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Recensioni tossiche e scambismi annienta-lettori

Alcuni giornalisti-critici-recensori-scrittori impegnati a fare favori e a riceverne dimenticano che, talvolta, qualcuno legge ciò che scrivono e il danno è irreparabile.

Non i prenatali con i parenti – che inizi col panettone il 1 dicembre e il 24 c’hai i canditi al posto dei neuroni – neppure la corsa alNumeri uno regalo o le consegne di lavoro che si accavallano… il male, il lato oscuro della festa, sono le classifiche. Migliori libri, migliori romanzi, migliori autori, migliori e basta. Di chi? O a far che? Ecco il problema.

Le hit, soprattutto quelle prestigiose, sono una fotografia dei nostri guai: non una selezione di talenti (ci sono anche quelli, ovvio!) ma una specie di best off del potere. Una muffa che prolifera sulla carta strampalata almeno due volte l’anno: Natale e ferie agostane, in primis, quando gli arrampicatori da classifica (non solo scrittori ma pure chi sta loro intorno) battono cassa e riscuotono i crediti accumulati.

Così, mentre il mondo si lagna dei fenomeni pop e delle vendite di alcuni casi editoriali, ha luogo il vero Gli ultimi lettoriorrore: i consigli di lettura certificati, in realtà mercificati. Lo scambismo un tanto al podio.

Un occhio attento però lo sa: le recensioni tossiche fanno danni tutto l’anno. Se fossero un aggeggio tecnologico, sarebbero il polverizza-lettori, soprattutto se occasionali. Perché quelli cosiddetti forti – il 14,3% per cento di chi in Italia legge, cioè il 41,4% della popolazione – sanno dove andare a cercare ciò di cui hanno bisogno: i suggerimenti li trovano dal libraio di fiducia, grazie all’amico, al critico fidato, al blogger. Gente che ci mette la faccia, lo fa con passione o, semplicemente, non si può permettere di rifilarti fregature.

Il problema? Il 27,1%. Quelli che non sanno dove cercare, quando vogliono comprare un libro e che, per questo motivo, ogni tanto buttano un occhio alle recensioni; alle volte addirittura le leggono, e in rari e drammatici casi le prendono sul serio. Ignorando certe melmose dinamiche editoriali, non si interrogano sul chi recensisce cosa, né perché. Si fidano del consigliere ché lui ne sa, lui legge.

L'autostima del non lettoreHanno talmente abbassato l’autostima del lettore discontinuo – definito “debole” per metterlo a suo agio – che il tapino quando intercetta una libreria, la evita. E se prende coraggio e varca le Colonne d’Ercole della sua ignoranza – in assenza di un premuroso libraio – sorbisce il consiglio e acquista letteratura mozzafiato popolata di imperdibili personaggi tondi… Ed è la fine.

Fate un test: verificate il numero di giornalisti-scrittori-recensori-critici in Italia. Parlo di gente che scrive libri, partecipa a premi e Festival, e nel contempo recensisce (o ignora?) il lavoro di colleghi (ne determina le vendite? Le boicotta?), rende noti i festival (a cui partecipa, non partecipa o non è invitato?).

Cerco e offroEsempi: X scrive romanzi e ne consiglia sul quotidiano per cui lavora. Il suo libro è ottimo ma lui non ne parla, per pudore. Bravo? Certo, peccato che stia facendo un torto ai lettori. Un sottoposto di X fa un pezzo sul libro: ne parla perché è bello o perché tocca farlo? X partecipa al Festival letterario: le tre colonne sul quotidiano sono necessarie o un trucchetto per farsi pubblicità indirettamente? X ignora il libro di Y perché fa schifo, perché Y non può fare nulla per lui o perché X rosica?

Ci sono persone che usano le pagine dei giornali come fosse la propria bacheca di Facebook e consigliano i libri di amici e parenti, mogli, amanti, padri e fratelli. Offrono visibilità per ottenere visibilità, lottizzano gli spazi editoriali, regalando attenzione in attesa di riceverne a tempo debito (l’uscita del loro libro): prima o poi, si sa, i favori tocca restituirli.

