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Non è lavoro, è sfruttamento di Marta Fana
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Non è lavoro, è sfruttamento – Marta Fana

Natale, Capodanno… questo è un periodo di riflessioni. Che cosa abbiamo concluso durante il 2017? Che cosa ci manca per essere felici? Cosa renderebbe migliore la qualità della nostra vita? E il lavoro, spesso, c’entra.

E allora prendete un po’ di coraggio e affrontate questo libro, un saggio che vi permetterà di fare il punto sulle condizioni del mercato del lavoro nel nostro Paese. E la situazione è a dir poco desolante. Il punto? È bene ricordarsi che il mercato lo fanno le aziende e le leggi (quelle che ci sono e quelle che mancano) ma, soprattutto, lo fanno gli individui accettando o no un determinato trattamento. Ogni volta che abbassiamo le nostre pretese, ogni volta che subiamo una ingiustizia, consolidiamo una cattiva pratica che finisce con il diventare la regola. E a farne le spese è la collettività.

Ma perché un’azienda che fattura centinaia di milioni di euro l’anno deve pagare i lavoratori una miseria e a cottimo, senza riconoscergli alcun diritto, né ferie, né malattia, né gli occhi per piangere?

Pensiamo a quelli che vengono definiti “nuovi schiavi”: i riders che consegnano cibo a domicilio con la propria bicicletta – propria, perché non viene fornita dall’azienda come la manutenzione che è a carico del lavoratore – e vengono pagati tre euro l’ora.

Alla cassa tutti i weekend da venerdì a domenica e poi anche un turno durante la settimana. Per gli infrasettimanali la chiamavano il giorno prima per darle conferma. No ferie, no malattia. Il turno era di dodici ore con un’ora e mezza di pausa pranzo. La pausa era il solo momento in cui Chiara aveva il diritto di bere.

Lavoro a cottimo ma anche lavoro a chiamata e poi l’inferno dei voucher, il sistema dei buoni lavoro liberalizzato nel 2012 dalla riforma Fornero che non danno alcun diritto (malattia, maternità, disoccupazione, assegni familiari) ma solo il dovere di lavorare. I voucher non sono un contratto, non c’è l’assunzione, non c’è il licenziamento. Se al datore di lavoro non servi, se sei malato, non ti chiama più.

Come quel ventitreenne che faceva il saldatore a voucher in una fabbrica del modenese e che un giorno, per un incidente, ha perso tre dita sotto una pressa. È rimasto a casa, senza convalescenza e malattia retribuite. Nei fatti ha perso il lavoro ma stavolta non c’è neppure bisogno di licenzialo.

Precariato, flessibilità ma anche lavoro gratuito che, sì, è un ossimoro ma esiste, come esistono le persone che tutti i giorni lavorano gratis. Quello del lavoro non retribuito pare infatti diventata una precondizione per ottenere un lavoro remunerato. Domani, però. Oggi si lavora gratis.

È bastato davvero poco per passare dalla generazione mille euro al mese dei primi anni Duemila a quella dei cinquemila euro l’anno con i voucher e altri dispositivi precari. Ma, soprattutto, in un batter d’occhio si è giunti fino alla normalizzazione del lavoro gratuito.

Perché partire dalle cose che non vanno per provare ad acciuffare i propri sogni? Non è certo per tarparsi le ali ma perché, per fare, bisogna soprattutto conoscere. Ed è quindi indispensabile conoscere la situazione del mercato del lavoro e i propri diritti. E imparare a dire no. Una sillaba che vale quanto un superpotere.

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1 comment

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Sandra 02/01/2018 at 12:41

Io rischio di sembrare antipatica ma mi chiedo sempre cosa spinga ad accettare proposte di lavoro/sfruttamento? La risposta ovvia pare essere, la mancanza di un posto migliore, eppure anch’io sono stata una neo diplomata in cerca e certe proposte, (all’epoca andava tanto di moda il corso di computer a pagamento che poi forse ti assumevano, quanti me ne hanno proposti, e improbabili banchetti nei supermercati per vendere chissà cosa) le ho sempre rifiutate, e avevo bisogno di lavorare. Orribile che certe prassi siano legali e che nessuno sia stato lungimirante da capire che i voucher sarebbero stati un boomerang. Del resto per me volontariato è fare del bene, penso agli psicologi della Lega tumori negli hospice, Santi subito, non chi lavora la notte di capodanno nelle feste di piazza, senza venir pagato e anche di questi ne abbiamo appena visti diversi.

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