Hai terminato il tuo romanzo (ovvero hai terminato di terminarlo per l’ennesima volta ché se lo rileggi ancora finirai preda del delirio) e dopo una iniziale euforia sei piombato in una cupa disperazione: e adesso? Che fare? A chi rivolgersi? Vediamo cosa serve per pubblicare un libro…
Siete sopravvissuti alla stesura del testo? Bene. Lo volete inviare? Non fatelo!
Il primo consiglio su come pubblicare un libro è chiudere il file in un cassetto e dimenticarvelo per almeno tre settimane/un mese. L’obiettivo è proprio scordarvi di ciò che avete scritto. Se avete lavorato bene, infatti, a furia di letture e riletture, avete imparato a memoria non soltanto la storia ma anche le singole frasi. Le avete nelle orecchie, tipo canzonetta pop, e non sareste in grado di intercettare una bruttura o un errore neppure se vi facesse “ciao ciao” con la manina.
Non barate! Altrimenti è fatica sprecata. Trascorso il periodo di confino, potete riammettere alla memoria la vostra storia. E rileggerla. Questa è una revisione preziosa perché dovreste riuscire a recuperare un po’ di freschezza e intercettare meglio le lacune. Fatto anche questo passaggio, se siete sempre dell’idea di spedire il testo. Fatelo. A chi? Vediamo.
Un editore
Sono creature misteriose si sa, ma non temete, potete contattarle senza mettere a repentaglio la vostra vita. Esiste una leggenda urbana per cui i Big (i grandi editori ndr) non leggerebbero MAI nulla di ciò che ricevono via posta o mail. Si vocifera di stanze sconfinate in cui, talvolta, entra un redattore, afferra un manoscritto e lo getta nell’inceneritore (quale editore non ne ha uno?!). Balle. Esistono editori che non accettano manoscritti (e di solito lo scrivono chiaramente nel proprio sito). Quindi sì, in questo caso lasciate stare, passare da idioti è doppiamente inutile.
Quale casa editrice scegliere per pubblicare un libro? Come evitare le fregature dopo aver pubblicato un libro? Se si tratta di un grande editore, la fama garantisce per lui. E per tutti gli altri? Se vi chiedono soldi o vi propongono di condividere le spese, acquistare copie o altri servizi a pagamento (editing, correzione bozze, impaginazione), lasciate perdere: si tratta di un editore a pagamento. Son soldi sprecati, signori, esiste il selfpublishing per pubblicare un libro.
Perché scegliere un editore medio-piccolo per pubblicare un libro?
Perché le possibilità di interloquire con un essere umano sono maggiori in strutture più contenute, dove non vigono le dinamiche da mega-azienda-galattica. E se storcete il naso all’idea che non sia Mondadori a darvi alle stampe, vi ricordo che il gigante (se è disattento) rischia di schiacciarti. Iniziare la gavetta con un indie, può essere meno shoccante: magari si procede piano (piccole tirature, piccoli numeri, piccola distribuzione) ma si imparano le regole del gioco e nel frattempo si mettono meglio a fuoco le proprie storie e il proprio bagagli di contenuti e parole.
Piccolo, però, spesso fa rima con poco organico quindi – paradossalmente – talvolta i piccoli editori hanno maggiori difficoltà a valutare i nuovi testi, sono più selettivi e categorici, e pure più difficili da contattare. Anche in questo caso: badate alle informazioni presenti sul sito. E abbiate pazienza.
→ Contro Se optate per il contatto diretto probabilmente non saprete mai se siete stati letti e scartati o se il vostro dattiloscritto è ancora nella pila “da leggere”. E no, non sussistono neppure tempi di lettura ragionevoli. Tutto dipende dall’editore. Alcuni, big compresi, non solo leggono ma mandano belle mail di risposta (io li chiamo rifiuti incoraggianti e sì, li ho visti con i miei occhi).
Agente letterario
Non volete aspettare né rimanere in bilico senza sapere quale sorte sia toccata alla vostra storia? Potete scegliere di rivolgervi a un agente. È quella figura che si frappone tra autore ed editore e tutela gli interessi del primo. È un intermediario, ha il compito di far in modo che un libro sia pubblicato e che, in seguito, l’editore adempia i propri doveri contrattuali.