Ora non voglio annoiarvi con la deontologia del giornalista, la nenia sul divieto a farsi o fare Ricoprire più ruolipubblicità, il dovere di dare notizie e informare il lettore… ma vorrei solo puntualizzare l’ovvio: se occupi le pagine di cultura parlando di libri, se fai il citrico letterario e nel contempo scrivi libri, hai un problemino di conflitto di interessi.

Nell’era dell’editoria alla canna del gas la filiera ha rotto le righe e si è sfaldata, e in questa botta di panico intenso nessuno sa più quale sia il suo ruolo: tutti scrivono e pubblicano e commentano e criticano… Quel che è certo? L’autore non scrive e basta, l’autore comunica e poi viaggia. Se ne va in tour per lo stivale a sponsorizzare un libro che venderà solo grazie alla sua preziosa collaborazione (quanto poco non lo saprete mai).

Il demonio, signori, non si annida nei lombi ma nei lemmi e la parola dannata in questo caso è:Farsi pubblicità autopromozione. Si è finiti col confondere la prostituzione intellettuale, la svendita dell’etica, la menzogna, la mercificazione, la falsificazione con il doveroso supporto. Sostengo il mio lavoro, cavoli è il mio!, lo espongo, mi espongo, ci metto la faccia, lo presento. E lo pro-muovo. Cioè lo metto in moto e lo lascio andare. Perché quando consegno le parole alle pagine, non sono più mie ma dei lettori.

Ad accogliere – prima del destinatario ultimo – c’è l’editore e l’ufficio stampa che fa pubblicità e il lavoraccio di contatto, intesse relazioni, intravede bisogni e opportunità. E per ultimo il libraio che vende – lui sì! – e consegna il libro al legittimo proprietario: chi lo compra e legge.

BugieNon è che a dirlo si cambi il mondo, anche perché morto uno scambista se ne trova un altro. Quel che conta è mostrare il giochetto, ribadire che dietro al prestigio delle sconfinate rassegne stampa spesso c’è il trucco. E ricordare a chi sa, ma se ne fotte, che l’assuefazione al malcostume è collaborazionismo.

Tocca prendere posizione. Conviene pure a te, scambista, perché quando fai un piacere al collega generoso, tu che non hai lo stomaco per leggere il suo libro di merda (o se ce l’hai è solo per chiamare parenti e amici e gridare “che merda!”), hai però il coraggio di consigliarlo al povero lettore, ma non fai un favore a te stesso. PMerdaerché il disgraziato potrebbe entrare in libreria, allungare alla cassa 10/15/20 euro e cimentarsi nell’impresa indigesta: la coprofagia. Leggere e dedurre che se tu hai ragione e quella merda è un libro, meglio lasciar stare la lettura; e se hai torto, allora lo hai preso per i fondelli e lascerà perdete te.

Come pensi di fare senza lettori? Fatti due conti. O scrivi meglio e la smetti di chiedere favori o consigli buoni libri.

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30 comments

impossiball 15/12/2015 at 17:10

Stai dicendo che D’Orrico si è messo a scrivere? 😀

sandra 15/12/2015 at 17:36

E’ una brutta faccenda. Mia mamma è una lettrice molto forte, che sente tanto la mancanza di libri che la facciano appassionare: la biblioteca è sempre più sfornita, grazie ai tagli alla cultura, altro problema, non bazzincando in internet ritiene ancora valide recensioni e classifiche e così è un continuo prendere cantonate. Io faccio fatica ad aiutarla perchè abbiamo gusti differentissimi, potrebbe attingere dalla mia super biblioteca, ma ahimè ogni volta è un inciampo pure lì. Più in generale dico che ormai lo schifo sta ricoprendo tutto…

Chiara Beretta Mazzotta 15/12/2015 at 18:58

Il problema? Ci sono libri bellissimi. Validi. Gradevoli. Onesti. E spesso non trovano alcun spazio. Un bacio alla tua mamma!

aldo 15/12/2015 at 18:34

Io devo averlo già detto, ma lo ripeto volentieri. Inv ece di leggere le opinioni di Baricco e altri scrittori, invito tutti a usare la rete per quello che serve. Ci sono siti di lettori. Uno in particolare, Anobi.com. Io lo frequento da anni. Ci sono decine di migliaia di lettori italiani che leggono, valutano e commentano. Dopo un po’ che lo si frequenta si capisce di chi ci si può fidare e da allora sbagliare libro diventa davvero difficile. Se mi cercate, io ci sono con ilmio nome: Aldo

Chiara Beretta Mazzotta 15/12/2015 at 18:59

Certo. Il problema è che il lettore occasionale spesso in rete non cerca.

