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È l’anno del mulo in editoria?

Confusione di ruoli e promiscuità professionale. Ecco come sembra cambiare un settore ancora in crisi come quello editoriale.

È probabile che lo ignoriate, se non vi intendete di razze e incroci, ma una cavalla e un asino danno alla luce un mulo. E il mulo è sterile.

Se vi fate un giro per questo buffo settore che è l’editoria, capirete presto che la crisi c’è ancora e sta cambiando parecchi equilibri. Fusioni, migrazioni, fallimenti, vendite inesistenti, indecisioni sono lo specchio dei guai.

I professionisti della filiera faticano a svolgere il proprio lavoro e a guadagnare, e questoSupply chain illusion crea delle aberrazioni. A parte la generale insoddisfazione – e la frustrazione non rende migliori né più lucidi – molti si reinventano, cambiano identità, aggiungono servizi e (millantano) competenze.

Una schizofrenia generalizzata che ha un primo effetto sui prezzi la cui variabilità oscilla tra la cialtroneria e la totale inconsapevolezza. Per non dire del problema “lavorare gratis”: se ti chiedono di fare qualcosa che va oltre le tue competenze, c’è il rischio che ti senta lusingato per la proposta e che l’investitura sopperisca l’assenza di retribuzione (eh, che vuoi, mica è il tuo mestiere, ovvio che non ti pago!).

Succede sempre più spesso, per esempio, che editor, correttori, blogger, agenti, editori, uffici stampa, librai scrivano un libro. Spesso gli editori sperano di far fruttare il nome e/o la comunità dell’autore (così da vendere qualche copia) e altrettanto spesso i neo-scrittori finiscono con il farsi lo sgambetto da soli. Se cambi identità e fai il lavoro di quelli che erano i tuoi clienti o collaboratori – conflitto di interessi a parte – entri in competizione con loro. Rischioso, no?

Gli scrittori fanno i conti con i numeri (alcuni li danno). Altro che 20-30mila euro di anticipi! Se ne arrivano 3mila è già un successo, così come non è più garantita la continuità editoriale. Cioè se prima un autore – pubblicando e avendo dei riscontri di pubblico – poteva dirsi “scrittore”, creava un rapporto con il suo editore e conquistava un proprio spazio sugli scaffali, adesso tutto è precario.

Chi scrive a ogni libro deve rimettersi in discussione. Alle volte riceve un trattamento pari a quello di un esordiente qualsiasi. Non viene letto, viene letto male, deve attendere il responso per mesi… cioè non possiede più il canale preferenziale (costruito a suon di parole, presentazioni, lettori conquistati). Quindi? Molti scrittori si rilanciano come editor, agenti, librai e cercando di far fruttare ciò che hanno sperimentato sulla propria pelle così da farne un mestiere.

Gli agenti letterari? Più che proporre titoli agli editori cercano i titoli che gli editori credono di volere. Ai volte i libri li costruiscono a tavolino. Altro che “l’editing lo fa la casa Disgustoeditrice”, ormai questa è una storiella che ricorda i bei vecchi tempi. Senza editing certe porcherie proposte (che per motivi oscuri agli editori paiono promettenti) sarebbero impresentabili. Il risultato? Si rischia di sopravvivere grazie agli editing e non alla rappresentanza.

Alcuni agenti si rifiutano di cucinare soltanto pietanze indigeste e ci provano: aprono anche una casa editrice per dare spazio ai testi che altrimenti resterebbero nei cassetti. Ma come si può essere agenti ed editori allo stesso tempo? L’autore di solito va dall’agente per essere tutelato dall’editore o no?

Talvolta per le agenzie si tratta solo di raccogliere in uno spazio virtuale le proposte che gli editori hanno rifiutato. Non scarti, perché qui si rischia di trovare sperimentazione, originalità, temi poco battuti (le proposte che un tempo gli editori avrebbero cercato?).

Il primo problema, però, è che per entrare in questo spazio spesso tocca pagare (e non poco). Il secondo: un conto è un agente che offre all’autore un servizio di editing per fargli Disgustotrovare un editore, altro è far sborsare all’autore parecchi euro per collocarlo in un contenitore sul web – il contenitore dell’agenzia letteraria – che però non si può accomunare con una casa editrice.

In questo caso gli agenti smettono di fare il proprio lavoro – trovare un editore – e “pubblicano” gli autori facendogli pagare editing e promozione (1000, 1200, 2000 euro questi sono i prezzi per la seconda). Non so a voi, ma a me ricorda parecchio l’editoria a pagamento…

Se avete qualche storia da condividere, ne sarei felice. No, nessuna caccia alle streghe, questo è un blog di libri, un blog di recensioni di libri ma è anche uno spazio per interrogarsi sui cambiamenti del settore.

