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Giovanni Gastel: tre Moleskine nere

La storia di un esordio oggi ce la racconta Giovanni Gastel jr. Scrittore, pubblica nel 2014 con Gallucci Editore il romanzo autobiografico “Spade”. Collabora come contributor per i magazine Flair, Icon, Panorama e Satisfiction.

Il mio primo romanzo è nato come un diario nel 1999 ed è stato pubblicato nel 2013. Un lungo travaglio…

Il 13 agosto del ’99 i miei genitori mi spedirono in una comunità abbastanza lontana dalle strade che frequentavo da tossico perché non potessi tornare indietro facilmente: scelsero il Canada.
Mi mandarono in una grande casa bianca situata in mezzo a un bosco nella provincia del Québec, vicino Montréal.
Avevo 22 anni, ero un irriducibile della droga: lo dico con rimpianto e rimorso, e nessuna fierezza.

Mia madre mise nella mia valigia tre taccuini, delle Moleskine nere, e un paio di libri: in quella comunità la prevalenza dei residenti era francofona, qualcuno che veniva dall’ovest parlava inglese, e c’era solo un altro ragazzo italiano ma parlare una lingua diversa da quelle ufficiali, in ogni caso, era proibito e punibile con castighi severi.
Potevo solo leggere, nella mia lingua madre.

I miei libri, che riuscivo ad assaporare solo nella pausa pomeridiana o prima di dormire, diventavano fondamentali. Iniziai a riversare i miei pensieri, fitti e confusi, su di un primo taccuino, all’inizio di quel percorso tortuoso che era la ricostruzione di me stesso.
Appena potevo, man mano che stavo meglio, scrivevo. Lo facevo per me, non c’era nessun altro “destinatario”, lo facevo per il gusto di fermare gli eventi e le emozioni da qualche parte al di fuori da me e per il piacere di scrivere e rileggere in italiano.
Al primo taccuino fece seguito un secondo, e poi un terzo.

Iniziai a rileggere le pagine scritte quando lasciai la comunità di Le Portage, nel 2000 per intraprendere la fase residenziale, la cosiddetta “transizione”, successiva al percorso comunitario.
Dapprima, quando ancora ero in Canada, trasferii gli scritti su un vecchissimo pc imprestatomi da un coinquilino canadese, Philip. Malauguratamente, però, non riuscivo più a estrarli da lì: il computer era guasto. Potevo solo stamparli, ma non utilizzarli in qualsiasi altro modo: anche le correzioni risultavano inutili.
Produssi qualche “dischetto”, ma dovetti prendere tutto l’armamentario e portarlo in un negozietto artigianale di riparazioni su Ontario Street.
Mentre lo specialista dagli occhi storti e vividi tentava una riparazione, la ragazza che lavorava con lui mi chiese di firmarle un autografo. Le dissi che non sapevo nemmeno che cosa sarebbe uscito dalla mia storia!
Lei insistette.
Ecco, quella fu la mia prima dedica.
Dopo più di due ore il ragazzo riuscì ad aggiustare il computer: finalmente tirai fuori il mio testo.

Rientrato in Italia, riscrissi quel diario non so quante volte….
Il testo nel dischetto veniva continuamente manipolato e stampato, nonostante fossi attaccatissimo alla prima versione. Io il mio romanzo lo vedevo così e le prime modifiche, i primi editing mi costarono molto, in termini di autocensura, di ritocco.
Non ricordo quando iniziai a pensare ai miei diari come a un possibile racconto.
Ci vollero molti anni prima di pensare a un titolo per quelle pagine, prima di considerare che, forse, avrebbero potuto avere un lettore che non fossi io o i miei stretti famigliari.

Tornato in Italia, dal 2002, iniziai un percorso di riscrittura che durò diversi anni.
Nel 2003 misi un titolo a quelle pagine, che intanto erano state ricopiate su un antichissimo pc: divisi la narrazione in due parti: Diario di una cartavelina e La sindrome della Fenice.
Erano poche pagine, direi una ventina per titolo. Avrei poi scritto il terzo capitolo di quella a cui pensavo come una trilogia.
Quando iniziai a pensare che quelle pagine sarebbero potute diventare un racconto stampato, iniziai allora a sognare di diventare un narratore, uno scrittore!

Mia madre, giornalista, mi diede una mano per trovare qualcuno che lo leggesse. Aveva però molta paura che io ricadessi nella droga, e quindi che mi bruciassi l’occasione di presentare il testo ai suoi contatti.
Qualcuno lo lesse, non gli piacque.
Altri lo fecero fermentare sulla propria scrivania per mesi.
Nessuno si mostrava interessato. Come detto, al primo editing, fatto con un’amica di mia madre, ne seguirono infiniti altri.
Il terzo capitolo della trilogia non fu mai scritto: forse potrebbe essere un prossimo romanzo, il titolo esisteva già nel 2001, a seguito dell’accadimento che ispirò quelle pagine e che segnò per sempre la mia vita.
Un’altra storia.

Intanto la mia lotta contro la droga conosceva nuovi capitoli, nuovi scontri,

nuove cadute e nuove vittorie.
Si presentò l’occasione di raccontare in un reportage per “Panorama” una storia insolita avvenuta nelle Azzorre, firmai quel filmato con degli amici carissimi e in seguito venni contattato da una scrittrice che faceva anche l’editor.
Ecco l’occasione: mi offriva di lavorare con me all’editing del Diario di una cartavelina, che avevo già fuso con La Sindrome della Fenice in un unico racconto di media lunghezza. Fu il primo vero interessamento da parte di un editore, anche se per la verità, trattava solo ebook.

Nel 2013 uscii in etichetta digitale con il mio primo romanzo, un racconto genuino e un po’ primitivo.
Un grandissimo critico, Gian Paolo Serino, lo lesse e mi diede il contatto di un’agente letteraria, Vicki Satlow. Lei lo propose a diverse case editrici, e nel 2014 arrivò il primo vero contratto per un romanzo cartaceo: Gallucci Editore mi offriva un editing, un anticipo e tutta la rete di distribuzione che aveva.

Nel maggio del 2014, alla Feltrinelli di corso Buenos Aires presentai il mio primo libro cartaceo: Spade.
Stiamo ancora lavorando alla promozione di questo romanzo, anche se ho già in mente il prossimo.

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4 comments

Giovanna Degl'Innocenti 18/11/2014 at 12:18

Spade: un libro che ti lascia dentro forti emozioni, angosce, commozione. Un grande Giovanni Gastel che si racconta con sincerità e spontaneità. Un libro assolutamente da leggere!

Chiara Beretta Mazzotta 18/11/2014 at 12:43

Grazie, Giovanna, mi piacciono molto i pareri post lettura. Alla prossima!

Aldo 18/11/2014 at 22:45

Vorrei dire “complimenti per le palle” ma sarebbe sessista, però non saprei come altro esprimermi. Uff.

Chiara Beretta Mazzotta 19/11/2014 at 00:24

Ah, via libera alle palle!
Io non mi sento esclusa. Le gonadi voi le tenete fuori (sfacciati!) noi le custodiamo all’interno. Ma sempre gonadi e sempre sferiche sono 😉

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