Miriam 15/12/2015 at 18:36

Appoggio in pieno tutto ciò che è scritto in questo articolo. Con i miei occhi ho visto e vedo tutt’ora blogger recensire libri e ottenere in cambio altrettante recensioni per i loro libri (sempre e solo positive). Secondo me la figura del recensore non può fondersi con quella di scrittore. Nessun vero artista oserebbe mai giudicare l’opera di qualcun altro, al massimo il suo parere lo tiene per sé. Io prima di essere autrice sono lettrice, e mi spiace dirlo ma al momento le recensioni non sono di alcun valore e utilità. Mi sono sempre basata sul mio “sesto senso”, sulla sinossi, sul libro aperto a caso dal quale leggere uno scampolo. Continuerò a farlo. Non mi aspetto che il mondo del giornalismo e dello “pseudo-giornalismo” online cambi modo di agire dall’oggi al domani, ma non smetto di sperare che un giorno tutti ritrovino un briciolo di etica professionale. Chi paga il prezzo è sempre e soprattutto il lettore, e per un autore di libri il lettore va preservato, è ciò che più conta. Non è uno strumento per il successo.

Chiara Beretta Mazzotta 15/12/2015 at 22:37

Tu parli della rete. Figurati la carta stampata… ma, critiche a parte. Ci sono isole di professionismo vero, alto e capace. Tra i giornalisti, in rete, nelle librerie. Bisogna imparare a guardare e valutare, così da poter scegliere meglio. Baci!

gianni 15/12/2015 at 18:53

E’ un mondo di marchettari… 🙂

Marco Amato 15/12/2015 at 19:42

Oh finalmente Chiara, mi sono mancati i tuoi post di battaglia; qui però siamo più sulla guerra in-civile. 😀
Ovvero la guerra agli incivili dell’editoria. A coloro che sputano su Volo invocando la letteratura alta e poi si mercificano nell’abietto, nel sotterfugio, nei favori sperati e ricambiati. Invocano l’altezza mentre si ingegnano a esser nani.
La crisi dell’editoria a me pare evidente, non dipende più dal declino economico del paese, ma è ormai sistemica. Gli operatori sguazzano di ridondanza acclamandosi fra loro.
Il libro ha concorrenti ormai troppo agguerriti che si chiamano social, app, chat, serie tv a bizzeffe.
Questa gente non capisce che il favorino, l’occhiolino e il sorrisino che si genuflettono tra loro per due copie in più inaridisce la lettura. E vien la crisi e crisi sia. 🙁

Chiara Beretta Mazzotta 15/12/2015 at 22:38

Qui il rischio è che il libro venda solo tra gli scambisti costretti a recensirlo 😉 Ciao, Marco!

Daniele 15/12/2015 at 22:07

Ho notato una cosa che gente più acuta di me sa da molto tempo (io ci arrivo col mio ritmo 😛 ) e cioè che spesso le recensioni farlocche sono prive di concretezza e ricche di animismo librario: non si dice che il libro è coerente o incoerente perché bla bla bla (seguono spiegazioni ed esempi) o che è scorrevole e dunque “guarda questo passaggio come fila bene” ma si preferisce dire che il libro è coraggioso (forse salva i bambini intrappolati nei palazzi in fiamme!) o sincero (ti giuro – dice il libro – non ti ho tradito/a con l’insegnante di nostro figlio).

Ecco, quando becco questi esercizi di fuffologia, sono conscio che la recensione non vale la carta da culo su cui è scritta (chiedo venia per il francesismo!) o i pixel che occupa su schermo 😛
A volte è utile anche la quarta: se ospita più fascettume che sinossi, so che non è per me, 9 volte su 10.

E poi ci sono i blogger kattivi e invidiosi!!1!11!
Molti lit blogger sono più informati di un tiranno in una distopia di Orwell, dove non arriva uno arriva l’altro e scoprire i marchettari diventa quasi più facile che ignorarli 😛

Daniele 15/12/2015 at 22:14

Ah, e le classifiche non le guardo 😛

Chiara Beretta Mazzotta 15/12/2015 at 22:57

No, tu no, ma tu hai i tuoi spacciatori di storie. Io mi preoccupo di chi legge poco. Oltre a maltrattarlo – con ‘ste pippe della serie devi leggere per forza – gli rifiliamo le fregature?!

Chiara Beretta Mazzotta 15/12/2015 at 22:56

Questa cosa dei tiranni la devo approfondire… 😉 Sì, certe recensioni puzzano di aria grassa. Pochezza gonfiata. E alle volte sono pure cavillose, lunghe e noiosissime. Ma lì il problema è un altro : il recensore che si titilla l’ego.

gianni 16/12/2015 at 08:32

Ahahah vero… raitreianamente parlando? ma non solo

El cugino del Parente, in attesa di prendere il frecciabianca delle 18:18. Di schiena. 16/12/2015 at 10:30

Articolo scintillante, adamantino. Significante alla maniera di Carmelo Bene. Come da consuetudine la CBM va giù decisa e candida come una valanga. Chiara scrive come parlano quelle persone che ti seppelliscono di aneddoti e parole senza mai sprecarne una. Mai pensato di scrivere? 😀
Però…
… capisco l’anelito alle vette carmelo-beniane, ma alla significanza dei significanti avrei aggiunto il peperoncino: i nomi e i cognomi per i fuochi d’artificio, per la scoppiettanza*. 😀

El io

PS: il tramiro di quest’anno è improponibile, è da rifare; rivedere tutto o saranno dolori e fiaschi…
(*) neologismo

Chiara Beretta Mazzotta 16/12/2015 at 10:42

Alla prima domanda rispondo a colpi di mitra 😀
Alla seconda inviandoti il mio iban per rimpinguare il conto in baca e far fronte alle spese legali. Le querele costano! 😉
Il Tramiro di quest’anno è impervio. Ma noi sappiamo che scrivere è una rogna, quindi. Scrivi e non rompere!
Scoppiettanza mi garba, mi ricorda un po’ King.

El cugino del Parente, in attesa di prendere il frecciabianca delle 18:18. Di schiena. 16/12/2015 at 11:38

Querele? E il diritto di critica allora?… L’assist iniziale di impossiball m’aveva rilinkato al cervello la querelle tra il D’Orrico ed il Parente (o viceversa) che di nomi e di cognomi ne ha crocifissi a centinaia e molto spesso senza ricorrere alla stroncatura. Se fosse così pericoloso indirizzare strali, anche duri, a chicchessia, quanti miliardi di vecchie lire dovrebbe destinare alle spese legali uno scrittore, che in quanto tale naviga quasi sempre sotto la soglia del vicino idraulico?
mmm… inconvincente (neologismo che non mi piace in quanto extra-kinghiano)

Isabella Zani 16/12/2015 at 11:06

Mi è venuto da pensarlo già a metà lettura: rete o non rete, gli è che una volta i critici facevano i critici, e gli scrittori gli scrittori. Nessuno doveva niente a nessun altro, e ci si poteva fidare un po’ di più. Ma da un certo punto in poi le posizioni si sono confuse, più nella direzione degli scrittori che si sono messi a fare i critici che in quella opposta, o almeno così pare a me; le cause possono essere molte e non necessariamente omogenee, ma a mio avviso c’entra anche il fatto che fino a un certo punto uno scrittore di medio successo con i libri ci campava, e da un certo punto in poi non ci ha campato più. E allora alè corsi di scrittura, alè elzevirismi assortiti, alè recensioni. Tutte cose con cui ancora si mangicchia, mi sa.

El cugino del Parente, in attesa di prendere il frecciabianca delle 18:18. Di schiena. 16/12/2015 at 11:48

Concordo al 100%. Brava!

