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La solitudine del selfpublisher

Molti ci provano, parecchi lo fanno con criterio, senza lesinare sforzi e ideando strategie: ma il selfpublishing serve? Qualcuno li legge, in Italia, questi benedetti libri autopubblicati?

Il pacco arriva sulla scrivania della giornalista. Lei lo apre: è un libro. Dà un occhio alla cover, legge il titolo, controlla l’editore e poi lo butta nel cestino senza nemmeno sfogliarlo.

Era autopubblicato.

Se vi sembra una scena estrema, mi tocca deludervi. Facciamo un test: prendete una rivista di moda, un settimanale, un mensile, un quotidiano… e andate nella sezione libri. Guardate quanti parlano di testi autopubblicati. Nessuno. (Un problema simile riguarda i libri digitali: pochi giornalisti si preoccupano di specificare se il testo oltre al cartaceo è disponibile anche in ebook, pochissimi suggeriscono titoli pubblicati nel solo formato digitale). Sappiate che per alcuni ricevere roba autoprodotta equivale a una mancanza di rispetto.

Come viene considerato un selfpublisher in Italia?

Non conta la qualità del testo. Il titolo o la copertina. Non basta avere pagato un editor, un correttore bozze, un grafico, neppure un ufficio stampa. In Italia se fai da solo sei considerato uno sfigato. Uno che ha toppato, che nessuno ha voluto. Se metti piede in Usa, invece, ti danno pacche sulla spalla, ti supportano e incoraggiano perché esprimi al meglio l’idea dell’individuo che non si limita a fantasticare ma ci prova ad acciuffarlo il sogno.

In Italia lo scrittore lo fa ancora l’editore e soprattutto solleva tanti dal faticare. Perché il self richiede un vaglio. Bisogna, per scegliere, leggere. E nella maggior parte dei casi non ci sono uffici stampa che ti rifilano la pappa pronta, una bella sinossi condita con qualche frase a effetto. E allora è più semplice buttare tutto nel cestino. (E infatti nel self il plagio va forte, perché quasi nessuno se ne accorge!)

Gli autori che ci provano comunque non mancano. Stanchi de rifiuti, stufi degli scambismi del circolino editoriale – ormai impera la figura del giornalista/critico letterario che lavora per dovere ma vuol solo fare lo scrittore e pazienza se vive in un mastodontico conflitto di interessi (quello esisteva solo per il tizio di Arcore) –; alcuni sono stremati persino dalle rogne della pubblicazione: vendite bassissime, editori che non li tutelano, giornalisti che li ignorano, editor che impongono loro generi e temi più “vendibili”. Perché non sono pochi gli scrittori che lasciano la strada dell’editoria tradizionale per cimentarsi con il self.

Il guaio? Il self non è nato perché l’editoria è un meccanismo inefficiente qualitativamente – se così fosse avremmo un “contenitore” che punta proprio sulla qualità – è nato perché l’editoria non è in grado di assorbire l’immensa quantità di proposte. E infatti il self fa esattamente questo: dà una collocazione ai titoli privi di una destinazione. Non è pluralismo, è caos. E affermare che si tratta di un fenomeno socialmente rilevante non equivale a dire che produce risultati concreti. Al massimo ci racconta solo qualcosa circa le aspirazioni degli italiani.

È facile per un selfpublisher farsi leggere e notare dai lettori?

Infatti per un autore emergere in questo calderone è una impresa impossibile. Deve vedersela con le proposte tradizionali, con le offerte dei grandi gruppi editoriali. E così può soltanto giocarsela sul prezzo e attuare qualche piccola tattica (prevendite, strategie di comunicazione sui social…). Ma non basta. Non basta per entrare in una libreria e presentare la propria fatica – pochissimi librai accolgono i self – non basta per ottenere una recensione (neppure sui blog), non basta per trovare lettori.

Così, altro che Joël Dicker e Amanda Hocking, fortunati casi di selfpublishing che hanno poi firmato contratti stellari con gli editori, vendere 500 libri è un miraggio: la maggior parte non supera le 30/50 copie. E spesso non è una fatica a costo zero: a parte le spese legate alla piattaforma sulla quale si pubblica, se si vuole un prodotto meno dozzinale si paga per impaginare, per la copertina, per la correzione bozze…

Ma il peso maggiore è la frustrazione: nonostante la fatica fatta, si viene ignorati. Che è peggio di essere scartati. Gli unici che se la cavano? Giornalisti che possiedono le competenze e propongono contenuti, professori che possono contare su una community precisa (studenti, colleghi…), autori di manuali (aiutare a risolvere i problemi, è una indiscussa chiave di successo).

