Editoria a pagamento: liste sì, liste no?

Editoria a pagamento: liste sì, liste no?

Editori seri editori, non seri, a pagamento, a doppio binario… come fare per catalogare le case editrici senza ghettizzare alcuno o, peggio, commettere errori di valutazione?

In questi giorni si è tornato a parlare di Eap. Tutto è cominciato con un passaggio di testimone: Loredana Lipperini ha deciso di pubblicare un corposo lavoro del Writer’s Dream – sito e forum creato da Linda Rando che, tra le molte attività, informa gli esordienti sul mondo editoriale – ovvero le liste delle case editrici a pagamento e dei cosiddetti editori “doppio binario” (chi pubblica sia con sia senza contributo). Liste che la Rando ha dovuto rimuovere dal proprio spazio web a causa delle continue aggressioni e denunce.

Come era prevedibile non sono mancati gli insulti e sono fioccate le critiche: perché le liste non sono esaustive, perché contengono dati sbagliati, perché non possono tenere conto in modo tempestivo di eventuali cambiamenti di rotta… In seguito anche la scrittrice Michela Murgia ha deciso di pubblicare le liste sul proprio sito. E anche lì polemiche, accuse, insulti a Linda Rando. Altri hanno pubblicato gli stessi elenchi o lo stanno facendo e probabilmente avranno identici guai.

In effetti, però, temo che le liste – mero strumento di informazione – non potranno risolvere il problema: la scarsa limpidezza del mondo editoriale. Chiarezza che manca a partire da una definizione, quella di “editore”, che è impropria se applicata a chi chiede contributi per la pubblicazione (non che dare la definizione di editore, oggi, sia un compito da poco). Chiarezza che permetta all’esordiente di conoscere senza tante complicazioni le politiche editoriali di una determinata realtà.

In effetti le liste possiedono non poche lacune: non tengono conto delle sfumature (un editore che chiede all’esordiente un elenco di probabili acquirenti è diverso da uno che pretende di essere pagato 3.000 euro); possono essere imprecise; non invogliano gli Eap a inserircisi perché vengono percepite come ghettizzanti e denigratorie.

Se si trovasse un nome (come già dicevo qui) per definire chi chiede contributi, forse sarebbe tutto più semplice. Si potrebbe per esempio stabilire che per autodefinirsi “editore”, “editrice”, “edizioni”, “editoriale” sia necessario ottemperare una serie di obblighi e rispettare precisi criteri. Non sarebbe male se l’Aie (l’Associazione italiana editori) pretendesse limpidezza, chiedendo a ciascuna realtà che stampa e commercia libri di dichiarare la propria politica editoriale. Non dovrebbe essere il suo lavoro?

E poi, diciamolo: l’editoria a pagamento non sussiste per mancanza di informazioni. Solo una piccolissima parte di autori si trova a pagare, convinta sia la prassi. Di norma non si cade dalle nuvole, è una scelta, spesso reiterata perché apprezzata. Per questo, forse, sarebbe nello stesso interesse degli eap dichiarare in modo limpido ed esaustivo il proprio modus operandi. E magari farsi concorrenza sulla qualità dei servizi offerti.

Tanto grazie alla rete smascherare i furbetti non è difficile. E chi non mantiene ciò che promette sì che viene inserito in una lista: quella dei bugiardi. A voi la parola.

[polldaddy poll=5775154]

Articoli suggeriti

2 Comments

  • Permetti? ciò si verifica solo perchè questo è il paese dell’incompetenza: nient’altro da aggiungere. editoria, editoria, editoria: è facile riempirsi la bocca. Lo fanno cani e porci.

  • Eh lo so, però bisogna incominciare a mettere dei paletti all’ignoranza…

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *