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Chi fa cosa? Il traduttore editoriale

Sempre in bilico tra creazione e vincoli da rispettare, ci permette di leggere i libri scritti in lingue a noi ignote digerendo le bizze dell’editoria e accettando, spesso, un ingiusto anonimato. 

Tra le tante metafore usate per descrivere questa professione, quella che ho amato di più (mannaggia, non riesco a rintracciare l’autore) è quella del “traslocatore di senso”. Perché qui non si traslocano parole ma significati, quindi tocca riscriverli con le parole appropriate cioè quelle della lingua di destinazione. Mi piace perché dà l’idea di dover conservare e creare nello stesso tempo.

Non mi addentro oltre perché è dai tempi di Leonardo Bruni e del suo De interpretatione (1420) che si discute di cosa sia, o dovrebbe essere, una traduzione e quali sarebbero i compiti del traduttore. Se vi capita, ci sono spesso tavole rotonde e a approfondimenti su questo mestiere e si imparano moltissime cose. Soprattutto si capisce quale gran lavoro ci sia dietro, anzi, dentro un libro.

Un traduttore editoriale realizza una opera dell’ingegno autonoma al pari di un autore

Insomma è un mestiere misterioso quello del traduttore. Perché manuali, grammatiche, corsi, studi approfondimenti a parte – e te lo confermano tutti i traduttori – si tratta di intraprendere la via dell’artigiano: fare per imparare a fare, così da saper fare meglio.

Alcuni, sprezzanti del pericolo, decidono di approdare in editoria ed entrare a far parte dell’allegra filiera diventando traduttori editoriali. Cioè? Un traduttore editoriale è chi traducendo realizza una “opera dell’ingegno autonoma” e quindi – come quella di un qualsiasi scrittore – tutelata dalla legge del diritto d’autore. In soldoni a un autore/traduttore sono riconosciuti i diritti morali e patrimoniali sulla propria opera. Ricapitolando: lo scrittore scrive, il traduttore traduce, entrambi sono considerati autori di una opera di ingegno, opera di cui cedono – con regolare contratto – a terzi i diritti di commercializzazione su cui percepiscono le royalty.

Attenzione: un traduttore editoriale non è uno che traduce romanzi, quello si chiama traduttore letterario. Non ci sono percorsi obbligati o specifici titoli di studio per diventarlo ma è indubbio che – rivelazione delle rivelazioni – bisogna saperlo fare!

Io annovero tre doti necessarie per affrontare la professione, oltre alla precisione e l’amore per le parole: scarso appetito (l’editoria è un settore poco florido), pazienza (incassare i soldi è un’arte, zen) e intuito (scoprire subito chi ti farà lavorare e rilavorare e rilavorare, trainandoti da un mancato pagamento all’altro, è utile per sopravvivere).

Citare il traduttore non è un optional! Senza di lui il libro non esisterebbe in quella lingua

Quello del traduttore è anche un mestiere contraddittorio. Si scopre presto di essere indispensabili (tante risate per quegli editori buontemponi che ripropongono, per non pagarle, traduzioni del 1805) ma non tanto da finire in copertina (fatta eccezione per qualche casa editrice) e tocca rassegnarsi alla citazione a singhiozzo, cioè a essere ricordati in modo del tutto casuale ed estemporaneo quando si parla dell’opera che si ha tradotto.

Sì, udite udite, citare il traduttore non è un optional, come detto sopra, il traduttore è un autore a tutti gli effetti di quell’opera. Quindi, quando scrivete una recensione o parlate di un libro RICORDATEVI di chi l’ha tradotto!

Come si comincia a lavorare in editoria? Le vie del mestiere sono infinite ma tutto, di solito, inizia con una “prova di traduzione”: la casa editrice richiede cioè di cimentarsi con un estratto del testo (di solito l’incipit) di 5-10 cartelle. In questo modo l’editore dovrebbe verificare le abilità del traduttore. Va detto che tradurre significa “entrare” nel testo (molti traduttori parlano del famoso “clic” come del momento in cui si sblocca la traduzione, quel quid che finalmente la rende fluida e peraltro costringe a rivedere molto bene tutta la parte che precede lo “sblocco”) e quindi poche pagine non consentirebbero di sviluppare la sintonia con l’autore e la sua voce. La prova, per inteso, è gratuita e viene fatta prima della firma del contratto di traduzione.

Spesso tra autore e traduttore si crea un sodalizio prezioso e lo stesso traduzione diventa la voce di uno scrittore in un dato Paese. Di sicuro per un traduttore conoscere a fondo la voce dell’autore è utile per fare il proprio lavoro al meglio. Alle volte questa continuità è spezzata dall’editore (e quasi sempre è una faccenda di soldi, ahimé, cioè di costi da abbassare).