Sono sempre stata favorevole al self – fare da sé è un modo per realizzare concretamente quanto sia complicata la filiera editoriale e quanto sia difficile fare l’editore e il libraio – e pensavo anche che avrebbe avuto l’immenso pregio di annientare l’inutile editoria a pagamento. Mi sbagliavo: chi paga per pubblicare, in realtà paga per non essere ignorato (per essere un po’ amato, diciamocelo). Il self è un indipendente, alle volte un ingenuo, uno che non si tira indietro, sgobba e ci prova. Sono due mondi abitati da creature troppo diverse, non si tangono e convivranno.

Ma se l’eap è un disonore che macchia il curriculum, il self è un passo falso, un inciampo che gli intellettuali e gli scrittori “veri” commentano con una paternalistica alzata di spalle. E gli editori? Non lo considerano proprio. Solo alcuni – agenti, editor, lettori… – si prendono la briga di curiosare tra questi “esordi” a caccia di una buona storia. Ma sono pochi. E pochissimi, diciamocelo, sono gli autori che meritano davvero di essere “pescati”.

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38 comments

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sandra 07/09/2016 at 11:56

Un post davvero lucido e pieno di buon senso questo sul self. Ho letto libri self pubblicati molto validi e trovato ciofeche tra gli editori tradizionali di fascia alta. Ci sono i selfisti duri e puri e quelli di ritorno, scottati da editori che non pagano e non promuovono, che il male dell’editoria magari fossero solo gli EAP è tutto il marcio di roba mai pagata che non si capisce se faccia curriculum o solo rabbia.
Cerchiamo buone storie ben scritte, ormai a noi lettori poco importa come o dove siano state pubblicate, a noi lettori intendo noi che siamo un pelino dentro il sistema, ma gli altri quelli che se non sei in Mondadori non sei nessuno importa eccome.
Non dimentichiamo che i grandi gruppi editoriali hanno libri ma anche testate giornalistiche, per cui è facile nella rubrica di lettura parlare di un libro uscito col medesimo marchio, significa farsi pubblicità da soli. E poi sì, sta cosa dilagante di addetti ai lavori che scrivono romanzi mette all’angolo chi nella vita fa altro e ci prova comunque, ultimamente è tutto un fiorire di copy, traduttori, editor, librai che oh avevano un romanzo nel cassetto!
E il self? Alla fine purtroppo tocca riconoscere che pubblicazioni frettolose hanno ridotto una grande opportunità in discarica.

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Chiara Beretta Mazzotta 07/09/2016 at 17:44

Un pelino dentro il sistema. Ecco. Tu sei una lettrice autrice e credo che faccia la differenza perché sei una donna sensibile, sai come funziona, sai chi premiare e perché. Quindi cerchi, guardando con attenzione.
E il filone di gente dell’editoria che scrive lo conosciamo. Il punto è conoscere chi conta non tanto temi e idee vincenti. È un meccanismo di interessi a incastro.
Tipo cubo di Rubik degli interessi personali 😉

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Barbara 07/09/2016 at 13:01

Considerazione 1: Che mazzata!
Considerazione 2: Ha ragione…
Considerazione 3: Perchè siamo in Italia, ecco perchè.

Il post precedente mostrava i dati di come gli indie stiano dando del filo da torcere ai 5 big americani. In America.
Dove è nato il mito del self-made-man, Robinson Crusoe in testa.
In Italia non funziona, perchè qui celebriamo altri tipi di meriti, non certo il coraggio e la grinta del singolo. Non è una questione dell’Editoria, ahimè, mi risulta globale la cosa, trasversale a tutti i settori. Più che le capacità, funzionano le conoscenze, in ogni campo. Quindi al giornalista diventa facile pubblicare un libro, ha già un nome. Copy, traduttori, editor e librai, come dice Sandra, conoscono già il sistema e possono scrivere “a richiesta” sul tema richiesto al momento dal mercato. E per le case editrici, i rischi (e i costi) sono dimezzati.
Su Amazon: perchè in Italia non c’è lo stesso “filtro” che in America? Nel mercato americano come distinguono gli “indie” dal “single author”? Dovrebbero applicarlo anche qui. E scremare.

