Scopri i Libri a Colazione della settimana: Anatomia di un matrimonio di Virginia Reeves e Se amore guarda di Tomaso Montanari.
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ANATOMIA DI UN MATRIMONIO
di Virginia Reeves, traduzione di Giada Diano, Edizioni Clichy, pagine 366
“Fred lavora tutta la mattina e il primo pomeriggio, pranza tardi in caffetteria, dove bada più a vigilare che a mangiare, poi torna nel suo ufficio per lavorare fino al tramonto. Alle sei Pete bussa alla porta e lo trascina al Tavern, dove bevono fino a uno stordimento abbastanza ebete da consentire a entrambi di risalire in auto e tornare dalle rispettive mogli ad Helena, a quaranta minuti di distanza. Lavorare in un istituto richiede lontananza, sei sigarette, svariate birre e una camera di decompressione chiamata automobile. E anche un tragitto abbastanza lungo da permettere ai pensieri che non si sono ancora formati di formarsi, a quelli sommersi di riemergere e agli eventi di riscriversi.”
Fred Malinowski è il direttore del Boulder River School and Hospital. Nessuno dei suoi amici a Medicina capiva perché volesse occuparsi dei disturbi dello sviluppo invece che delle malattie mentali. «Non hai nessuna possibilità di guarirli, Malinowski» gli aveva detto un giorno un collega. «Non c’è cura per quei problemi». Ma Fred è sempre stato più attratto da un caso di progresso che da una diminuzione delle psicosi.
Sta facendo del suo meglio, per risollevare le sorti di quella struttura. Per il “progetto”, così lo chiama. Provare a dare un senso a quel posto, al modo di occuparsi dei pazienti. A se stesso. E sta facendo del suo meglio anche per imparare i nomi di tutti, ma ci sono settecentocinquanta pazienti affidati alle sue cure e il personale cambia in continuazione.
Ottimi studi, un lavoro di prestigio, una bella moglie. Questo, a dipingerlo, dovrebbe essere il quadro della sua vita. O forse no. Forse sarebbe più onesto dire che è rinchiuso tra le montagne del Montana per raddrizzare un progetto sghembo, sta con una moglie che si sente in trappola a cui ha promesso stabilità, uno stipendio sufficiente per non farla lavorare e le ha pure promesso il tempo per provare ad avere figli, così da averli davvero e crescerli. Ed essere finalmente a posto.
Jung vedeva il tre come qualcosa di quasi completo; quasi, ma non del tutto. Un bambino o due li avrebbe completati. Ma per il momento nella stanza del bambino Laura ci ha fatto il suo studio, pareti giallo tenue, quadri e cavalletti ovunque. Dipinge paesaggi e il Montana dovrebbe essere il posto ideale, no? «Non riesco a dipingere tempeste qui» dice lei. «L’azzurro vuole sempre ritornare».
E poi ci sono Delilah e le altre. Nulla che abbia a che fare con il suo matrimonio. C’entrano con i suoi appetiti sessuali. Perché non c’è alcun attaccamento intellettuale o emotivo nei confronti di queste donne, perciò non c’è traccia di senso di colpa.
Anche Laura ha mentito. O, meglio, non ha raccontato la verità. Non ha detto dell’offerta di lavoro, del conto in banca. E non forse non dirà neppure del ragazzo attraente che è venuto per comprare un abito per la madre morta.
Di Penelope, invece, Fred non ha mai taciuto. Perché avrebbe dovuto farlo? È una sua paziente. È bella, intelligente. Scrive poesie e canzoni illogiche ma con lei si può parlare anche se ha solo 16 anni. Della terapia, delle cose. Del mondo. E lei potrà pure fare un bel gruppo di lettura per i pazienti. E sua moglie invece potrebbe insegnare pittura. Questa potrebbe essere una buona soluzione.
Si aggiusta tutto insomma. O forse si distrugge tutto, mentre si cerca di nascondere una crepa, ecco che se ne produce un’altra e un’altra e un’altra ancora. Mentre si cerca di domare l’imponderabile, di ignorare un’infatuazione e di guarire dalla malattia più insidiosa che ci sia: l’amore.
SE AMORE GUARDA
di Tomaso Montanari, Einaudi, 120 pagine, anche in ebook
“Il rischio, tuttavia, è che il patrimonio culturale finisca per essere sentito come la manifestazione concreta dello Stato, e cioè dell’ordine vigente: dello stato delle cose. Come la rappresentazione, quasi la celebrazione, dei rapporti di forza esistenti: qualcosa che riguarda presidenti, ministri, sindaci come un tempo riguardava papi, monarchi, potenti. Qualcosa che, come tutto il resto, ci avvince al qui e ora, e ci assegna un ruolo e un rango, sociale. E il rischio è anche che la storia dell’arte sia percepita come il lusso di quei pochi che possono avere la passione – o peggio l’hobby – della ‘bellezza’. Un passatempo per ricchi egoisti che possono permettersi di amare l’arte perché sono tra i beneficiari dell’ingiustizia ambientale e sociale.”
Forse abbiamo smarrito la ragione profonda per cui ci interessiamo alla storia dell’arte e al patrimonio culturale: la forza di liberazione con cui apre i nostri occhi e il nostro cuore a una dimensione “altra”. Un prezioso gioco di opposti, una polarizzazione, tra il passato e il mondo di oggi. Qualcosa che disvela ciò che conta davvero, ciò che davvero ha senso nella vita.
È necessario capire per prima cosa che cos’è il patrimonio culturale ma è soprattutto necessaria una educazione sentimentale, perché è una questione d’amore. Non di valorizzazione. Perché abbiamo bisogno di andare a caccia di umanità, qualcosa di tanto prezioso che però non riusciamo a vedere più né dentro di noi né intorno a noi.
Il patrimonio culturale è uno spazio che è anche un tempo: un altro tempo, incuneato in quello che chiamiamo presente, ma a esso sottratto, rubato. Ogni frammento di ciò che chiamiamo patrimonio culturale testimonia, con la forza della materia, che un tempo altro è davvero esistito.
E, soprattutto, dimostra che il nostro presente, che tutto divora e su tutto comanda, non è un assoluto: è solo uno dei tanti presenti. Rimanda ad altri mondi, con altre lingue, altre leggi, altri domini.
Ma l’aspetto più affascinante è che tale patrimonio, cioè questo tempo altro, vive dentro al nostro tempo. È cioè parte integrante del mondo in cui viviamo. Non parliamo di realtà parallele, c’è una continuità. È tutto qui, ora.
Quando varchiamo una chiesa, quando osserviamo un mosaico romano del II secolo attraversiamo una frontiera invisibile tra il nostro mondo e un altro spazio-tempo, è tutto prossimo eppure ci conduce in una alterità, una diversità. Basta un passo per cambiare dimensione.
Il patrimonio culturale non è fatto solo di quelle “cose” magnifiche, ma degli sguardi che per secoli, o per millenni, le hanno trasformate in sentimenti, e in linguaggio. Questo intreccio di cose, pensieri e parole oggi parla alle nostre anime proiettandoci in un altro mondo, che è dentro il nostro mondo concreto, ma lo trascende, e lo dilata.
Tomaso Montanari, abbandonando le definizioni giuridiche ed evitando le polemiche, ci regala una riflessione sul patrimonio culturale spiegandoci la sua fondamentale importanza, in una dimensione esistenziale, politica e filosofica.