Se interessato alla vostra storia (non è obbligatorio che accetti di rappresentarvi!), l’agente individua gli editori papabili. Contatta gli editor che hanno il compito di vagliare i titoli da pubblicare e fa leggere loro il testo. Quando un editore manifesta interesse, l’agente si occupa del contratto editoriale, ogni punto, infatti, è negoziabile. In soldoni si occupa delle royalty che spettano all’autore: la percentuale di incasso su ogni testo venduto e le percentuali relative allo sfruttamento dei diritti secondari, cioè i diritti di trasposizione dell’opera in altri formati (traduzioni, pubblicazioni all’estero, adattamento radiofonico, teatrale, cinematografico; tutti diritti che, peraltro, non è obbligatorio cedere) e si occupa pure degli anticipi. Cioè si scanna per gli anticipi, ormai una sorta di chimera in questo disastrato mondo editoriale.
Quando il libro è stato pubblicato, controlla i rendiconti e che all’autore arrivi ciò che gli spetta. In sostanza, ahi lui, si occupa del recupero crediti. Nel frattempo si interessa della vendita dei diritti all’estero e, se sussistono i presupposti, propone la storia alle case di produzione cinematografica. Da noi non si diventa ricchi con il cinema ma qualche soldino può entrare soprattutto grazie ai diritti di opzione: le case di produzione fanno infatti una sorta di pre-acquisto, una semiacquisizione per bloccare un’opera (e magari iniziare a lavorare alla sceneggiatura). Nella maggior parte dei casi non se ne fa nulla e l’opzione scade, ma intanto si viene pagati.
L’agente è la persona con cui potete lamentarvi dell’editore che non vi capisce, dell’ufficio stampa che non vi promuove e l’unico che può fare qualcosa per darvi una mano. Questo accade nel migliore dei mondi possibile, ovvio. E tutto dipende dalla persona che avrete scelto e dal vostro libro. Con un bestseller per le mani lavorare meglio è più facile (frase da annoverare tra le “grandi verità”).
Quanto costa un agente?
Lavora trattenendo una percentuale sulle royalty incassate: parliamo di un 15/20 per cento. Dobbiamo però distinguere tra rappresentanza e consulenza editoriale. Ci sono agenzie che richiedono una lettura preliminare dell’opera e forniscono una scheda di valutazione all’autore: questo serve all’agenzia sia per selezionare i testi, sia per coprire le spese. È semplice: un autore certo della bontà del proprio lavoro (quindi non interessato a ricevere alcun giudizio preliminare) si dovrà rivolgere a un agente che offra la sola rappresentanza. Se si vuole un giudizio o lavorare ancora al proprio testo, ha senso rivolgersi a una agenzia che fornisce servizi editoriali.
Molti autori si lamentano per questo “dazio”. Per prima cosa, è banale dirlo, ma la consulenza editoriale non è un obbligo. Quindi, se non volete pagare per la lettura del testo, non fatelo! Le agenzie che non chiedono alcunché ci sono.
Dire che un agente compie un illecito chiedendo un fee per la lettura, sostenendo che basterebbe leggere la sinossi e qualche cartella del testo per scartarlo, e che un agente dovrebbe guadagnare solo dalle percentuali sulle vendite (come avviene all’estero), è sbagliato. E indica che non conoscete i numeri del mercato editoriale italiano. Da noi i volumi di vendita sono troppo ridotti. Vendere 5mila copie, oggi, è un evento. Un esordiente spesso non arriva a superare le mille copie, quando tocca le 15mila è un autore di successo. Facciamo i conti. Mettiamo il caso più roseo: l’autore ha venduto 15mila copie, per semplicità diciamo che ha incassato 15.000 euro (e 1 euro a copia non è un dato troppo distante dalla realtà, della serie “one book one buck”) e ha un agente che trattiene il 20 per cento delle royalty, parliamo quindi di 3.000 euro di compenso per un lavoro che nella maggior parte dei casi ha richiesto mesi. E se un autore vende 800 copie e l’agenzia chiede il 15 per cento? Come si sopravvive con 120 euro? Anche queste guadagnate dopo mesi di lavoro. La verità è che resistono grazie alla rappresentanza solo le agenzie che hanno in scuderia autori di calibro e pochissimi esordienti. E quando accanto al nome di una agenzia leggete la dicitura “autori selezionati” significa che entrare in scuderia è da miracolati.