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Chiara Beretta Mazzotta 07/09/2016 at 17:48

Lo so, non sono stata molto delicata… ma questo post nasce anche dal dispiacere personale di non vedere certe storie che meritano arrivare ai lettori. Succede nella filiera editoriale, succede con il self.
E ho raccolto un buon numero di “casi”, ahimé.
E sul filtro: in America self è, come dici tu, sinonimo di valoroso che tenta l’impresa. Oltre il 70 per cento degli americani legge. Sono tanti. Tanti lettori che leggono tanto digitale e tanto self. È come avere un super team di lettori addetti al vaglio! Il sistema lì funziona meglio perché tanti lettori filtrano e scelgono, se non il meglio, perlomeno quello che preferiscono. Ed è già molto.

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El Cugino di una Notte di Mezza Estate 07/09/2016 at 17:22

Argomento che meriterebbe ettolitri d’inchiostro. Vedrò di farla breve 😀
Se fossi un addetto ai lavori farei esattamente come il giornalista succitato: un libro autopubblicato finito tra le mie mani andrebbe diretto nel cestino della carta e mi rammaricherei tosto di avere perso tempo a leggerne anche solo il titolo. Leggere non è un passatempo: è tempo prezioso; tempo che non mi va di scommettere con le scarsissime probabilità di trovare qualcosa di decente in un testo senza casa editrice.
Per me un libro che non ha fatto la trafila editoriale non è un libro. Su questo la penso da sempre come R. Cotroneo. Un libro è fatto dalle fatiche di chi lo scrive e a dalle fatiche professionali di chi sa scovarlo, leggerlo, correggerlo e, infine, pubblicarlo. E pace all’anima bella dei lamentosi che invocano le ingiustizie del mondo solo perché credono di avere un capolavoro nel cassetto. Ammettere che ciò che si è scritto non è all’altezza d’un vero codice ISBN, è il primo passo per smettere di mugugnare… 😉 Perché in fondo, uno sa se ciò che ha partorito sulla pagina è buono o meno, e sa che un buon libro un editore lo trova. Sicuro.

Baci

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Chiara Beretta Mazzotta 07/09/2016 at 20:44

Io difendo il self perché è uno spazio libero, una terra di mezzo in cui potersi esprimere, incontrare lettori, mettersi alla prova. Difendo il self perché tocca arrangiarsi (che è sempre utile per mettere a fuoco certi dettagli). E lo difendo perché non è eap. E poi, come detto, accoglie formati “strani” quelli che l’editoria non può collocare: racconti, inchieste, articoli, saggi brevissimi…
Trovare cose buone è una impresa, lo so. E capisco che a un lettore appaia una faticaccia del tutto ingiustificata.

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Marco Amato 08/09/2016 at 20:53

El cugino, quindi tu come Cotroneo, pensi che Dante sia un pagliaccio e Alessandro Manzoni non abbia scritto un libro intitolato i Promessi Sposi?!?
E dove metti Balzac e quel ruffiano di Charles Dickens.
Erano tutti poveracci che si autopubblicavano all’epoca, non so se a Cotroneo lo hanno comunicato con l’interfono. Semplicemente l’editoria ha poco più di cento anni e quella moderna (con editor, correttori, marketing) poco più di cinquanta. Con buona pace degli editori, la letteratura antica non è roba loro.

Perché ad esempio gli autori selfpublishing del passato, da Omero all’editoria, si è avuta una buona scrematura con il tempo e la scarsa diffusione. Così come l’editoria è nata da esigenze precise, così, l’editoria sarà costretta a evolversi nei prossimi secoli, se non anni.
Quanto del self publishing l’editoria dovrà trarne conseguenze? Staremo a vedere. Affermare adesso che il self è da buttare, con poco più di 7 anni di vita, per me che sono accorto, è un azzardo.
Chiediamo a Cotroneo com’era splendente l’editoria nei suoi primi 7 anni di vita?
Chi fra i lettori e gli addetti ai lavori, sa che il povero Emilio Salgari si è suicidato anche a causa del suo editore?L’editoria delle origini era una mera fregatura per gli autori.
E la fregatura editoriale per gli autori (conti alla mano) non è che sia migliorata di molto.