E il tentativo adesso è capire se questa confusione di ruoli, questa promiscuità professionale – professioni contigue ma diversissime – generi qualcosa di valido per il futuro o sia sterile, come il mulo.

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13 comments

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Silvano Calzini 21/04/2016 at 15:24

Non so se c’entra con il tema, ma a me è capitato di avere un’idea giudicata originale da un addetto ai lavori di un certo peso, un noto critico tanto per capirci. L’idea è stata raccolta da un piccolo editore, serio, fuori dal giro dei soliti noti, ed è diventata un libro. Il noto critico mi ha preso in simpatia fino al punto da scrivermi una bella postfazione e ha parlato più volte del mio lavoro nelle sue rubriche. Essendo un perfetto sconosciuto e un esordiente, per quanto stagionato anagraficamente, da parte mia non potevo chiedere di più. Resta però il fatto che il noto critico mi ha sempre manifestato il suo stupore per il silenzio dei grandi editori, sordi nei confronti di tutto ciò che esca fuori dai soliti schemi e ciechi verso chiunque non faccia già parte degli happy few.

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Chiara Beretta Mazzotta 21/04/2016 at 17:53

Eh ma il critico – se è noto e di un certo peso – sa bene come funziona. Purtroppo l’editoria, a differenza degli altri settori che cercano di fare il mercato, lo insegue. Se ne va in giro a chiedere ai lettori quello che vogliono leggere. Ma la maggior parte dei lettori non lo sa! I lettori vogliono che gli si dica “questo libro non te lo devi perdere perché…”.
E oramai non sono ci sono più gli happy few. Gli happy sono many ma durano less. Il turn over è spietato. 😉

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Sandra 21/04/2016 at 15:26

Premetto che conoscevo la storia della povera mula, anche se non me ne intendo di equini e incroci, ma purtroppo me ne intendo di sterilità.
Ho incontrato la responsabile di una collana di una casa editrice che era anche autrice, pubblicava proprio per quella collana. Persona squisita va detto, che rispose subito, e si è spesa una sera con non so quante mail quando probabilmente un divano l’avrebbe attratta di più. Però la stortura c’era, e alla fine l’ingerenza anche: la storia le piaceva molto e anche lo stile, ma l’editing avrebbe stravolto l’intero testo, e quando ha riscritto il finale con qualcosa del tutto improponibile, perchè proprio fuori dalla realtà concreto, ho capito che non era cosa, e ci siamo salutate. Ho come idea che l’essere autrice abbia avuto un peso non da poco nella faccenda.

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Chiara Beretta Mazzotta 21/04/2016 at 17:57

Questo è un altro problema. La promiscuità rende meno credibili. Perché il conflitto di interessi ti togli autorevolezza.
E basta rileggerti per capire che no, non ci siamo proprio: “La storia le piaceva molto e anche lo stile, ma l’editing avrebbe stravolto l’intero testo, e quando ha riscritto il finale con qualcosa del tutto improponibile…” cioè le piaceva la storia a parte il testo e il finale?
Cosa le piaceva insomma? Un altro libro.

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Sandra 21/04/2016 at 18:22

L’idea di base, forse. Ma alla fine volevo dirle “oh, scrivetelo te!” ma non avrai la mia voce e soprattutto la mia Natallia 😀

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Chiara Beretta Mazzotta 21/04/2016 at 21:24

Sì appunto. Ma come puoi dire a un autore che deve cambiare tutto e glielo scriverai tu? Questa è una aberrazione.

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Marco Amato 21/04/2016 at 17:39

Eh di meditazione sull’editoria ce ne sarebbe da fare tanta.
La confusione che trovo maggiormente fastidiosa è data dal critico (stroncatore) che diventa romanziere. Romanzo che poi subito viene lodato da scrittori e addetti ai lavori perché il critico iniziato nel mondo delle mani sporche della scrittura vera, potrà di nuovo tornare a stroncare dopo aver dato il via al circolo di favori. Il favoriamoci tutti che si alimenta come un mulinello di cartacce e scema allo spirare del vento in altra crisi.

Poi per quelli come me che appartengono alla concezione self publishing o per meglio dire scrittori Indie, Facebook diventa una miniera di inesauribile chicche editoriali.
Infatti, ci sono scrittori che su Facebook presi dal fervore mistico della pubblicazione concessa scattano foto ai contratti editoriali appena firmati. Ma che splendore di chiccherie. Risate e stupore che ci portano a dire, ma davvero ci sono scrittori che firmano simili contratti editoriali?

Ad esempio un editore gran noto recita papale papale sul contratto: “Cessione dei diritti di utilizzazione economica.”
Che parafrasando il testo sembra dire: bravo che hai scritto un libro, ma dato che tu sei una pippa e non sapresti come tirarci un euro dal tuo lavoro, tu da questo momento cedi tutti i diritti a noi, così il libro noi lo sfruttiamo per farci i soldini in questo modo e questo modo. E a te ti riserviamo dei pagherò più che altro formali.