E poi bastano davvero poche pagine per scartare un testo?
Ci sono tre tipi di manoscritti: quelli brutti, e lo capisci leggendo le prime 10 righe; quelli belli, e lo capisci leggendo le prime 30 righe (qualcuna in più per scaramanzia, dài!); quelli mediocri. I primi e i terzi sono i più numerosi. Il problema di quelli mediocri? Non bastano 30 righe. Neppure 50. Tocca leggerli per intero. Perché qui qualche ottima idea convive con svariate pessime trovate e la scrittura è schizofrenica: efficace, sciatta, cacofonica, oscura, ridondante… sono anche i testi che, dopo alcuni consigli, hanno la possibilità di scalare la classifica e finire nel gruppo uno. Si possono ignorare o ci si può lavorare, sono scelte.
Se volete la sola rappresentanza, cercate quella. Gli agenti non mancano, ma spesso hanno rigide regole di invio (accettano ogni mese una piccola quota di testi in visione) e non motivano le ragioni di un eventuale rifiuto, perché non forniscono valutazioni (non ne avrebbero il tempo!). Non vi lamentate, se arriva un no secco. Sono le regole del gioco.
Se vi interessa un parere dettagliato, rivolgetevi a chi ve lo offre. Usate giudizio: se vi chiedono 1000 euro per valutare un romanzo di duecento cartelle, credete ne valga la pena? Applicate la stessa cautela anche per i servizi accessori offerti dall’agenzia. La correzione bozze è davvero necessaria? Sì, se siete un autore che ha optato per il selfpublishing e ha bisogno di una revisione attenta prima di buttare il proprio libro in pasto ai lettori; altrimenti, se il testo verrà presentato a un editore, basta che sia in ordine, mai visto una casa editrice rifiutare una buona storia per un refuso! Certo, se non sapete che si scrive po’ e non pò, della correzione avete bisogno (e pure di altro…). E se vi chiedono 4.500 euro per un editing di 50 cartelle e 4.000 per la rappresentanza? Scappate e spargete la voce (succede, chi lo fa, lo sa).
Un agente serve?
L’autore scrive, l’agente si occupa delle questioni pratiche. È un rapporto limpido in cui si realizza una totale equivalenza di interessi: più l’autore ottiene, più l’agente ricava. Quindi fare bene, farlo alla svelta e sapersi ripetere è indispensabile per l’agente e molto utile per l’autore. Dalla mia esperienza lo stesso libro presentato da una agenzia oppure dal solo autore ottiene trattamenti differenti. Ed è noto: le grandi case editrici ormai lavorano soprattutto tramite agenzia quindi arrivare ai big, senza contatti, è difficile.
Come trovare un agente? Basta una ricerca in rete (le agenzie che non figurano difficilmente accettano nuovi autori). Mi astengo dal farvi nomi perché, collaborando con diversi agenti, mi parrebbe scorretto. Cercate prima di tutto di capire cosa offrite: cosa avete per le mani? Saggistica o narrativa, il genere del vostro romanzo, pubblico di riferimento eccetera. Cercate di conoscere l’agenzia: chi rappresenta, con quali editori collabora? Informatevi, chiedete agli autori rappresentati, se possibile. Badate ai libri pubblicati. Se vi offrono mille e uno servizi per 50 euro, lasciate perdere: chi si fa pagare troppo poco o non vale un tubo o non fa un tubo (e vi spilla solo i 50 euro). Se l’agenzia parla soltanto dei propri servizi e non degli autori rappresentati? Con tutta probabilità il suo lavoro è offrire servizi… Se non vi è traccia degli autori rappresentati? Forse non esistono. E se un agente collabora con un editore a pagamento? Non fatemi rispondere, ché è meglio.
