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Un luogo a cui tornare, Fioly Bocca, Giunti
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Un luogo a cui tornare – Fioly Bocca

Ragazzo incontra ragazza. Uomo incontra donna. Potrebbe stare – quasi – tutta qui la narrativa. Perché è nello spazio che si crea tra due persone, nei pieni e nei vuoti delle loro esistenze che si generano conflitti e nascono storie.

Ed è alla diade che guardiamo, spesso, per capire come va il mondo. Per interrogarci sugli uomini e sulle donne, per vedere a che punto stanno. Le persone le capisci nei momenti di stress, così si dice (e non si sbaglia troppo). Le persone si conoscono soprattutto quando entrano in contatto con l’altro.

Argea? Lei è stufa di trovarsi sempre allo stesso punto. Con un uomo, Gualtiero, che lavora anche il giorno del proprio compleanno perché “se saltano fuori problemi improvvisi” no, non si tira mai indietro. Questione di priorità…

Credevo che un uomo del suo spessore amasse raccontarsi, dire di sé, dei propri successi. Invece no, non gli importava. Era sfuggente, diceva cose a metà. Divagava: un alunno svogliato alla cattedra. Mi guardava fermo. Ecco, così è il suo modo di guardare: fermo. Tutto presente a se stesso, tutto impigliato nell’attimo.  

Camminava guardando dritto davanti a sé e mi indirizzava occhiate oblique a intermittenza. Sentivo un piacere piccolo, quando mi includeva nel suo campo visivo.

Argea è felice? No, perché non ha ciò che vuole. Una famiglia per esempio. Anzi, infelice lo è doppiamente perché intravede quello che potrebbe avere e le pare tanto vicino quanto irrealizzabile. Se fai sempre le stesse cose, ottieni gli stessi risultati. E allora toccherebbe cambiare… per vedere, come dice la canzone, l’effetto che fa. Alle volte però la vita ha fretta e fa in modo che il cambiamento ti piova addosso…

Non è quello che accade, Argea. ma quello che uno fa, delle cose che accadono.

In questo caso si tratta di un incidente d’auto. Nell’impatto Argea riporta ferite gravi mentre l’uomo che ha investito, ed è sbucato dal nulla, è in coma. Si chiama Zeligo, è un senzatetto, bosniaco, che non possiede nulla a parte una storia di immenso dolore alle spalle. E così la coppia, questa donna e quest’uomo, devono fare i conti con qualcosa ben più grande di un semplice inciampo. Devono vedersela con una persona, la sua umanità e il suo sguardo sul mondo.

Perché gli altri, alle volte, saggiano la solidità delle nostre vite e delle nostre scelte. Ci cambiano perché ci costringono a guardare per davvero chi siamo e cosa vogliamo. Attraverso gli occhi degli altri le nostre scuse, le nostre paure non reggono più…

L’amore che finisce si inabissa, silente. Ha i passi felpati della marcia funebre, la voce sussurrata delle parole da non dire.
L’amore che finisce ti apre in due, ma zitto.

La coppia, l’incidente, l’uomo tutto lavoro e poco sentimento, la scrittrice e giornalista capace ma debole nella vita privata, il senzatetto con la storia di disagio alle spalle… a guardare così la trama e gli ingredienti della narrazione c’era di che preoccuparsi: il rischio cliché era altissimo. Così come era altrettanto facile sfornare una serie di personaggi stereotipati.

E i preconcetti qui c’entrano, perché il libro affronta anche questo tema… Fioly Bocca sceglie una storia semplice. Lavora in purezza. Non forza la mano, non sente il bisogno di congegnare una trama stupefacente. E riesce a far sì che il lettore, invece di ascoltare, si senta ascoltato e compreso. Che è una piccola – ed elegante – magia.

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2 comments

Sandra 26/09/2017 at 20:28

Leggevo il blog di Fioly anni fa, lei scribacchiava passami il termine, io avevo già pubblicato malamente. La esortavo a continuare, capivo che c’era la stoffa, lei mi ringraziava.
Poi Fioly ha messo il turbo, è approdata in Giunti, questo è il suo 3^ romanzo, i primi due li ho letti e apprezzati, e io non posso che pensare “l’avevo detto io!”

Chiara Beretta Mazzotta 27/09/2017 at 15:19

Eh sì, il turbo!
E soprattutto mantiene la “voce” e il garbo dell’esordio.
Ma lo so io che te ne capisci! 😉

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