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Salone di Torino, Fiera di Milano: raddoppiano i guai?

Altri guai per l’editoria italiana. L’Aie invece di prendere decisioni produttive divide e rischia di far doppio danno. E lo Stato? Quando arriverà a dire la sua sarà di certo troppo tardi.

Il futuro del Salone del Libro si preannuncia incerto. Ieri mattina alle 11 il consiglio generale dell’Aie (l’Associazione italiana editori) presieduto da Federico Motta si è riunito per stabilire le sorti della manifestazione.

In lizza? Torino che da 30 anni ospita il Salone, è supportata dai Ministeri e ha annunciato l’arrivo dell’ex ministro alla cultura Massimo Bray alla guida della Fondazione per il Libro e Milano che propone per maggio 2017 un progetto nuovo, a suo dire più economico e funzionale, ospitato alla Fiera di Rho.

Ha vinto Milano con 17 voti favorevoli: 32 i presenti, 8 gli astenuti, 7 i voti per Torino sostenuta da Feltrinelli, Gallucci, Marcos y Marcos, Hoepli e Nottetempo.

Tutto risolto? No, perché Mentre l’Aie chiede a Motta di realizzare una joint venture con Fiera Milano per dare vita a una kermesse (per ora senza nome) che conta sull’appoggio dei colossi editoriali milanesi e forse anche del Centro per il libro (sì, il mio amato Cepell!) Torino dichiara che farà comunque il suo trentesimo Salone al Lingotto.

Sì, avete capito bene. Il rischio è avere il Salone a Torino e una Fiera a Milano a pochissimi giorni di distanza l’uno dall’altra. Avremo maggiori notizie domani quando, a Torino, si riunirà la Fondazione per il libro (di cui fa parte anche Aie, ci sarà?).

Mentre aspettiamo non ci resta che fare il punto. Il Salone è sopravvissuto a bilanci da chiudere (per anni non ci sono riusciti, il 2016 sì), numeri gonfiati (di sicuro nel 2013, 2014 e 2015), soldi volatilizzati, dimissioni a ripetizione (2015 anno funesto), Ibf a rischio (la sezione dedicata ai professionali quest’anno c’è stata per miracolo), vaghe proposte di rinnovamento… Milano fa una parte antipatica: quella della secchiona che dà la lezioncina, ma a parole, e non pare agire in modo limpido (infatti c’è già una petizione in cui si legge “i milanesi stanno provando a portarcelo via [il Salone] con metodi subdoli”).

L’Aie non certo aiuta perché invece di realizzare un fronte comune, divide. L’Associazione italiana editori è nata nel 1869 ma all’epoca si chiamava Ali, divenuta Atli nel 1871, quando univa editori, librai e tipografi. Sì, perché da associazione di categoria del settore librario si è trasformata nella congrega degli editori (e i librai e i tipografi?). Non tutti, visto che rappresenta il 90% del mercato librario italiano.

A cosa serve? Dovrebbe “rappresentare e tutelare gli editori, favorirne la crescita professionale, rimuovere gli ostacoli allo sviluppo di un moderno mercato editoriale, contrastare i fenomeni di illegalità e mancato rispetto del diritto d’autore. Come pure favorire tutte quelle iniziative che siano di reale e concreto contributo alla diffusione della lettura e del libro, dell’allargamento del mercato domestico, oltre a favorire tutti i processi di internazionalizzazione delle imprese e della cultura italiana nel mondo”.

Non è stata finora capace però di distinguere tra editori veri e non (i cosiddetti “editori” a pagamento o le case editrici che nascono per pubblicare un solo libro, di solito quello dell’editore stesso), non ha mai proposto un vero censimento né imposto una sorta di carta di identità in cui gli editori fossero costretti a dichiarare in modo limpido la propria politica editoriale. I maligni, tra cui la sottoscritta, dicono che questo non accade perché i non-editori sono più danarosi degli altri. Basta per esempio farsi un giro al Salone: gli Eap non mancano. Perché? Possono permetterselo.

E gli editori veri potranno permettersi un Salone e una Fiera a una settimana di distanza? Difficile, visto che la crisi non è una opinione. Dovranno quindi scegliere. Si finirà con l’avere i grandi editori a Milano e gli indie a Torino? I milanesi resteranno in città snobbando Torino? I torinesi boicotteranno Milano colpevole dello “scippo”? Gli eap saranno dappertutto guastando entrambe le manifestazioni con la loro scarsa qualità? A perdere in qualsiasi caso saranno i lettori e i visitatori.

«Guai a dare vita a due saloncini» ha dichiarato il presidente della Regione Sergio Chiamparino dopo aver appreso la notizia. Come dargli torto? Se siete di Milano o degli addetti ai lavori forse ricordate l’assurdo teatrino di Bellissima versus BookPride: la fiera degli editori indipendenti che dopo un esordio positivo nel 2015 si è divisa in due. Due fiere del libro indipendenti a poche settimane di distanza, una che è stata disertata (a parte dagli eap, quelli c’erano eccome) e l’altra di discreto successo ma che di sicuro ha perso qualche ospite e pure qualche espositore a causa del suo clone (generato da una lite tra gli organizzatori).

Rifaremo la stessa boiata anche stavolta? Perseverare in modo diabolico è una interessante qualità di chi lavora in editoria. In questo siamo bravissimi, pare.

Ieri sera anche E/O si è fatta sentire: “Questa decisione rivela la subalternità dell’associazione alle strategie dei grandi gruppi editoriali milanesi ed è stata presa senza un’ampia consultazione e tempestiva informazione degli iscritti. (…) Per noi è evidente che a Milano non ci saranno le necessarie garanzie per un’equa rappresentazione dell’editoria indipendente e per un valido progetto culturale. (…) L’Aie, che già adesso non annovera tra i suoi soci importanti editori indipendenti di cultura, perde così un’occasione per una politica di maggiore equità ed equilibrio capace di rappresentare i diversi interessi del mondo editoriale. Per questo motivo usciamo dall’Associazione e continueremo in altre sedi e forme la nostra battaglia per il pluralismo culturale.”

Altro che Aie, Ahia.

► Aggiornamento delle ore 19 Oltre a E/O abbandonano Aie: 66thand2nd, Add, Iperborea, Lindau, LiberAria, minimum fax, Nottetempo, Nutrimenti, Sur.

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