→ Contro: ci sono dei costi immediati o dovrete rinunciare a dei guadagni. Ma l’aspetto più delicato, in questo caso, riguarda la selezione degli interlocutori. Ci sono agenzie che lavorano indubbiamente meglio di altre – più attente in fase di valutazione, quindi più utili anche in caso di rifiuto – e agenti che possiedono migliori contatti con gli editori. Sbagliare può voler dire, non solo non pubblicare, ma buttare via i propri soldi. Alle volte si sceglie bene ma si viene rifiutati. E pagare per ricevere un “no” non è il massimo.
Selfpublishing
Potete anche decidere che non vi interessa essere pubblicati ma vorreste comunque essere letti. Avete perciò bisogno di un sistema che vi consenta di mettere in vendita il vostro libro. Avete bisogno di una piattaforma di selfpublishing. Ne esistono molte: Amazon, ilmiolibro, Lulu, StreetLib, YouCanPrint…
Con il selfpublishing potete commercializzare il libro sia in versione ebook sia cartacea (così di accontentare quelli che “ah, ma il profumo della carta”), e le royalty sono indubbiamente alte: se in editoria all’autore spetta, diciamo, il 7 per cento del prezzo di copertina, in questo caso potete incassare il 60/70 per cento. Non vi fate però buggerare: sono pochissimi quelli che riescono a emergere, cioè a vendere davvero. E fare tutto da soli non è una passeggiata: la filiera editoriale non è una serie di noiosi passaggi ma (dovrebbe essere) una catena in cui i professionisti leggono, editano, correggono, impaginano… insomma, l’editore non è un ostacolo alla vostra creatività ma un aggregatore di competenze ed è un filtro. Questo, ovvio, nel migliore dei mondi possibili.
Occhio a non passare per fessi: se ricorrete a ilmiolibro di Feltrinelli, dire che avete pubblicato con Feltrinelli è grottesco. In generale, non dite “ho pubblicato” perché si pubblica solo con un editore. Avete messo in vendita. Non si tratta di svilire, si tratta di usare con precisione le parole. Il self non dovrebbe trasformarsi nel “parcheggio” dei non-autori, un ghetto per chi non ce l’ha fatta e per chi non ce la farà mai, dovrebbe essere una occasione di visibilità e confronto, e sarà così soltanto se sussisterà il confronto. Perciò i selfer dovrebbero fare prima di tutto una cosa: iniziare a leggere ciò che si trova nel calderone. Dedicarsi alla critica, onesta e pure spietata, se serve. Non quella furbetta per cercare di strappare posizioni all’avversario, la critica che nasce dalla curiosità di conoscere – e misurare – l’altro così da misurare se stessi. Insomma, gira che ti rigira, la questione è sempre una: se non leggi, perché scrivi? E perché pubblichi proprio qui?
Costi: il vostro tempo, prima di tutto. Volendo potete non sborsare un soldo nella fase preliminare perché la percentuale trattenuta dalla piattaforma verrà prelevata solo sulle effettive vendite. Tecnicamente potreste spendere molto: investire nella correzione bozze, nell’editing, nella copertina, nel social media marketing (rivolgendovi a un ufficio stampa). Sta a voi.
→ Contro: tocca lavorare parecchio! State rendendo pubblico un vostro lavoro e quel lavoro siete voi. Quindi occhio alla forma, ai refusi. Cercate di essere dignitosi e professionali. Confrontatevi con un testo ben editato per verificare le norme editoriali. Fatevi rileggere da qualcuno di attento. E poi preferite la semplicità: certe copertine sono raccapriccianti! Meglio limitare l’estro creativo… E tenete presente che potrebbe anche non leggervi nessuno. Voi però lavorate come se dovessero farlo tutti. E questo è solo il primo passo. Il libro bisogna venderlo, fare presentazioni, proporsi ai librai e lavorare sui social… no, non è una passeggiata.