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Chiara Beretta Mazzotta 08/09/2016 at 21:23

Marco, io non faccio proiezioni. Io racconto quello che vedo da editor e giornalista. Tutto qui. Oggi parlavo con una autrice pubblicata tradizionalmente, passata al self e mi ha detto: col cavolo che il prossimo lo butto via.
Lo butto via.
Io parlo di questo. Tra dieci anni spero che il self sia un contenitore altro. Come l’edicola lo è rispetto alla libreria. Per ora non viene calcolato e non dirlo sarebbe una bugia.
E dire che il self ha i suoi guai non significa dire bene dell’editoria. Non facciamo pastrocchi.
Parlo di costi/benefici/gratificazioni.
Ciao!

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Marco Amato 08/09/2016 at 21:43

Il punto dell’autrice che non vuol buttare via il libro, è che lo butta lo stesso con l’editore.
Qual è ad oggi il ciclo di vita di un libro pubblicato?
La maggior parte dei libri dei piccoli e medi editori non finisce in libreria.
I libri che finiscono i libreria sostano sullo scaffale 3 mesi, se son fortunati 6 mesi. Poi reso al distributore e magazzino editore. Finita.
L’editore compiuta la prima promozione lascia il libro al suo destino. Senza promozione il libro anche se su Amazon o Ibs non vende più nulla.
Il ciclo di vita di un libro con l’editoria è così breve, che a mio giudizio è comunque una pubblicazione buttata via. Certo, in pochi mesi il libro avrà venduto migliaia di copie se è andata bene. Ma tre/sei mesi e il libro è soltanto una nota biografica per l’autore.
Anzi peggio. Perché col self, i diritti sono sempre dello scrittore. Con l’editore il destino dello scrittore è affidato a piani commerciali altrui.

Il punto è a mio giudizio. Se si decide di pubblicare in self publishing, come scrittore indie, non bisogna avere di mira i tempi dell’editoria tradizionale. Ma porsi una tempistica più lenta. Un libro di uno scrittore indipendente non scade mai, e la promozione può essere soft, ma scandita nel tempo.
Se l’autore pubblica in self senza questa cognizione, pensando che in sei mesi scala la classifica di Amazon, semplicemente non ha compreso quali sono le caratteristiche peculiari dell’auto-editoria. Ha sbagliato le sue premesse e il fallimento è una naturale conseguenza.
Lo scrittore indipendente deve costruirsi i lettori nel tempo, deve avere una strategia di marketing ad ampia portata. Se non si vuole o non si ha il tempo di dedicarsi alla promozione, il self publishing è solo uno spreco di tempo. E un libro buttato via, ha ragione.

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Chiara Beretta Mazzotta 08/09/2016 at 21:52

NO, Marco, l’autrice in questione in passato ne ha vendute oltre 50mila di copie con Mondadori. Qui la questione era sulla community. Sulla gratificazione di farcela senza dover passare per i soliti cialtroni del quartierino editoriale. Essere indie in questo senso.
Ma a conti fatti, l’autore ci tiene alle recensioni. Ci tiene a esserci sugli scaffali.
Non parlo di soldi. Ma di riconoscimento.

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Marco Amato 08/09/2016 at 22:07

Con 50 mila copie alle spalle fa bene a tornare all’editoria.
Il riconoscimento per molti scrittori è importante, e solo l’editoria può questo.
Comunque avendolo pubblicato in self publishing il libro non è buttato via.
I diritti sono i suoi, può cercarsi un editore o il suo editore e pubblicarlo.
Il percorso inverso, dall’editoria al self publishing, quando si cedono i diritti è quasi impossibile.
All’errore del self c’è sempre rimedio. 😀

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Maria Donata Tranquilli 07/09/2016 at 19:45

Onestamente non mi trovo d’accordo con quanto scritto nell’articolo. Ho pubblicato in self per scelta personale e visto il grande successo che ho ottenuto (solo nel primo mese di vendita ho superato le 1000 copie vendute) lo rifarei infatti a breve uscirà il mio prossimo romanzo.

