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Marco Marsullo: la realizzazione di un sogno

La storia di un esordio ce la racconta Marco Marsullo che ha esordito per Einaudi Stile Libero nel 2013 con Atletico Minaccia Football Club; nel 2014, sempre per Einaudi Stile Libero, è uscito L’audace colpo dei quattro di Rete Maria che sfuggirono alle Miserabili Monache, nel 2015, I miei genitori non hanno figli, nel 2018, Due come loro e, nel 2019, L’anno in cui imparai a leggere. Insegna scrittura creativa in una scuola elementare della sua città.

Era una notte d’aprile, mi ricordo benissimo, quando scrissi le prime tre pagine di quello che è diventato il mio primo romanzo compiuto, dopo un paio di tentativi sparati a salve.

A finirlo c’ho messo tre mesi e qualche giorno. Record, lo so. Mi ricordo le notti, gli appunti, la ventola del piccì. E la storia sembrava pure una mezza follia. Ma io c’ho creduto da subito perché a quel romanzo gli volevo bene, scritto a quattro arterie da stomaco e cuore.

La cosa che mi ricordo più di tutte è l’ultima notte di scrittura, quando c’era da mettere la parola FINE, scritta in grassetto, sotto le ultime righe. Feci l’alba, scrissi più di dieci pagine tutte di getto, senza rileggere nemmeno una consonante. Il mattino dopo (una torrida fine di luglio, sarei partito per il mare la sera stessa), pochissime copie partirono verso altrettante case editrici. A differenza di Ho Magalli in testa ma non riesco a dirlo, che avevo mandato a un buon numero di, piccole, case editrici, questo romanzo l’avrei mandato solo a editori tosti, ganzi, con i miei scrittori preferiti a catalogo. Perché?

Perché ci credevo, che domande. Perché ero sicuro di aver scritto una storia che aveva bisogno di un grande editore per decollare. E poi, perché ho imparato che a provare, qualche volta, ti va bene. Poi mi ricordo l’inizio di agosto, poco più di una settimana dopo. Mi ricordo che il mio cellulare ha squillato e io avevo addosso i pantaloncini per andare a giocare a calcio, i calzettoni e le scarpe coi tacchetti. La maglia dell’Italia sulla spalla, pronto per una partita con gli amici (gioco difensore centrale, se vi serve). Dall’altro capo del telefono c’era Marcello Baraghini, direttore editoriale di Stampa Alternativa. Mi dice che il romanzo gli è piaciuto un sacco. Mi dice anche che vorrebbe pubblicarlo l’anno successivo, ma che mi avrebbe fatto sapere con certezza ad inizio settembre, doveva leggerlo il resto della redazione. Io, di quella telefonata, oltre la voce gentile, intelligente, del signor Baraghini, ricordo solo che giravo in tondo agitando la mano libera, mentre i miei amici, anche loro vestiti per giocare a calcio, mi fissavano preoccupati appoggiati alla macchina.

Tuttavia, questo momento bellissimo, che ricorderò per tutta la vita, non è il momento della svolta.

A settembre, Marcello Baraghini mi ha comunicato che il mio romanzo non aveva convinto il resto della casa editrice. Non se ne faceva niente, pur restando la stima. Reciproca, sia chiaro. Per me, essere stato contattato da uno come Marcello Baraghini, che di libri per forza qualcosa ci capisce, è stato ed è un grandissimo motivo di vanto. Il romanzo, allora, si stava accasando con un’altra casa editrice, l’unica tra le più piccole a cui lo avevo dato in lettura. Sarebbe dovuto uscire con Ad est dell’equatore, di Ciro Marino, a cui la storiella era piaciuta fin da subito.

Avevamo pianificato molto: il nome dell’editor, il mese d’uscita, le prime idee sulla copertina. A quel punto, contentissimo di uscire con una casa editrice ambiziosa, un po’ pazza, fresca, come Ad est, ho smesso con la ricerca dell’editore. Anche perché, per me, la parola data vale come una firma. Tuttavia, e questo è il momento in cui è successa la cosa che ha cambiato il corso degli eventi, c’era ancora qualcosa in sospeso. Una mail che avevo mandato, così, senza pretese. Una mail breve, educata ma sfacciata. Una mail a Severino Cesari, Einaudi Stile Libero.

E qui c’è da dire una cosa. Da fuori, quando sei un semplice lettore, consumatore di libri, appassionato, del tutto estraneo al sistema editoriale, pensi che persone come Baraghini, Cesari e chi per loro, siano delle entità superiori, astratte, senza lineamenti precisi, una specie di parto dell’immaginazione umana. Magari te li immagini più stronzi di una suocera stronza, pronti a cestinare qualsiasi intervento esterno che non arrivi dall’autore bestseller di turno.