Benissimo: adesso che avete deciso cosa fare del vostro sogno nel cassetto e se non avete optato per il self, passate alla pratica e organizzate il materiale.
Conosci il destinatario
Che si tratti di un editore o di un agente letterario, il primo dovere da parte vostra è conoscere l’interlocutore. Inutile mandare un giallo a un editore che si occupa di libri per bambini o interpellare un agente che non lavora con gli esordienti. Cercate in rete, leggete tutto ciò che trovate per farvi una idea precisa del destinatario. Non si tratta soltanto di non sprecare tempo ed energie, ma di non irritare il ricevente.
Che cosa spedire
Il dattiloscritto per intero? Solo il primo capitolo? La sinossi? Ciascun editore fa richieste precise, non strafate e attenetevi alle indicazioni. Fate anche attenzione ai formati digitali: se vogliono un pdf, non mandate un .odt, ovvio. E se non accettano file allegati alla mail ma vogliono il cartaceo, date retta! Inutile intasare una casella di posta e irritare il destinatario. E se non viene specificato nulla? Il mio consiglio è mandare il file del dattiloscritto, una sinossi dettagliata e una breve biografia. Il pdf è il formato ideale (non vi accanite con blocchi e protezioni file: è un giochino eluderle).
Il dattiloscritto
Non è un dettaglio irrilevante che il testo debba essere letto e fruito. Alle volte, però, pare esserlo. Testo illeggibile, font inutilmente complicato o troppo piccolo, margini e spaziatura inesistenti… Mettete comodo il vostro lettore! E andate sul classico.
- Font: Arial, Times New Roman (Courier non è necessario, a meno che non si tratti di uno script).
- Corpo del testo: almeno 12.
- Colore: nero!
- Interlinea: 1,15 o 1,5.
- Allineamento del testo: giustificato.
- Rientri: servono per mettere in risalto gli “a capo” e danno aria alla pagina. Impostateli di 0,5 e il vostro testo avrà una faccia diversa e sarà più comodo da leggere. Garantito.
- Magini: ampli, perché è lì che il povero lettore/editor si segna le annotazioni. Direi non meno di 3 centimetri.
Cosa non mettere?
- La copertina. Perché questa è una bozza, non un libro! Lasciate fare a ciascuno il suo lavoro e la copertina è materia per grafici. Se siete dei disegnatori provetti e avete qualche idea in merito potete inserire a parte la “proposta”. Perché questo è, una proposta.
- I ringraziamenti. Di che? È una bozza e per giunta è in valutazione, andate per gradi ai ringraziamenti penserete poi, quando e se il libro verrà pubblicato. Altrimenti fate la figura dei fessi. Garantito.
E i saggi?
A differenza della narrativa, per cui è difficile che un editore valuti e accetti la sola trama per decidere se pubblicare un testo oppure no (ovvio che uno scrittore famoso – leggi: che vende un mucchio – ha maggiore margine di libertà in questo senso), per la saggistica il discorso cambia.
È, infatti, spesso possibile fare delle proposte: cioè inviare delle idee prima ancora di averle realizzate in toto. Questo significa che, se la cosa non andasse in porto, non dovrete accantonare pagine e pagine di lavoro ma soltanto il progetto.
In questo caso si tratta di inviare l’idea (di cosa si tratta? Qual è l’argomento), il target (pubblico di riferimento), il piano dell’opera (indice dei capitoli e impostazione del saggio), bibliografia (la documentazione da cui partite) e qualche capitolo per mostrare cosa sapete fare (quindi stile, scrittura, tono, ricchezza dei contenuti…). Un consiglio: non inviate proposte a casaccio, sondate prima la disponibilità del destinatario.
La sinossi
Al solo nominarla l’autore entra in panico. Che diavolo è una sinossi!? Si tratta semplicemente del riassunto puntuale del vostro intreccio. Cioè non della storia ma di come avete deciso di raccontare la vostra storia. Da dove avete iniziato a raccontare la vicenda, come si svolge, come finisce? C’è chi parte dalla fine, per esempio, chi segue la sequenza temporale degli eventi. Ecco, calcolate che chi legge una sinossi dovrebbe capire la trama che avete realizzato e come l’avete montata.