Chiara Beretta Mazzotta 16/12/2015 at 15:39

Ah che bello quando ognuno tentava di fare il suo mestiere. Adesso tocca tentare fi campare. Lavoro sottopagato lavoro non pagato e frustrazione sono alcune serie cause del problema. Se non ti senti stimato, se non sei remunerato che ti importa di far bene? Figuriamoci dell’etica.

Non Cogito Ego Sum 17/12/2015 at 10:20

Ho qualche dubbio riguardo l’ultima parte dell’articolo, non essendo affatto scontato che il lettore sia in grado di distinguere la merda dalla cioccolata, poiché il circolo vizioso “do ut des” è ormai talmente consolidato da confondere le menti di chiunque si cimenti nel tentativo di leggere qualcosa di leggibile. Anche i lettori “forti” rimangono spiazzati ormai, poiché autori, editori, giornalisti e company sono ormai confusi in una mefitica amalgama dove ognuno fa quel che vuole, chi sgomita, chi lecca, chi scambia, è una sorta di guerra tra poveri per stare al passo della velocissima new economy perennemente in crisi, una guerra che genera numeri, slogan, copertine sbrilluccicose, insomma tutto fuorché concretezza e valori di riferimento. Chi è il colpevole? Chi ha commesso il peccato originale? E’ nato prima l’uovo o la gallina? E come risolvere? Che poi, anche se cerchi l’ago nel pagliaio (ovvero, opere di qualità), c’è il rischio di finire delusi lo stesso: Giulio Mozzi mi consigliava di leggere alcuni autori contemporanei per lui degni di nota. Ne ho letto uno, e devo dire che avrei trovato più confortante urtare con violenza il capo contro lo stipite di una porta. Non che Giulio Mozzi sia uno che si presta a strani giochetti scambievoli, ma era solo per dire che i confini tra opere di qualità e opere mediocri è piuttosto soggettivo. Mi auguro invece che l’immondizia, quella di cui parla il vostro articolo, sia ben riconoscibile da tutti. Ma, tornando all’incipt del mio commento, non ne sarei così sicuro, e ne ho le prove: a breve uscirà l’ultimo cinepanettone di De Sica & company: pensate che il cinema sarà vuoto o pieno? E quando uscirà il prossimo Twilight? E quando Silvio Muccino (ah quanto lo amo!) scriverà la sua biografia? Non voglio poi toccare l’argomento lit-blog italiani, sennò prendo l’albero di Natale al mio fianco e lo ficco nella stufa a legna, con tanto di luci e palline, così, tanto per sfogarmi un pelo. Insomma, penso proprio che la maggior parte degli italiani non disprezzi molto lo status di “coprofago”, e non parlo certo solo di ambito artistico. La merda oggi premia. Oggi. Domani chissà. Ma non è un domani imminente.

Chiara Beretta Mazzotta 17/12/2015 at 10:50

La gente riempirà sempre la sala per un cinepanettone. Ciò che conta? Che il critico che ne parla sul quotidiano non lo definisca un film alto, impegnato, da premio… questo è quello che invece spesso accade per il meccanismo del “siccome mi hai fatto un favore parlando del mio libro io dico belle cose sul tuo, anche se è un ‘prodotto’ senza qualità”.
Il gusto personale, ovvio, ha il suo peso ma posso dire non mi piace pur rilevando il valore di un testo (o la sua dignità). Personalmente non amo George Saunders ma se mi consigliano Dieci Dicembre non mi sento certo presa in giro. Merda non equivale a “basso”, non parlo delle bio dei vip o dello sportivo, o del romanzo che va a ruba. Merda equivale a un prodotto mediocre, senza dignità… Roba che non averebbe senso di esistere e che c’è, e occupa spazio, solo a causa di una lunga catena di scambismi. Alle volte ho la forte impressione (se scommettessi, temo vincerei) che alcuni libri siano passati attraverso le fasi della filiera, tutte, senza essere stati mai letti da alcuno. Povero lettore!

