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La casa di Sveva

E per gli Scelti da voi, grazie ad Alessandro Pierfederici.

Arthur Schnitzler: al nome del grande scrittore austriaco, attento esploratore dei misteriosi meccanismi della coscienza e dell’inconscio, dei deliri delle menti turbate e di quelle in apparenza lucide ma incapaci di discernere sogno e realtà, è corso il mio pensiero dopo la lettura di pochissimi capitoli de “La casa di Sveva”, così che, retrospettivamente, mi è venuto spontaneo il parallelismo tra lo straordinario prologo di questo affascinante romanzo e l’enigmatico, allucinato ritrovo del racconto “Doppio Sogno”, che ha ispirato la versione cinematografica di Kubrick, “Eyes Wide Shut”.
In entrambi aleggiano la stessa tensione e lo stesso mistero, gravido di possibili conseguenze, che l’ultima frase del prologo lancia come un’esca all’attenzione del lettore.
Da questo momento, come ad un’apertura di sipario, ci troviamo già dentro al dramma.
Riga dopo riga, parola dopo parola – si potrebbe dire – con una tensione crescente resa in modo magnifico dalla scrittura, l’incubo si materializza visivamente, tanto più allucinante quanto più si muove nell’ambito di un’ipotetica calma esteriore, nella quale il dialogo, serrato ed essenziale quanto quello di un’efficace, perfetta sceneggiatura, assume a un tempo il tono della normalità e quello della follia.
Il gioco psicologico trova la sua naturale evoluzione in quello erotico, componente essenziale della complessa dinamica fra i due protagonisti o, se vogliamo, fra i due aspetti conflittuali della protagonista fino al balzo inatteso quanto geniale verso il piano simbolico: la terra (la pietra) e il fuoco (il drago), l’acqua (il mare) e  l’aria (il vuoto),
Attraverso questi quattro elementi, la protagonista ritorna in possesso del proprio destino e della propria identità. La casa-prigione – metafora spettrale di un’anima che tiene prigioniero il suo corpo, attraverso la propria emanazione, un “alter ego” che è a un tempo desiderato e respinto, amato e odiato – diventa il luogo della liberazione: l’anima, oppressa dalla parte ignota di sé, diventa consapevole e forte; l’oscura galleria imboccata nel prologo sbuca finalmente verso una nuova luce.
L’autrice dimostra in ogni pagina la magistrale capacità di gestire lo sviluppo progressivo del racconto, grazie ad una scrittura densa, essenziale ed esauriente, che potrebbe quasi appartenere a un dramma teatrale espressionista o, ancor di più, si diceva, a un lavoro cinematografico, grazie anche a una componente descrittiva e visiva di immediata evidenza, nonché ad una narrazione nella quale il susseguirsi degli eventi è trascinante e coinvolgente, al punto che talora si stenta a credere che sia costruita quasi esclusivamente sul dialogo di due personaggi in un solo luogo.  E questa avvincente unitarietà narrativa e drammatica richiama alla memoria anche le tradizionali unità aristoteliche.
Straordinarie suggestioni culturali ci riserva dunque questo breve romanzo, che apre riflessioni inquietanti sulla realtà psichica dell’apparente normalità, e del quale vorrei  però cogliere l’aspetto positivo della scoperta, o del ritrovamento, al termine di un sofferto travaglio interiore, di una propria, autentica verità.
Si tratta di una lettura che lascia col fiato sospeso fino all’ultima scena e che trascina nel suo vortice un lettore impossibilitato a staccarsene, grazie ad un fascino ammaliante che svela ad ogni istante un ineguagliabile talento di grande scrittrice.

La casa di SvevaFrancesca Panzacchi, Ciesse Edizioni, p. 96 (8,50 euro) anche in ebook

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