Questo significa che la sinossi non è una quarta di copertina. Non deve essere accattivante, furbetta o sfumare sul finale! Qui non c’è il pericolo spoiler. Qui lo spoiler è obbligatorio! E non deve neppure contenere giudizi sull’opera (per esempio: è una storia avvincente, ricca di colpi di scena, il lettore non potrà fare a meno di leggere…), servono fatti e serve la sequenza in cui li avete presentati al lettore.
Facciamo un esempio: la storia de I promessi sposi è quella di Renzo e Lucia che non riescono a convolare a nozze perché un certo Don Rodrigo si è messo di mezzo. L’intreccio è ben diverso: mentre Don Abbondio sta camminando, viene fermato da un gruppo di bravi che gli intimano di non celebrare le nozze di Renzo e Lucia. Capito la differenza?
A dispetto dalle opinioni comuni, la sinossi non serve a valutare una storia neppure a far risparmiare fatica a chi la dovrà leggere e giudicare. Perché? Alle volte la sinossi è interessante e il romanzo no. Alle volte in sinossi ci sono aspetti di rilievo che non emergono nel testo e viceversa. Quindi la sinossi è solo un ulteriore strumento per valutare il progetto editoriale.
Ciò che è certo: una sinossi caotica, poco fruibile è indice di problemi di scrittura. Peggio ancora se l’autore dichiara che la sua storia è difficile da raccontare: che storia è una storia che non si riesce a raccontare?!
Quindi, cercate di essere chiari, semplici e puliti nell’esposizione. E andrà bene.
E la lunghezza? Indicativamente una pagina ogni cento cartelle di testo. Comunque cercate di immaginare il vostro intreccio come una mappa: evidenziate i punti salienti (innesco della storia, snodi, colpi di scena, chiusa) in modo che un lettore possa capire bene cosa accade nel vostro romanzo.
La biografia
C’è gente che si vuole male, infatti, come “biglietto da visita” sceglie un Sé saccente, verboso, didascalico ed egoriferito. Cioè? Invia una biografia lunghissima e densa di dettagli inutili (serve dire il voto di maturità o che avete vinto il concorso di RoccaTaccagna?!).
Limitatevi ai dati fondamentali: chi siete (nome e cognome), dove abitate, cosa avete studiato, che lavoro fate e i vostri recapiti. La biografia serve solo a inquadrare un poco l’autore perché, è ovvio, un ragazzino che scrive una storia di formazione non stupisce granché, ma se a farlo è un settantenne è diverso. E poi, banalmente, fornite gli elementi per essere ricontattati.
E adesso, se siete sopravvissuti a questo micidiale spiegone e siete ancora convinti di volerci provare, fatelo! E in bocca al lupo.
17 comments
Non ho nulla da aggiungere, o forse sì. Un investimento sensato nel caso di un romanzo particolarmente ostico (per due motivi: perchè è una storia oggettivamente difficile da trattare, o perchè nonostante l’entusiasmo è ancora al palo, ha collezionato silenzi come risposta, ma l’autore non è ancora pronto ad abbandonarla) è inserire un passaggio tra la stesura definitiva e l’invio ad agenti o editori. Un editor esterno che dia una mano in un nuovo giro di revisione. Per me è stato fondamentale 😀
Per il resto spiegone molto dettagliato che tutti dovrebbero ben imparare prima di lanciarsi nella giungla.
L’ha ribloggato su squarcidisilenzioe ha commentato:
Da leggere almeno 4 volte.
Perché se è vero che siamo tutti scrittori, lo stesso vale per gli editori o presunti tali e la fregatura, si sa, è sempre dietro l’angolo, mai di fronte.
Aggiungo un consiglio: lasciamo sempre traccia scritta, le promesse a voce non valgono, perché, ahimè, l’epoca del “sono di parola” è finita o almeno rarefatta.
Chiara
..e dopo averlo fatto riposare correggilo e regalalo.
