Il prezzo del libro: una risposta a una risposta

Il prezzo del libro: una risposta a una risposta

Ritorniamo sul prezzo del libro, sui costi che un editore deve sostenere e su una certa idea romantica di editoria che, inutile dirlo, non risponde alla realtà. 

Il pezzo di ieri sul costo del libro è stato una impresa di semplificazione (alla latina). Il tentativo su BookBlister è dare dati e una visione di insieme. È come fissare il punto “argomento del giorno” sulla mappa editoria che è immensa. Si parte da qui e poi, in un secondo tempo, magari si allarga l’inquadratura fino a mettere a fuoco e comprendere un territorio ben più ampio. Ma se non mettiamo dei paletti, non ci capiamo.

Nel pezzo di Nicola Manupelli (risposta al mio che arriva su un altro blog… non c’è verso, qui non mi rispondete mai!) leggo tantissimi spunti. Alcuni dei quali condivisibili, altri mi pare parecchio distanti dalla realtà. E alla realtà torno per approfondire alcune considerazioni.

L’autore: può essere deceduto da oltre 70 anni e i diritti essere ormai liberi. Può essere vivo e pagato a cottimo (500/1000 euro per il testo e tanti saluti, prassi non inusuale). Ci sono contratti con royalty fisse al 4/5 per cento. Le variabili sono tante. Però possiamo con certezza dire che all’editore un libro costa appena decide di farlo e prima ancora di stamparlo. Questo è un dato di fatto e significa: esporsi economicamente.

Autori: il nome di chi scrive, di chi traduce e del copertinista dovrebbe essere in copertina. E nelle alette vorrei poter leggere la bio di ciascuno. Così come vorrei leggere, nel colophon, chi ha rivisto il testo. Sarebbe un modo per responsabilizzare i redattori: chi accetterebbe di lavorare un romanzo in due giorni, se il suo nome finisse nel libro?

Big: non è vero che si vendono da soli e l’editore non fa nulla. Di cose, ahimè, se ne fanno parecchie: ufficio stampa dedicato, iniziative, presentazioni, tour, partecipazione ai premi, fiere… E queste cose costano. Soprattutto contano gli anticipi. Lo dimostra il bagno di sangue di alcune grandi case editrici che non rientrano MAI dei soldi dati (si mormora che un grande gruppo sia fuori di 16milioni). I big a mio avviso non convengono granché e ti tengono in scacco: la mancanza di identità editoriale fa sì che un autore possa peregrinare, semplicemente, di migliore offerente in migliore offerente. Ecco il perché degli esborsi pazzi.

Uscite annue: pochi libri fatti meglio. Fantastico, siamo tutti d’accordo (Marcos y Marcos docet). Ma basta chiedere a un editore per sapere che ogni anno in casa editrice chi tiene i cordoni della borsa ha delle prospettive di vendita (monte copie). Quindi si fa un piano delle pubblicazioni e, in corsa, se le vendite dei libri pubblicati si discostano troppo dalle aspettative, si aggiungono titoli. Alle volte poi ci sono libri che non si capiscono. Libri che vengono “evacuati” ma non sono seguiti, né supportati. E allora perché pubblicarli? Perché gli istituti di credito danno liquidità a ogni progetto editoriale, per esempio. Quindi, si butta fuori qualcosa per fare un po’ di cassa. Tutto qui.

Buoni libri: potremmo scannarci per ore a riguardo. I buoni libri sono per me quelli ben fatti (contenuto e supporto), frutto di un progetto, che possiedono una identità precisa. Sono libri che hanno dignità. Ma quanti ottimi libri non vendono un tubo? Non prendiamoci in giro, ci sono editori che campano sui pessimi libri. E il pubblico gradisce. Anche questa è quindi una semplificazione che non risponde alla realtà.

Professionisti interni: anacronistico. La casa editrice, le redazioni stanno cambiando faccia e vanno sempre più in una direzione: alleggerirsi e lavorare con collaborazioni a progetto (come avviene per la pubblicità). Ormai si può lavorare e collaborare con persone nel mondo e questo è un valore immenso. Il problema di appaltare a terzi si ha quando il lavoro è sottopago, così si svilisce il contributo e spesso si lavora con chi è bravo solo a tenere i prezzi bassi e non a fare bene.