E invece…

Almeno, con me è andata così. Sicuramente qualcuno potrà recriminare e raccontare storie diverse, relative alle proprie esperienze con i propri editori.

Io ho trovato figure altamente professionali, pronte al dialogo e, soprattutto, all’analisi. Ma questa è un’altra storia, adesso parliamo di cosa è successo che ha sconvolto il corso degli eventi.

Severino Cesari mi dice che il romanzo sta piacendo, tuttavia mi invita ad aspettare che il resto della redazione lo legga. Un film già visto?

Si sa: certe volte si vince, certe volte si perde. Lo diceva Zdenek Zeman, che resta uno dei padri della mia morale.

Il fischio finale della partita arriva qualche settimana dopo, fine febbraio, c’era il sole. E una nuova mail. Una nuova mail, asciutta, convinta, che mi chiedeva di andarne a parlare a Roma da loro.

Ora, io non so quanti di voi possano descrivere esattamente la felicità con parole proprie senza cadere in luoghi comuni. Io ci provo: per me la felicità resta un’email di cinque righe letta con gli occhi del sonno una mattina di febbraio. Saltando i passaggi intermedi, senza dimenticare la disponibilità di Ciro Marino a sciogliere la parola che ci legava in virtù dell’occasione che mi era capitata, arriviamo al giorno in cui vado per la prima volta a Roma, nella sede di Einaudi Stile Libero. A me Roma piace un sacco, e tutte le volte che ci vado c’è sempre il sole, non so perché. Inutile dirlo, quella mattina faceva anche caldissimo. E io, con il solito jeans distrutto, le solite scarpe distrutte e la maglietta di turno che mi “fa assomigliare a uno che sta camminando da due settimane in un deserto” (Luca Maiolino pensiero), entro nel portone di questo bel palazzo nel centro di Roma. Prima delle scale, tra le altre, la targa con lo Struzzo.

Beh, tra tutti gli animali stronzi che ci sono al mondo, lo struzzo a me è sempre stato simpatico. Fin da piccolo, e forse ora capisco perché. Quello che è successo dopo è la realizzazione di un sogno. Punto. Non ci sono altri cazzi da aggiungere. Sarei superfluo, eccessivo, forse anche irritante. Non si può dire altro quando Einaudi Stile Libero sceglie di pubblicare il tuo romanzo, così, dal niente, solo avendolo letto e avendoci creduto.

E io devo, e dovrò sempre, dire un grazie spropositato a Severino Cesari, che in tutta questa storia è stato una figura calda, di riferimento, pronto a venire incontro allo sconosciuto Marco Marsullo come fosse la cosa più naturale del mondo.

E a Rosella Postorino, che è un’ottima editor, e lo dico perché ha capito tutto tutto tutto, manco fosse la Zingara di Luna Park, di quello che volevo intendere scrivendo la mia storiella.

A loro devo la cosa più bella: avermi fatto sentire parte di un progetto collettivo, che parte da quello individuale, e arriva lontano, si spera, insieme. Essere arrivato esattamente dove volevo arrivare da quando ho iniziato a scrivere è fantastico. Dividere il catalogo con alcuni dei miei scrittori preferiti (Ammaniti, De Silva, Nove, Abate, per citarne davvero solo qualcuno, ma la lista sarebbe interminabile) è l’emozione più grande. Una cosa, di sicuro, la so. Quando uscirà il libro, e vedrò il mio nome accanto a quello Struzzo, accanto a quello degli autori che ammiro, che leggo da sempre, mi verrà quel mezzo sorriso tipico di chi, per fortuna o per merito, è esattamente dove voleva essere.

In mezzo ai grandi, come la prima convocazione in squadra maggiore dalla primavera. E tu non sai ancora in quale angolo dello spogliatoio dovrai mettere il tuo borsone. Però, intanto, sei lì. Vestito come loro.

Ed è già immenso così.

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2 comments

sandraellery 17/12/2013 at 13:31

Di questo meraviglioso esordio mi colpiscono tante cose: lo scioglimento della parola data senza strascichi, l’Occasione che a volte nella vita arriva così non solo perchè si è lavorato tanto e bene, ma perchè deve arrivare, Roma dove anch’io torno sempre volentieri e trovo sempre il sole. Che bello! Un abbraccio

Chiara Beretta Mazzotta 17/12/2013 at 15:43

Vien voglia di scrivere a leggerlo, in effetti.
No, tranquilli, a me vien solo voglia di leggere ancora qualcosa di suo 😉
Il tuo bello, Sandra, è che il bello lo intercetti sempre!
Un bacio,

Chiara

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