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Chiara Beretta Mazzotta 07/09/2016 at 20:41

Ci mancherebbe, Maria Donata!
E sono felice per te.
Come detto ci sono autori che vendono – nel pezzo cito giornalisti, professori, saggisti ma ci sono anche i narratori – 1000 copie in editoria è il Nulla purtroppo. Non ripaghi neppure le spese. Ovvio che un self incassando anche il 70 per cento delle royalty qualcosa guadagna. Sempre che non abbia speso tanto per pubblicità, revisioni eccetera.
Però, quello che intendo io è “esserci”, occupare uno spazio, venire letti, essere considerati autori, essere recensiti, suggeriti, intervistati. E stando a quello che vedo, in questo senso, è una lotta impari.
Cioè, per dire: una collega giornalista scrive e pubblica con editori tradizionali e alla volte pubblica come indie pezzi di approfondimento, inchieste, saggi. Sono lavori davvero interessanti che i lettori amano. Ma mai e dico mai, vengono considerati dall’entourage editoriale. Come non esistessero, se va bene, guardati con fastidio negli altri casi. Questo è il punto, visto che molti autori vivono il self come una occasione e un potenziale trampolino.
Alla prossima e in bocca al lupo!

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Naila 08/09/2016 at 12:25

Io ho auto pubblicato un mio romanzo ad aprile, dopo averlo presentato a varie case editrici. Ho ricevuto due proposte di pubblicazione da CE free, eppure ho rifiutato perché c’era qualcosa che non mi piaceva nei contratti. Inoltre, conoscevo due persone che avevano pubblicato con queste case ed erano rimaste deluse (una di queste non aveva fatto nemmeno l’ editing, e i lettori avevano riscontrato dei refusi).
Ho voluto provare l’esperienza del self publishing, ma gli altri romanzi li sto presentando a case editrici free, e non ho intenzione di ripetere con il self publishing, perché anche io credo che i lettori, non tutti, acquistano un libro solo se è stato pubblicato da un editore.

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Chiara Beretta Mazzotta 08/09/2016 at 12:49

Naila, benvenuta, e grazie per aver condiviso la tua esperienza. Corrisponde ai racconti di molti autori che ho conosciuto. L’editoria tradizionale è tutt’altro che perfetta ma per trovare lettori è la via principale. Alla prossima!

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Elena 08/09/2016 at 14:05

Quanta durezza e quanta verità!
E quanti mea culpa mi hai costretta a dire, leggendo il tuo post!
Io sono tra quelli che snobbano chi si autopubblica.
Perchè?
Per pigrizia, per retaggio culturale, perchè è un mondo vastissimo e labirintico, perchè sono prevenuta e basta.
So che in alcuni (forse parecchi) casi mi sbaglio e di certo, dopo questa riflessione, tenterò di essere maggiormente aperta all’idea e, magari, alla lettura.
Ma vorrei tanto almeno un esempio italiano, da leggere e da tenere a mente come monito futuro.
Non ne hai nemmeno uno da farmi?

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Chiara Beretta Mazzotta 08/09/2016 at 16:58

Elena! La spiegazione è nel tuo commento “è un mondo vastissimo e labirintico” e, aggiungo io, le brutture non mancano (ci sono cose davvero davvero illeggibili). Quindi ci sta. Venendo ai libri. Comincio da due: Barbara Schiavulli, la guerra dentro e Le radici del muschio di Milka Gozzer. Bacio!

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Gaspare Burgio 08/09/2016 at 21:29

E’ un po’ singolare questa argomentazione.
E’ come dire che, pubblicando in self, sogno segretamente di venire pubblicato da editore ma per strade traverse. Se non accade allora c’è un errore.
Comunque tema trito da 5 anni, se non di più.

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Chiara Beretta Mazzotta 12/09/2016 at 12:50

Gaspare, faccio un lavoro ripetitivo sono una editor e leggo e ci sono quelli che scrivono. Sarà per questo? 😉
A parte tutto: trito? In che senso? Ci vuole tempo per osservare un fenomeno. Anni fa era del tutto inesistente. Poi è stato discusso ma è tuttora snobbato.
E per la mia esperienza il 95% dei self spera di essere notato da un editore. Non so la tua. Mi interessa, comunque.

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Marco Amato 08/09/2016 at 21:29

