La storia di un esordio oggi ce la racconta MariaGiovanna Luini (pseudonimo di Giovanna Gatti). È scrittrice (narrativa e saggistica), divulgatrice scientifica, consulente di sceneggiatura.
In principio fu un blog. Senza premeditazione come molte decisioni nella vita: arrivano e basta. Avevo voglia di scrivere e condividere: scrivevo già per me e per la medicina ma esisteva una parte – così piena, così grossa – che non trovava espressione compiuta senza la creazione. Creare un mondo, un’idea, una favola, una storia per occhi diversi. Una domenica creai un blog e lo chiamai “MariaGiovanna e poi…”. E iniziai a scrivere, e un po’ di gente iniziò a leggere. E ancora gente, sempre di più.
Non credo sia una sorpresa se dico che fino al 2006 ogni velleità di pubblicazione di una scrittura che non fosse ricerca medica aveva trovato lo scetticismo, se non un vero e proprio terrorismo psicologico, di chi mi stava intorno. Non pubblicherai mai, è difficile. Lascia perdere, uno su un milione ce la fa. Sei un medico, cosa ti viene in mente? Lusingata, grazie, ma vado avanti: non c’era verso di farmi cambiare idea. I “no” diventavamo una sfida: se volete farmi fare una cosa non proponetela, ditemi che non potrò farla. Così fu il blog e dopo poco tempo qualcuno propose che scrivessi le fiabe per i malati di tumore. E, un paio di mesi ancora dopo, ecco il primo editore piccolo, indipendente ma serissimo che mi propose la pubblicazione del primo breve romanzo. “Una storia ai delfini”, Creativa, cinquemila copie vendute.
Facile, sembra. Ma no, non lo è stato. Non è stato facile perché, a dispetto della vicinanza professionale a Umberto Veronesi, conoscevo nessuno: mi affacciavo a un mondo ignoto di cui dovevo imparare le regole (ammesso che ce ne fossero) e i contorni sfuggivano. E c’era la professione medica: se sei medico avrai sempre qualcuno che non ti considera scrittore, non lo sei in ogni caso. Anche oggi la probabilità che a un evento letterario mi chiedano un consulto medico è novantanove per cento, che mi chiedano notizie dei miei libri diventa ventidue-ventitré al massimo. E che rabbia quando mi definiscono “medico con l’hobby della scrittura”…
Camminare in salita, sempre. I no dalle case editrici fioccavano: se li avessi tenuti potrei pubblicarli nelle mie pagine Facebook con due risate per alcune coincidenze assai bizzarre. No, no e no. Ma per me dovevano diventare sì. Leggevo come una pazza (ho il DNA del fortissimo lettore), andavo alle presentazioni di scrittori noti e meno noti, seguivo ogni festival. Scrivevo sempre, ogni giorno, volevo che la mia scrittura si piegasse all’esercizio e all’esperienza perché non è solo questione di talento genetico, è pazienza e costanza, energia spesa a scrivere, scrivere, scrivere. La scrittura va presa sul serio, altrimenti prima o poi tradisce. Me lo disse mio marito Alberto: “Se vuoi diventare scrittore usa il medesimo impegno che hai messo quando sei diventata chirurgo”.
E va preso sul serio il libro: dal primo romanzo capii che pubblicare significa crederci e dare una mano all’oggetto che è nato. L’oggetto libro, che prima è un dono dell’anima poi diventa un elemento di marketing. Per me ognuno faccia come crede, liberi tutti, ma se fossi un editore chiederei un test preliminare agli autori: crederai nel libro e sarai disposto a girare il mondo (mondo piccolo, medio o grande) per presentarlo ai lettori? Sarai pronto a rispondere alle loro email, aperto alla comunicazione? Quando un libro esce è questione di fortuna ma anche di fiducia e amore: quanti scrittori ho visto restare incollati ai ceppi di partenza perché erano snob e rifiutavano l’idea che fosse l’autore a raggiungere i lettori? Quanti stanno ancora aspettando perché volevano subito l’editore “grande” e non amavano la gavetta, la trafila degli editori indipendenti ma onesti? Quanti – e scusate ma mi viene un po’ da ridere – hanno detto no perché il libro non sarebbe finito in prima fila nelle librerie, esposto al pubblico?
Ho iniziato con un blog, tanti no e nessun agente che volesse prendersi la briga di darmi fiducia. Ci ho creduto lo stesso, non ho saltato neanche una tappa di una gavetta che ancora non è finita (guai a farla finire del tutto). La mia gratitudine va a tutti gli editori che ho avuto, ai lettori di ieri, oggi e domani e a Maria Paola Romeo perché, sapete, a un certo punto perfino una agente si è accorta di me. Forza e fiducia, amici, non lasciate che siano gli altri a dirvi che non si può!
2 comments
A volte si smette di crederci, mai si smette di scrivere. (E di leggere!) W la gavetta perchè una palestra, anche se, proprio come una palestra, costa una gran fatica e fa sudare tanto.
Bacione e niente per quel consulto medico? Scrivo sempre qui? : )
Alla fine il talento incontra sempre l’opportunità che gli rende il merito dovuto.
Comments are closed.