Questo articolo va letto e riletto anche sei volte! 😉
Si fa presto a riempire pagine, concludere un libro, provare a pubblicare, rimbalzare e quindi iniziare a dire che non sei pubblicato perché (inserire qui motivi) … ma di solito è perché molti scrivono … male! 😀
Sì, tanti sono davvero illeggibili. Proprio tanti.
C’è poi anche un cassetto, Gianni, dove stanno delle storie speciali. Storie che ho amato leggere e purtroppo non ce l’hanno fatta… ma fa parte del “gioco”.
Come sempre post prezioso, che ribloggherò/rilinkerò volentieri.
Grazie, Gianni!
E io sono d’accordo totalmente con il contenuto dell’articolo. Proprio qualche tempo fa discutevo su LinkedIn (un postaccio dove sedicenti “esperti del settore” fanno i guru in gruppi autoreferenziali)… tutti a dare addosso alle agenzie, stupidamente, a mio avviso, perchè in Italia il mercato editoriale lo muovono per lo più gli agenti. Se uno vuole veramente finire a Mondadori (o equivalenti), devi avere un agente forte ed essere molto bravo. Se sei solo molto bravo, difficilmente troverai posto nella grande editoria (non lo escludo del tutto, ma dire che è difficile è praticamente un eufemismo). Aggiungo, inoltre, che oggi è molto più difficile farsi rappresentare da un agente forte piuttosto che finire sotto contratto con una major (o, quanto meno, è difficile allo stesso modo)
Vero, Alessandro. Un tempo il problema era trovare l’editore adesso è farsi rappresentare. E senza agente certi big sono difficili da intercettare.
@ Però è un periodaccio pure per gli agenti
Un periodo nero, direi. Poveracci pure loro…
Posso suggerire di mettere, in anteprima, i non ringraziamenti? 🙂
Sì, quelli sono ben accetti. Soprattutto se caustici 😉
Tutte cose che in un anno di Bookblister ho ben assimilato. Ma repetita iuvant, anche per chi arriva fresco fresco, carico di entusiasmo.
(“Lasciate ogni speranza, voi ch’intrate…” Giusto giusto il Canto dell’Inferno)
Ah, adesso mi spiego lo “spiegone”: hai tolto le due guide in download? (o sono io che stamattina non trovo gli elefanti?)
Ciao Chiara,
ogni volta che ti leggo penso che il tuo nome è perfetto, descrive la tua efficacia nelle spiegazioni. 😉 Però… una cosa: dici che nel self publish bisogna farsi un mazzo così, tra preparazione e promozione. Obietto che – purtroppo – lo stesso mazzo bisogna farselo anche se si pubblica con un piccolo editore. E perfino con editori maggiori non è detto che avremo questa grande spinta promozionale: dipende dai titoli su cui vogliono puntare.
Salve a tutti, sono al mio primo manoscritto… un “autore in cerca di editore”, insomma… condivido appieno l’articolo, e ne approfitto per segnalare una certa ignoranza da parte di un editore (forse meglio dire “tipografo mascherato”) di cui, almeno in questa sede, non farò il nome.
Premesso che sono stato seguito da un editor per la stesura del romanzo e della sinossi, invio il tutto a questa casa editrice: la stessa, per mano dell’editore in persona, mi risponde nel giro di due giorni per segnalarmi un ERRORE CHE RENDEVA IL LAVORO INUTILE: la sinossi era completa e svelava il finale.
Sono rimasto basito da questa affermazione: ho fatto diversi corsi di scrittura, sceneggiatura e la sinossi per me ha sempre rappresentato una mappa semplice, priva di commenti, che conduca chi legge dall’inizio alla fine della storia… proprio come indicato nel post sopra.
Decido di riportare comunque il commento al mio editor, che conferma la mia tesi.
Forte di ciò, replico all’editore, il quale mi invita a studiare di più… a suo dire la sinossi è “breve, massimo mezza pagina, che riassuma i punti fondamentali”.
Mi chiedo: perché per chi pubblica esistono paletti, vincoli, restrizioni anche sui giorni in cui poter inviare un file word, mentre per gli editori esiste questa sorta di “elezione unilaterale” a essere superiore?
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