e i conti saranno comunque positivi. Nassim Taleb (Il Cigno nero): asimmetria tra guadagno e perdita. Il mondo dell editoria, dell’arte, è tutto o nulla: il vincitore (che non è il più bravo, beninteso: quello che ha venduto di piú per ragioni imprevedibili) non si prende una fetta di torta, si prende tutta la torta. A chi ha sará dato.
    È bene che tutti coloro che vogliono scrivere lo sappiano. Quando rosicchiano la matita guardando il vuoto per ore alla ricerca della frase piú vera, sappiano che questo non vorrá dire avere piú riconoscimento e successo. E questa consapevolezza quanti ne fará desistere? Esatto: nessuno. Grazie a dio. Non chiedete mai alla vostra scrittura di pagarvi l’affitto e continuate pure a farlo. È cosí che funziona, da sempre, non solo nell’editoria, non solo nell’arte.

  • Buongiorno Chiara, e grazie delle pillole.
    Mi sono sempre chiesto se esista un sito pubblico dove è possibile scoprire quante copie ha venduto un libro…
    Grazie mille
    Alberto

    • No, Alberto.
      Sono dati che hanno gli editori o che si possono avere pagando un servizio.

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