Poco dopo le sei di un pomeriggio di pioggia del marzo 1946, un uomo magro con i capelli grigi era seduto nel suo bar preferito, il Ritz, e stava finendo l’ultimo di molti Martini. Sentendosi sufficientemente corroborato per la prova che lo attendeva, pagò il conto, si alzò, e indossò cappotto e cappello. Con una ventiquattrore bella piena in una mano e un ombrello nell’altra, uscì dal bar e si avventurò nell’acquazzone che stava inzuppando il centro di Manhattan. Si diresse a ovest verso un piccolo negozio che dava sulla Quarantatreesima Strada, a parecchi isolati di distanza.
All’interno del negozio, lo stavano aspettando trenta giovani uomini e donne. Erano studenti di un corso serale sull’editoria che la New York University aveva chiesto di tenere a Kenneth D. McCormick, caporedattore della Doubleday & Company. Gli studenti erano tutti entusiasti all’idea di trovare un punto d’appoggio nell’editoria e stavano frequentando i seminari settimanali per aumentare le proprie possibilità. La maggior parte delle volte c’erano alcuni ritardatari, ma quella sera McCormick si rese conto che ogni studente era presente e seduto allo scoccare delle sei. McCormick sapeva perché. La lezione di quella sera verteva sull’editing dei libri, e lui era riuscito a convincere l’editor più rispettato e influente d’America a “dire due parole sull’argomento”.
Maxwell Evarts Perkins era sconosciuto al grande pubblico, ma chi apparteneva all’ambiente dei libri lo considerava una figura gigantesca, una specie di eroe. Perché lui era l’editor per eccellenza. Da giovane aveva scoperto grandi nuovi talenti – come F. Scott Fitzgerald, Ernest Hemingway e Thomas Wolfe – e aveva puntato la sua carriera su di loro, sfidando i gusti costituiti della generazione precedente e rivoluzionando la letteratura americana. Per trentasei anni aveva lavorato per una sola azienda, la Charles Scribner’s Sons, e nel corso di quel periodo nessun editor in nessuna casa editrice si era neanche avvicinato al suo record nel trovare autori di talento e farli pubblicare. Molti studenti avevano confessato a McCormick che era stato il brillante esempio di Perkins ad averli attratti verso l’editoria.
McCormick richiamò la classe all’ordine, battendo il palmo della mano sul tavolo da gioco pieghevole che aveva di fronte, e cominciò la lezione con una descrizione del mestiere dell’editor. Disse che non era più un lavoro che si limitava principalmente alla correzione dello spelling e della punteggiatura, come una volta. Consisteva piuttosto nel sapere cosa pubblicare, come procurarselo, e cosa fare per aiutare quei libri a raggiungere il più vasto pubblico possibile di lettori. In tutte queste cose, disse McCormick, Max Perkins era insuperato. Il suo giudizio letterario era originale ed estremamente astuto, ed era famoso per la sua capacità di ispirare un autore a produrre il meglio che aveva dentro di sé. Più un amico per i suoi autori che un esigente collaboratore, li assisteva in tutti i modi. Li aiutava a strutturare i loro libri, se ce n’era bisogno; escogitava titoli, inventava trame; fungeva da psicanalista, consigliere nelle questioni amorose, consulente matrimoniale, assistente nella gestione della carriera, prestasoldi. Pochi editor prima di lui avevano fatto così tanto lavoro sui manoscritti, eppure fu sempre fedele al suo motto: “Il libro appartiene all’autore”.
In un certo senso, suggerì McCormick, Perkins era una persona improbabile per la sua professione: faceva errori di spelling, il suo uso della punteggiatura era del tutto personale, e quando si trattava di leggere era per sua stessa ammissione “lento come un bue”. Ma considerava la letteratura una questione di vita o di morte. Una volta scrisse a Thomas Wolfe: “Non c’è niente di più importante di un libro”.