Non Cogito Ego Sum 17/12/2015 at 11:03

Concordo, ma non ho ben capito questo passaggio: “Merda non equivale a “basso”, non parlo delle bio dei vip o dello sportivo, o del romanzo che va a ruba. Merda equivale a un prodotto mediocre, senza dignità… ”
In definitiva, il prodotto “basso” è inferiore al mediocre? O intendi proprio due categorie differenti? Io ho abbozzato un articolo con una mia personale distinzione: la merda è oggettiva, universale, mentre opere degne possono essere giudicate più o meno valide, ma comunque difficilmente qualcuno si azzarderà a chiamarle “merda”. Ancora diverso è il “de gustibus”, ovvero caso del romanzo di cui sono in grado di riconoscere la validità oggettiva, ma che non riesco a leggere perché mi annoia, mi soffoca, etc (mi è capito col premio Hugo “La ragazza meccanica” di Bacigalupi).

Chiara Beretta Mazzotta 17/12/2015 at 19:40

Se scrivo la bio di un calciatore posso farlo alla carlona, confezionando un prodottaccio o posso lavorare bene. Regalare al lettore un lavoro di qualità. Questa è la differenza. Pessimi contenuti, nessun contenuto, ruberie, copiature e furberie… questa è la merda per me. Poi c’è l’alto, il letterario, il bello, il buono e il basso. Il basso è facile ma può essere di qualità. E sì, la merda è oggettiva.

Barbara 18/12/2015 at 11:52

Io direi che la merda è oggettiva e soggettiva al tempo stesso.
Merda oggettiva: la libreria online che mi manda l’anteprima di un libro in uscita a gennaio, se recensisco tra i primi 400, vinco una copia cartacea del suddetto. Pare un esclusiva, in realtà l’estratto è pubblico. Ogni volta che concorro vinco, quindi presumo che nemmeno arrivino a 400.
Il libro (come tutti gli altri di questo giochino) è presentato come “la nuova voce del romanzo italiano” “una scrittura di impressionante qualità” “thriller italiano che ha conquistato gli editori internazionali” (ho modo di verificarlo io??) “esordio travolgente” scritto con maestria inedita”
Provo a leggere: scena 1, omicidio, alla vittima viene dato fuoco, descrizione rivoltante; scena 2, commissariato, investigatore legge giornale. La frase “Non fece in tempo a mettere a fuoco le prime pagine dell’articolo” mi han fatto cestinare l’estratto.
Sembrava una trovata intelligente?!
Sarà che dopo aver letto la grande Agatha, tutto il resto sfuma…in questo caso direi che è perfetto per accendere il fuoco…del camino.

Barbara 18/12/2015 at 12:12

La merda poi è al contempo soggettiva.
Perchè sono un po’ arcistufa di leggere Twilight giudicato una merda da chi non ha letto una riga del libro, si è fermato al solo trailer del primo film, alla parola “vampiri vegetariani” o all’intervista invidiosa di Stephen King contro le vendite della Meyer in soli 4 libri.
(e scusate se ho usato la parola…King)
Un conto è che non piaccia il genere, e che si preferisca certi pipponi filosofici infiniti o pagine dove se qualcuno non muore devastato, spezzettato, smembrato, non c’è abbastanza emozione. Oppure si leggono altri libri perchè “fa cool” poi vantarsene nei circoli letterari. Sta bene. Ma non per questo tutto quel che leggono gli altri è merda.
Per forza poi gli adolescenti abbandonano la lettura…ogni volta che leggono qualcosa, qualcuno gli dice che è merda!

Chiara Beretta Mazzotta 18/12/2015 at 14:25

Applaudo per la chiusa. E ripeto la frase preferita di mia nonna: tocca sapere prima di far andare la lingua.

Non Cogito, Ego Sum 18/12/2015 at 18:59

Per quanto mi riguarda, Twilight è merda oggettiva per le stesse ragioni che hanno portato te a definire merda oggettiva il romanzo in cui il tizio non fa in tempo a mettere a fuoco le prime righe dell’articolo. E sì, l’ho letto Tuailait. E non bestemmiamo dicendo che i giovani non leggono perché gli si fa notare che Twilight non è poi così figo. Grazie.

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