Chiara, poco tempo fa ho rilasciato una lunga intervista a tema self publishing.
Un blogger scettico del self publishing contro di me teorico del self publishing.
Ce le siamo dette senza risparmiarci. L’articolo è rimbalzato parecchio sui social e ha ottenuto più di cento commenti.
Non metto il link perché non so se sia il caso.
Comunque pur condividendo buona parte delle tue considerazioni, non vedo emergere uno degli aspetti fondamentali, gli scrittori indie.
Ovvero quegli scrittori che rifiutano le condizioni dell’editoria per essere indipendenti.
Oggi la tecnologia permette un’auto-editoria moderna ed efficace.
La strategia di uno scrittore indipendente non ha nulla a che vedere con la classica promozione editoriale. I giornalisti cestinino ciò che vogliono. Per uno scrittore indie contano men di zero. Oggi la vera comunicazione con i lettori non si fa con le recensioni sui giornali, mezzo che non compra più nessuno e resiste solo per le sovvenzioni dello stato italiano.
L’autocelebrazione fra i giornali, i critici che si cantano fra di loro, i circoli degli amici, che peso reale hanno sulle vendite? Quanto sono efficaci le presentazioni che si riempiono di lettori solo quando appaiono i grandi nomi.
Forse contano le passate in tv, ma da Fazio sappiamo bene quali sono i nomi che circolano.
Oggi la vera battaglia non è il filtro editoriale che dialoga con i lettori. Oggi il dialogo è diretto sui social fra scrittore e lettore.
E in questa nuova corrispondenza emotiva gli scrittori indipendenti hanno nuove e amplissime possibilità.
Negli Stati Uniti, ormai si è tanto ribaltata la cosa, che alcuni giornalisti dicono agli scrittori indipendenti: sì avete ragione, ma anche l’editoria tradizionale non è ancora così male.
Il punto è che in Italia c’è ancora troppa bassa qualità del self publishing. Semplicemente perché mancano i modelli di riferimento.
Ma soprattutto da noi occorrono i primi best seller di scrittori indie che accendano la miccia. Scrittori indipendenti che non sono disposti a vendersi all’editore al primo cenno di inutile pubblicazione. Ma che da pari a pari sono anche disposti a pubblicare con l’editore, ma contrattando la cessione dei diritti sotto le varie forme.
Il punto è: mentre l’editoria litiga in maniera sterile sui saloni da realizzare e quindi si indebolisce in un momento in cui il mercato è in crisi, dall’altra parte, nuovi autori (anche di qualità) sono disposti a rifiutare l’editoria per avviare una strada senza intermediazione.
Quel che accadrà? Staremo a vedere.

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Chiara Beretta Mazzotta 08/09/2016 at 21:54

Marco tu difendi il meccanismo. Pure io! Il piano è diverso.
Trovami un giornalista culturale che dà spazio ai self.

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Barbara 10/09/2016 at 16:40

Considerato come stanno messi i bilanci delle testate giornalistiche in Italia…potrebbe non essere nemmeno più un problema, quello del giornalista che snobba il self, tra un quinquennio/decennio! 😛

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Chiara Beretta Mazzotta 11/09/2016 at 15:34

Ahahahhaha in effetti.

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Serena 08/09/2016 at 22:07

Ti dirò, Chiara, non mi sento poi così sola né così triste Perciò grazie del pensiero ma declino. Teniamo le lacrime per cose un po’ più serie… A tutti consiglio, come sempre, la lettura di “Inchiostro Antipatico” di Paolo Bianchi. Io l’ho letto e continuo a scrivere, incredibile, vero?
Ah, e quello lì che dice che tutte le storie belle trovano un editore e il sacramento dell’ISBN eccetera da dove commenta, dal pianeta Papalla?
Ormai dove si discute di self non intervengo più, mi toglie tempo alla scrittura. L’ho fatto da te perché mi sei simpatica, se no col cavolo.
Lo so, non sono stata delicata. Sarà il sonno. Notte ^^

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Chiara Beretta Mazzotta 12/09/2016 at 12:52

Ahahahahaha, Serena! Me lo stampo questo commento.
pianeta Papalla? Ahahahahhahahaha

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Lorena Laurenti 08/09/2016 at 22:21