Perkins era l’editor più importante della sua epoca, molti dei suoi autori erano delle celebrità, e Perkins stesso era un tantino eccentrico: per tutte queste ragioni su di lui erano nate innumerevoli leggende, molte delle quali basate sulla realtà. Nella classe di Kenneth McCormick, tutti avevano sentito almeno una versione mozzafiato di come Perkins aveva scoperto F. Scott Fitzgerald; o di come una volta la moglie di Scott, Zelda, al volante dell’auto del marito, era finita con l’editor nella laguna di Long Island; o di come Perkins aveva convinto Scribner a prestare molte migliaia di dollari a Fitzgerald salvandolo dall’esaurimento nervoso. Si diceva che Perkins avesse acconsentito a pubblicare il primo romanzo di Ernest Hemingway, E il sole sorge ancora, alla cieca, e che poi quando il manoscritto era arrivato aveva dovuto lottare per tenersi il lavoro perché il libro era scritto in un linguaggio colorito. Un’altra storia che Perkins adorava era quella del suo scontro con l’editore ultraconservatore per cui lavorava, Charles Scribner, su certe parolacce contenute nel secondo romanzo di Hemingway, Addio alle armi. Si diceva che Perkins si fosse annotato le parole problematiche di cui voleva discutere – “cacare”, “fottere” e “pisciare” – sul suo calendario da tavolo, senza far caso al titoletto: Cose da fare oggi. Sembra che il vecchio Scribner scoprì la lista e fece notare a Perkins che se doveva ricordare a se stesso di fare certe cose era in un grosso guaio.
Molte storie che circolavano su Perkins riguardavano la scrittura e il temperamento indomiti di Thomas Wolfe. Si raccontava che mentre stava scrivendo Il fiume e il tempo, Wolfe fosse appoggiato col suo corpo alto un metro e novantotto al frigorifero e usasse il ripiano superiore dell’elettrodomestico come scrivania, gettando ogni pagina finita in una cassa di legno senza neanche rileggerla. Le voci dicevano che alla fine tre marcantoni portarono la cassa con il pesante carico a Perkins, che in qualche modo diede al suo contenuto straripante la forma di un libro. Tutti nella classe di McCormick avevano anche sentito la storia del cappello di Maxwell Perkins, un feltro sformato che pareva indossasse per tutta la giornata, sia all’aperto che negli ambienti al chiuso, togliendoselo dalla testa solo prima di andare a letto.
Mentre McCormick parlava, la leggenda in carne e ossa si avvicinò al negozio sulla Quarantatreesima Strada ed entrò in silenzio. McCormick alzò gli occhi e, vedendo una figura curva sulla porta, si interruppe a metà di una frase per dare il benvenuto all’ospite. La classe si voltò e vide per la prima volta il più grande editor d’America.
Max Perkins, l’editor dei geni, Andrew Scott Berg, traduzione di Monica Capuani, Elliot, p. 536 (35 euro)
6 comments
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Wow che personaggio affascinante. La figura dell’editor in Italia è ancora piuttosto sconosciuta da quanto vedo e sento parlando con i tanti amici col pallino di scrivere.
Viene confusa con l’agente o con un correttore di bozze. Ma noi sappiamo che è tutt’altro, vero? Buona domenica.
Lento.
La descrizione iniziale arriva al limite per l’eccesso e la lista di aneddoti lo supera ampiamente. Può darsi che sia solo un problema legato all’apertura del racconto vero e proprio, ma fino a qui non mi convince molto.
Solo una precisazione. Non è un romanzo, Tales. Si tratta della biografia di William Maxwell Evarts, l’editor di gente come Hemingway, Fitzgerald Wolfe… per chi ama gli aneddoti e le storie dietro le storie.
Oui, ho fatto una ricerchina con San Google e sono stato illuminato a riguardo da Santa Wikipedia.
Non sono un amante delle biografie ma trovo spassosi gli aneddoti… in questo caso sono li ho trovati troppo densi.
Una cosa che con la qualità della scrittura non c’entra nulla e che ho notato dopo aver commentato è il prezzo… 35 euro? A metà strada per diventare un testo universitario.
Wow, sarà perché adoro le biografie e soprattutto i ritratti di persone che hanno avuto parti importanti, ma non sotto i riflettori, in storie ancora più grandi, però l’incipit mi garba parecchio e il senso di attesa che devono aver provato i ragazzi presenti nella libreria mi è arrivato benissimo.
Il prezzo è alto, come nel 99% dei casi purtroppo, quindi non ci si può far nulla, magari in ebook, se è uscito, costerà un poco meno. Comunque mi intriga parecchio.
Chissà, un giorno, può essere, vedremo un incipit simile su di te Chiara….. a cappelli come siamo messi? 😉
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