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Scrivo poesie solo per portarmi a letto le ragazze

Per gli Scelti da voi, ecco la recensione di Maurizio Sbordoni.
C’è tanto, tanto Bukowski in questa raccolta di racconti ma non tutto.
C’è il giusto Bukowski.
Inediti in Italia, sono stati pubblicati in diverse riviste USA tra il 1944 e il 1948, anno dopo il quale lo scrittore, nonostante facesse di tutto per alimentare questa leggenda, non smise del tutto di scrivere (i suoi famosi “dieci anni di ubriachezza”)
Raccolta di racconti che trova il filo conduttore non in un valore, un ideale o similari virtù, ma in lui: scrittore prolifico, continuamente curvo sulla macchina da scrivere, ottimizzava il suo lavoro più che poteva; estrapolando da un romanzo, un racconto; modificando alcuni passaggi di uno stralcio per renderlo nuovo agli occhi di nuovi lettori, con uno stile talmente inconfondibile da renderlo appropriato a prescindere dai contesti in cui veniva proposto.
C’è il Bukowski pacifista, nel saggio contro la guerra La pace bello mio non vende, uno di quei passaggi narrativi, non rari, in cui il lettore può scorgere la sua tenerezza di fondo celata da una maschera da duro.
Particolarmente apprezzato dal sottoscritto è stato anche il racconto Sul vizio di scrivere, nel quale il protagonista, uno scrittore-editor, è in cerca di un assistente per la sua rivista letteraria, in una atmosfera di strana inquietudine che rilascia gradatamente una zaffata di angoscia nell’arco delle ore successive, come fosse il principio attivo di un farmaco (sto scrivendo questo pezzo sul volo Roma-Dubai e ripensando al racconto, letto stanotte, mi pervade tuttora un senso di ambigua inadeguatezza.) Forse, favorita da una serie di scelte lessicali che volutamente stridono, come in una sinfonia per unghia e lavagna: diacritico, acefalo, zerbù.
Ne La casa degli orrori, Bukowski dileggia quel tipo di poeta così lontano dal suo modo crudo e vero di vivere la poesia, quel tipo di versi reali che rispecchiano, alla sera, mentre scrive, la dura giornata di lavoro appena trascorsa, con quel sarcasmo e feroce ironia che rappresentano il centro nevralgico della potenza della sua prosa.
La risata: forse, il più potente meccanismo di difesa dalla sua infanzia dura, dalle violenza subite dal padre, dalla ricerca spasmodica d’amore in mille rivoli bianchi di lenzuola, con mille donne diverse, di cui racconta, volutamente, minuziosi dettagli legati al parente povero dell’amore: il sesso.
Meritevoli, anche i quattro o cinque racconti tratti dalla rubrica Taccuino di un vecchio sporcaccione, rubrica che diede inizio alla sua popolarità e dalla quale ogni lettore di Bukowski dovrebbe partire.
Ho amato e amo tuttora in maniera sviscerale Bukowski. Uno scrittore vero, etimologicamente parlando, che si mette a nudo per mostrare la sua vulnerabilità, che si lecca le ferite con lo stesso amore negato durante l’infanzia, burlandosi del suo modo buffo di trovare la salvezza nello stessa causa del suo dolore: l’amore e il sesso.
In età matura, quando le maschere colano via dal viso come rimmel corroso dalla stanchezza del tempo, Bukowski dedicò una serie di poesie a un animale che non amo particolarmente – siamo io, Snoopy e pochi altri – i gatti, omaggiati come portatori sani di stile, portamento e assenze di pretese, tutte caratteristiche assenti negli esseri umani.
Infine, piccola tirata d’orecchi alla casa editrice per il titolo, Absence Of the Hero, tradotto con un triplo carpiato narrativo in Scrivo poesie solo per portarmi a letto le ragazze, nella evidente pretesa di assecondare la scia commerciale segnata dagli amanti dello scrittore.
Ma Bukowski non scriveva poesie per portarsi a letto le ragazze. Scriveva poesie perché era un poeta.
E si portava a letto le ragazze perché gli piacevano le donne.
Ho amato e amo tuttora in maniera sviscerale Bukowski, nonostante il pilota dell’aereo, sui cui sedili sono seduto da cinque ore, sta predisponendo la delicata fase dell’atterraggio come se avesse partecipato ieri sera a un baccanale organizzato dal vecchio Charles.
Perché chiunque scriva, prova un certo imbarazzo nel pensare di fare lo stesso lavoro di mostri sacri della letteratura come Tolstoj, Kafka o Joyce.
La differenza con Charles, è che tu non vorresti scrivere come lui.
Tu vorresti essere lui.

Scrivo poesie solo per portarmi a letto le ragazze, Charles Bukowski traduzione di Simona Vinciani, Feltrinelli, p. 312 (17 euro)

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