Capita pure che a tradurre un testo siano più traduttori. Questo capita quando i tempi per la pubblicazione sono strettissimi. Ovviamente il lavoro più difficile sarà quello del revisore di traduzione (parleremo anche di lui!) che dovrà uniformare le voci dei traduttori.

Quanto viene pagato un traduttore?

Veniamo alle dolenti note, i compensi. Anche per la traduzione (come per la correzione bozze) non esiste un tariffario. Quindi potete trovare l’editore che paga 18-20 euro a cartella (2000 battute o 1800 battute) ma pure il traduttore che si svende per 4 euro (massacrando il mercato, come sempre si fa quando si accetta di lavorare sottopagati).

Vivere di traduzione è comunque molto difficile e – vuoi la crisi vuoi l’immensa difficoltà a riconoscere il lavoro culturale come tale – i compensi hanno subito una contrazione negli ultimi anni. Un traduttore è un libero professionista ma – per sua fortuna – non ha bisogno di aprire una partita iva (qui, sul sito di Strade, il sindacato traduttori editoriali, potete trovare qualche informazione).

Quali sono le competenze che deve avere un traduttore?

Un traduttore è ovviamente un gran lettore. Proprio per questo motivo può incappare in un testo di valore che in Italia non è stato ancora tradotto (per saperlo con certezza? Basta scrivere all’editore straniero) e fare una proposta editoriale. Cioè inviare una presentazione del testo alla casa editrice italiana che potenzialmente ritiene più idonea a pubblicarlo. Si tratta di informarla della storia, del suo autore e farle leggere qualche capitolo originale e tradotto così da permetterle di saggiare il risultato finale.

A conti fatti la filiera editoriale si sta allungando ma ha diverse figure che si occupano di fare scouting, cioè trovare storie e voci interessanti e anche il traduttore può essere prezioso in questo senso.

Se volete sapere qualcosa di più su questo mestiere leggete La voce del testo. L’arte e il mestiere di tradurre di Franca Cavagnoli (Feltrinelli) e Falsi d’autore, Guida pratica per orientarsi nel mondo dei libri tradotti di Daniele Petruccioli (Quodlibet) – consigliati da chi ne sa parecchio più di me in materia. E poi imparate a conoscerli i traduttori, badate al loro nome quando leggete un libro. E vogliategli bene, perché se non ci fossero la vostra libreria sarebbe molto molto molto meno ricca.

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Chiara Beretta Mazzotta

4 comments

sandra 22/06/2016 at 19:13

Anni fa un mio insegnante di scrittura creativa disse “le traduzioni sono come le donne: o sono belle e infedeli o brutte e fedeli” pensai che fosse una gran cavolata. Nel tempo ho avuto la fortuna di conoscere di persona diversi traduttori molto affermati: Silvia Castoldi in primis con la quale ho frequentato un altro corso di scrittura creativa (bravissima anche a scrivere tra l’altro), Matteo Colombo che lavora per minimum fax (editore sublime che cita tutti, manca solo chi procaccia i caffè per le nottate!) e ha ri-tradotto Il giovane Holden per svecchiarlo, e alcuni altri e ho così avuto la conferma che quella frase era una scemenza.
Belle e fedeli esistono, per quanto la fedeltà non s’intende solo non stravolgere la storia, ci mancherebbe, ma mantenerne lo stile, e qui credo che arrivino i dolori. W i traduttori, io li cito sempre però noto che molti blog letterari che si auto incensano non lo fanno. Baci

Chiara Beretta Mazzotta 22/06/2016 at 19:38

Fossero solo i blog letterari, Sandra! Sui giornali e in radio e in tv… anche se stiamo migliorando, mi pare. Comunque io lo piazzerei in copertina il nome del traduttore. Se per prima la casa editrice mette in un cantuccio il nome del traduttore, è ovvio che dà l’impressione ai non addetti ai lavori che si tratti di un dettaglio secondario.
Mi piace la tua citazione! Ci sono anche le ottime traduzioni dei brutti testi (in certi casi l’infedeltà non basta, toccherebbe proprio riscrivere!) 😉

Fosca Azzolin 04/12/2023 at 23:52

Articolo interessante. Grazie per condividerlo!
Devo purtroppo aggiungere che se si lavora per agenzie, il nome del traduttore o della traduttrice non si vede proprio da nessuna parte. Ho tradotto una quantità di libri e solo un autore ha direttamente richiesto di mettere il mio nome come traduttrice. Triste, ma vero. Semza menzionare che, udite, udite, ci si ritrova persino ad essere editori. Qualcosa in questa immagine non torna… Sicuramente, non definirei il lavoro di traduttrice come un lavoro “lucrativo”. Ad ogni modo, la passione non manca, e allora Viva il mondo delle traduzioni! 😊

Chiara Beretta Mazzotta 20/12/2023 at 16:44

E lo so, quando si è dentro una agenzia, è proprio vero, si sparisce…
W il mondo delle traduzioni!

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