Un altro editore superconosciuto che appartiene a un gruppo ipermegagalattico nel contratto parla apertamente di fantascienza. Infatti impone al povero (fessacchiotto) scrittore, la cessione dei diritti per tutti i mezzi attualmente esistenti che produrranno o meno, ma anche per i futuri mezzi tecnologici che verranno inventati. Su portano avanti sul futuro per contratto!
Per dire, appena sarà disponibile il lettore di ebook a onde celebrali: fatto! I diritti già sono stati già ceduti… Una firma è per sempre.

Un’altra clausola divina di un contratto editoriale recita proprio così: “è nell’interesse dell’editore svolgere secondo consuetudine e a sua discrezione, attività promozionale per la vendita…“
Cosa? A sua discrezione? Cioè un autore firma un contratto per 10/15/20 anni e la promozione da parte dell’editore è a sua discrezione? Cioè lo scrittore affida il tuo sogno tirato per anni a un editore e l’editore dice per contratto: Adesso il tuo libro è mio e te lo promuovo… a mia discrezione!
E noi a dire: possibile? Eh ma lo scrittore non firma di sicuro una clausola del genere…no no, non la può firmare… un libro senza promozione certa è condannato a morte prematura, non firmerà mai: cacchio… ha firmato. 🙁

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Barbara 21/04/2016 at 20:23

Questa storiella mi ricorda i clamorosi tempi nella NIU ECONOMI, quando anche il pizzaiolo sotto casa diventava all’improvviso “special visual innovator”, “creative software alchemist” e soprattutto “special software innovator” (se volete divertirvi con altre qualifiche provate questo fantastico generatore: http://www.phibbi.com/generatore/qualifiche-stronze-web/ )
E’ facile, fai un corso online, prendi un certificato e ti butti anche tu nel business.
Poi la crisi ha fatto pulizia da sé e si è ridimensionata tutta la bolla.
Forse con l’editoria i tempi si allungano…ma credo che seguirà inevitabilmente lo stesso percorso. Che prima o poi i conti devono tornare in pari.

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Chiara Beretta Mazzotta 21/04/2016 at 21:30

In editoria sono dei veri funamboli. Immagina. Vai dal portinaio e gli dici: scusi, siccome lavora in portineria e il palazzo lo conosce bene, non è che mi fa un bel progettino per la ristrutturazione del mio appartamento?
Cioè qui si chiede a persone di zompare da un mestiere all’altro a mo’ di cavalletta. Ma non è che un grafico sappia fare il correttore bozze e viceversa. Non basta condividere lo stesso settore… competenze professionali per osmosi?

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Pietro Marsi 24/04/2016 at 11:30

Mia moglie è architetto, e sovente ha ristrutturato e arredato appartamenti. Il committente (quasi sempre una ricca signora), delega al giudizio del portinaio/a il risultato finale del lavoro in casa sua. Se al portinaio/a interventi di architettura d’interni e arredi non piacciono, la signora risulta molto seccata e riversa il suo malcontento sul progettista. Spesso rifiutando il saldo della parcella o chiedendo un forte sconto.
Insomma non sottovaluterei così tanto la categoria dei portinai.

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Chiara Beretta Mazzotta 24/04/2016 at 14:34

Io non la sottovaluto affatto. Proprio per questo mi aspetto che il portinaio faccia bene il suo lavoro prezioso – coordinare la nave di svitati che è un palazzo – e non lo umilio chiedendogli di fare (male) un lavoro non suo. In editoria, invece, si umiliano in tanti e in molti modi diversi.
E poi tutti lo sanno: i committenti peggiori sono le ricche signore attempate (soprattutto se nobili) 😉

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El cugino especialista del Parente 22/04/2016 at 19:46

Resto affezionato al mio vecchio adagio che recita come al solito: tutti i problemi dell’editoria si risolverebbero rendendo assolutamente necessario leggere, fondamentale come cambiare uno smartphone ogni 4 mesi, ineccepibilmente cool come nei novanta andare nelle mega disco, insomma far sentire i non lettori degli sfigati assoluti, dei minorati dell’esistenza… Come tutto ciò si possa fare, resta un mistero, mentre mi sembra evidente che il portinaio che si mette a fare il geometra non ha nulla a che fare con uno sconfinamento dell’ego, ma molto più terra terra sta nella necessità di continuare a sbarcare il lunario dato che la professione che si stava provando a fare non rende più tanto e bisogna arrotondare “altrove”…
El
PS: se mi scolo una seconda Red Bull, riesco a stare sveglio tutta la notte a caccia d’una ispirazione scritta?

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Chiara Beretta Mazzotta 23/04/2016 at 13:07

Qui sono si parla di studiare, prepararsi e fare altro, Cugino. Qui si parla di assoldare incompetenti che passavano da quelle parti. Ecco.

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