Articolo sicuramente valido. Essendo self dal 2012 posso dire di avere preso parecchie porte in faccia. Però ho avuto anche diverse soddisfazioni, la prima sicuramente economica grazie alle elevate royalties di Amazon al 70%, come già citato in altri commenti. Di certo nella mia breve “carriera” non ho fatto i numeri possibili in una grossa Ce, ma sono riuscita a vendere per un buon periodo di tempo una media di 30 copie al giorno, arrivando a 1600 euro al mese. Per me, esordiente, è stato un enorme risultato, tanto che ho smesso di presentare i libri alle Ce. Il mio ultimo romanzo è decisamente di nicchia, e i numeri del 2013 non si fanno più, ma va bene così. L’ultima campagna pubblicitaria che ho lanciato dice proprio “non è per tutti”. Quindi, perché disturbare le Ce? 😀 Alla fine ho un mio piccolo seguito, piccolo eh! In pochi mi conoscono, ma finché riesco a guadagnare quanto basta non ho intenzione di rivolgermi ad aziende che potrebbero impormi tagli o modifiche, preferisco restare semi ignota ma libera. Essere self non è facile, richiede molto “stomaco” e non tutti sono adatti, però il mercato se la cava bene a scremare. Poi il bello è che un self può rimettere mano ai vecchi lavori ogni volta che vuole, anch’io adesso sto facendo un restyling della mia prima opera, cosa che sarebbe difficilmente possibile se circolassero migliaia di copie nelle librerie.
In ogni caso non voglio essere ipocrita: se domani il signor Mondadori mi chiamasse, di certo non riattaccherei!
Per il resto… vedremo come si evolveranno le cose! 😀

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Serena 08/09/2016 at 22:23

Dimenticavo: gli editori snobbano il self? Gli editori vanno su Amazon, prendono l’autore self bestseller e gli fanno un contratto (se ci riescono). Pensa un po’ come lo snobbano, il self.

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Chiara Beretta Mazzotta 12/09/2016 at 12:53

Lorena, 30 copie al giorno? Manda il libro! Anzi, me lo prendo 😉

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Chiara Beretta Mazzotta 12/09/2016 at 12:55

Quanti self pescati da quanti editori? Parlo di questo, non dico che non accada. Newton lo fa spesso con ottimi numeri. Se il self fosse il bacino da cui pescare, arriverebbero tutti da lì. 😉

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Angelique 09/09/2016 at 00:00

Lo stesso articolo varrebbe sostituendo “self” con “pubblicato da un piccolo editore”. L’autore si trova da solo, deve promuoversi, cercare lettori, elemosinare recensioni e bussare alle librerie per chiedere di lasciare il libro in conto vendita perché non c’è alcuna distribuzione.
Detto questo, ora come ora non lascerei l’editore tradizionale per il self, perché non mi sento in grado di affrontare impaginazione, progetto di copertina, eccc. da sola, per una questione di competenza e di tempo.

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El Cugino di una Notte di Mezza Estate 09/09/2016 at 13:49

Ah, quel bipede sprezzante Serena nel nome ma molto meno nella testa, mi ricorda tanto quei tipini dall’aria giovanile che infestano Facebook con i video patacca di loro al volante di improbabili decappottabili, che in tre minuti e col sorriso stampato come da una paresi, cercano di infinocchiare qualcuno sulla bontà del loro sistema e con la storiella che hanno fatto una barcata di soldi in soli due mesi con un metodo innovativo, infallibile, facile ecc. ecc. 😀 😀 😀
Eh, quanto mi piacerebbe conoscere la dichiarazione dei redditi di costoro… Però poi rifletto e penso che son cose da giovani e ai giovani si perdona tutto o quasi… Un po’ meno alle attempate che per non apparire tali s’inceronano la faccia, si rullano di biondo la chioma e mostrano muscoli che non hanno… 😉 😀
Lo so, non sono stato delicato. Baci…

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Sonia 09/09/2016 at 14:31

Sono d’accordo con tutto quanto scritto nell’articolo. Però, caspita, non possiamo stare sempre a lamentarci “in America è così, in Italia invece pomì”. Gli scrittori devono farsi portatori di cultura, di un’idea, quindi mettiamoci sotto e dimostriamo che si può scrivere un buon libro anche senza avere una casa editrice. I giornalisti non ti considerano e allora si trova un’altra strada, si costruisce una una community di persone che ti supportano, ci sono tutti i mezzi per farlo e scrittori che ci sono riusciti e poi sono stati inseguiti dalle case editrici. Ma ci vuole un progetto, non si può più dire questo è il mio libro, vi prego prendetemi in considerazione. Anche le case editrici, visti i costi della pubblicazione, cercano di investire sul sicuro, quindi, ti devi già proporre con un libro che può creare interesse. Almeno, io la penso così.

