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Premessa
Ho lavorato una decina d’anni in mezzo ai libri, prima in una biblioteca a Londra e poi un paio di librerie Torino. E da parte mia, mentre mi aggiravo tra scaffali banconi da cui mi guardavano ora severi ora ironici Omero e Dante, Shakespeare e Cervantes, Goethe e Flaubert, Dickens e Dostoevskij, ho sempre pensato che, al di là delle teorie di critici e delle mode letterarie e delle strategie editoriali e delle campagne pubblicitarie e delle tecniche autopromozionali e del paraculismo elevato a stile di vita e scienza esatta, nonché delle cerimonie di premiazione non solo per lo Strega o il Campiello o il Bancarella o il Nonino ma anche per il Pulitzer o perfino per il Nobel, l’unico vero metro di giudizio in letteratura fosse il tempo. E che di conseguenza gli scrittori, quelli veri, fossero in linea di massima tutti morti da un pezzo. Nel senso che uno è uno scrittore solo ed esclusivamente se è capace di scrivere libri che sappiano durare non lo spazio di un’estate o sei mesi in testa alle classifiche, ma decenni, nemmeno, secoli. E mi sono sempre detto che perciò, nella maggior parte dei casi, chi scrive dovrebbe lasciare questo mondo con una serie di dubbi, rovelli, interrogativi anche feroci, al di là delle copie vendute e delle recensioni ottenute e dei passaggi in tivù intervista da Fazio a Che tempo che fa compresa. Dubbi e rovelli e interrogativi della serie: ma sarò stato davvero uno scrittore? Ma qualcuno leggerà ancora qualcosa di mio fra dieci, cento, mille anni? Ma i miei libri, o anche solo uno tra quelli che ho scritto, sapranno ancora dire qualcosa ai lettori che verranno? Continueranno a essere pubblicati? Finiranno nelle collane dedicate classici, ancorché minori? E i miei eredi si lagneranno un giorno a tavola a causa della scadenza di diritti d’autore?
Sono queste le domande che chiunque scriva dovrebbe porsi in punto di morte, sempre che non abbia qualcosa di più importante a cui pensare. Perché tranne rarissime eccezioni, vedi Knut Hamsun o Ernst Jünger, deceduti quando ormai erano ultra-centenari, in genere gli scrittori non campano così a lungo da vedere con i propri occhi se e quanto durino i propri libri. E dato che la storia della mia famiglia non comprende nessun avo dalle cento e passa primavere, sono consapevole che per quanto mi riguarda me ne andrò da questo mondo con molti, molti, moltissimi dubbi. Tu che stai leggendo queste mie righe sappi, dunque, che nel presente libro userò la parola “scrittore”, almeno quando riferita a me, per pura e semplice convenzione, si sa che l’Italia pullula di scrittori, e chiunque abbia pubblicato non dico un romanzo o racconto, ma giusto una raccolta di poesie o anche solo una singola poesia si ritiene automaticamente tale.
Anzi, di più: perché fra le Alpi e Lilibeo esistono innumerevoli scrittori convinti di essere tali benché siano inediti, e questo nonostante in Italia da alcuni lustri si pubblichi ormai praticamente tutto. Al limite estremo facendo ricorso un editore (?) a pagamento, o alla tipografia sotto casa, che poi in pratica è la stessa cosa, oppure al cosiddetto self-publishing in modo che come mi ha detto una volta il mio primo editore, niente resterà impubblicato.
E così vorresti fare lo scrittore, Giuseppe Culicchia, Laterza, p. 154 (14 euro) anche in ebook
E così vorresti fare lo scrittore?
Charles Bukowski
Se non ti esplode dentro
a dispetto di tutto,
non farlo.
a meno che non ti venga dritto dal
cuore e dalla mente e dalla bocca
e dalle viscere,
non farlo.
se devi startene seduto per ore
a fissare lo schermo del computer
o curvo sulla
macchina da scrivere
alla ricerca delle parole,
non farlo.
se lo fai solo per soldi o per
fama,
non farlo.
se lo fai perché vuoi
delle donne nel letto,
non farlo.
se devi startene lì a
scrivere e riscrivere,
non farlo.
se è già una fatica il solo pensiero di farlo,
non farlo.
se stai cercando di scrivere come qualcun
altro,
lascia perdere.
se devi aspettare che ti esca come un
ruggito,
allora aspetta pazientemente.
se non ti esce mai come un ruggito,
fai qualcos’altro.
se prima devi leggerlo a tua moglie
o alla tua ragazza o al tuo ragazzo
o ai tuoi genitori o comunque a qualcuno,
non sei pronto.
non essere come tanti scrittori,
non essere come tutte quelle migliaia di
persone che si definiscono scrittori,
non essere monotono o noioso e
pretenzioso, non farti consumare dall’auto-
compiacimento.
le biblioteche del mondo hanno
sbadigliato
fino ad addormentarsi
per tipi come te.
non aggiungerti a loro.
non farlo.
a meno che non ti esca
dall’anima come un razzo,
a meno che lo star fermo
non ti porti alla follia o
al suicidio o all’omicidio,
non farlo.
a meno che il sole dentro di te stia
bruciandoti le viscere,
non farlo.
quando sarà veramente il momento,
e se sei predestinato,
si farà da
sé e continuerà
finché tu morirai o morirà in
te.
non c’è altro modo.
e non c’è mai stato.