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Chiara Beretta Mazzotta 12/09/2016 at 13:03

Sonia, guarda chi mi conosce lo sa: sono una inguaribile ottimista! Non mi lamento, tento di parlare chiaro. Perché alcuni certe cose non le dicono, non è che ti fai troppi amici… perché? Potrebbe sembrare che io sia contro il self. Non è così. O contro lo spirito di iniziativa. Non è così.
Anche perché mi capita spesso di lavorarci con i self! Ho detto qui, quello che dico a molti autori con schiettezza.
Senza una storia un libro è solo un coso che occupa spazio. Se vuoi fare da solo devi avere un progetto per comunicarlo. Il famigerato storytelling è una bella rogna! Perché un conto è uno che dice: bello questo libro. Altro è un autore che spamma il suo.
Quindi tocca costruire prima una community e condividere con lei il progetto. Ora, però, mi tocca fare il giochino “in America si sta meglio”. Il supporto che ho visto lì è incredibile. Qui ci si affossa con maggiore entusiasmo… magari cambieremo.
Non è facile autopromuoversi, no davvero. Ma, lo ripeto, è una occasione per mettersi in gioco. Alcuni dicono “non butterò via il prossimo libro con il self” altri mi mandano i dati di vendita e sorridono (son pochi eh!).

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newwhitebear 10/09/2016 at 14:59

Quello che scrive è corretto, senza dubbio. Il problema è alla fonte. Chi dovrebbe leggere o recensire lo fa solo per i grossi editori e ovviamente sa di ricavarci qualcosa in cambio.
Lei dovrebbe aggiungere che il giornalista/critico non butta nel cestino solo i selfpublishing ma anche tutti quelli che non sono targati Mondazzoli o Gems e qualche altro editore.
Questa è la triste realtà
Il self se fatto con intelligenza dà piccole soddisfazioni come il pagamento delle royalties con regolarità, essere possessore di tutti i diritti. Certo c’è molta cartaccia nel self ma nell’editoria non c’è analoga cartaccia? Forse molto di più. Col print on demand del self non spreco carta inutilmente mandando a macero centinaia di copie invendute, salvo che l’autore non se le compri.

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Chiara Beretta Mazzotta 11/09/2016 at 15:43

Qui ci si infila nelle pettole e nei distinguo, mannaggia.
Allora, conosco giornalisti scambisti professionisti che parlano solo di alcuni perché fa loro comodo e, soprattutto, perché scrivono a loro volta. Quindi una recensione a te, significa prima o poi una recensione a me.
Ma conosco colleghi – sono giornalista pure io – che seriamente fanno il proprio lavoro. Di solito sono relegati in qualche ufficio al Polo Nord ma ci sono 😉
Il self non è tutto da buttare e fare il self non è solo una grande delusione. È più facile trovare un libro in editoria che nel self, garantito. E te lo dice una che non vederebbe l’ora di scoprire talenti se ci fosse un meraviglioso luogo in cui pescarli. Per esempio: tempo fa volevo far partire una rubrica sul self ma non riesco a trovare cose leggibili. Magari c’è la storia ma tra impaginazione e refusi, è un delirio. Oppure c’è l’italiano ma non c’è la storia. Far da soli non è facile e si vede.

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roflol 22/03/2017 at 10:59

E’ una tristezza quest’ italia di buffoni e raccomandati, di banalità in luce 24h e di specialità messe da parte.
Sono uno scrittore e sto ricevendo la stessa porta in faccia dalle case editrici.
Ma per quanti buffoni ci siano, non potranno mantenere in piedi la loro menzogna a lungo, perchè è facilmente criticabile: come può essere considerato “uno che cerca la strada facile” uno scrittore che invece di non avere riscontri sul suo libro, si mette in gioco, si fa un mazzo cosi’ nell’ autopubblicarsi e migliorarsi, confrontandosi e quindi migliorando i suoi scritti?
Per quale motivo tale mio sforzo per connettermi al mondo (impossibiltato dall’ immaturità agli inizi di carriera) deve essere il mio marchio a fuoco a vita e non essere minimamente considerato?
Ma andate a leggervi 50 sfumature di grigio và!!

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Paola 06/11/2017 at 12:03

Cosa ne pensate di servizi come Selfpublishing Vincente di Emanuele Properzi? È un controsenso?

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Chiara Beretta Mazzotta 16/11/2017 at 12:35

Paola, scopro grazie a te questa realtà. Non la conoscevo… Lilia Carlota Lorenzo (la trovi nella home del sito) l’ho letta e recensita e ricordo la sua storia di successo con il self che l’ha portata poi a Mondadori. In effetti quelli che hanno successo con il self poi, pubblicano con un editore. Il che dimostra che il solo self non basta. Non ancora. Anche sei hai successo.
Adesso indago!

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