Chi fa scouting? Gli editor, gli autori della stessa casa editrice, i traduttori che fanno proposte. Quindi sono già interni, con risultati alle volte preoccupanti (soprattutto per le conventicole: ogni autore ha tanti amici autori… ci siamo capiti). Gli agenti letterari si possono dedicare meglio, essere liberi da pressioni (e rognosi conflitti) e a mio avviso garantiscono una maggiore bibliodiversità. Quindi l’idea romantica della grande famiglia al lavoro sul libro è solo una idea romantica.

Vendita: proprietario della casa editrice, amministratore, direttore editoriale, chief editor delle collane, editor, redattori, grafici, correttori… ovvero direzione editoriale, redazione, ufficio marketing, ufficio diritti, ufficio commerciale, ufficio stampa. Ci sono case editrici che hanno tutte queste figure e realtà. E case editrici che ne hanno una o due che si sdoppiano e più per fare ciò che serve. Questi ultimi di solito sanno bene cosa pubblicano, leggono, propongono i testi ai distributori e ai librai… non sono più bravi ma gestiscono una realtà piccola. Nelle grandi case editrici l’editore è chi trova e rischia i soldi, non chi sceglie i libri o li legge. Quindi, come possiamo fare un discorso generico? Le soluzioni devono necessariamente essere specifiche per ciascuna realtà.

Garanzie: gli autori non sono pagati mesi dopo l’uscita, ci sono gli anticipi (sì, sono bassi, ma non sono scomparsi), una cifra ormai scaglionata in due/tre/quattro tranche (e questa rateizzazione racconta molto della crisi). E anche se sono piccole somme, per molti editori, data la riduzione dei volumi di vendita, sono una fregatura.

I traduttori son quelli più esposti. E sì, per me dovrebbero ricevere un anticipo all’inizio, una parte a metà del lavoro e una alla consegna, e il saldo a 30 giorni. Questo in un mondo ideale perché senza di loro niente libro. Dici poco! Va però detto che la casa editrice si esporrebbe ulteriormente così e, sarà banale, ma l’editore (truffatori esclusi) non dà i soldi perché non li ha non perché non gli vada.

Tour: gli sponsor sono la manna! A trovarli, però. Chi quest’anno ha cancellato premi letterari, concorsi e iniziative culturali lo sa piuttosto bene. Alle volte, sì, i costi sono galattici. E sull’utilità avrei molto da dire: ci sono presentazioni in cui si vendono 20/50 copie dell’autore. Mettiamo fossero 50 per 15 euro di libro: 750 euro. E bisogna pagare ospitalità, trasporti, affitto sala, moderatore… e diciamocelo, se non sono dei big, i tour sono a carico del povero autore. Che organizza presentazioni su presentazioni per muovere un po’ di copie, farsi deli lettori sul territorio, stringere rapporti con i librai (soprattutto indipendenti).

I resi: certo, se un libro potesse stare sullo scaffale sei mesi prima di essere reso, sarebbe una pacchia! È talmente complicata la relazione con le librerie (peraltro sono tantine, eh) che gli editori si fanno mangiare gran parte del guadagno da chi distribuisce e piazza le copie. Cui prodest? Se non ti affidi al distributore, devi avere delle persone dedicate. Sono tutti stupidi o a conti fatti il distributore è il male minore?

Librai: anche qui, come possiamo fare un discorso che contempli la grande Feltrinelli con la piccola libreria indipendente? Il libraio rende perché non ha spazio per le novità (e se entra il cliente e tu non hai le novità son dolori, la concorrenza con Amazon è alta, e quando basta un clic per avere il libro in 24 ore si fa altissima), rende perché ha bisogno di soldi, perché teme di perdere altre occasioni… perché annaspa. Altrimenti non renderebbe. E non è tutta colpa sua, né dell’editore, né del distributore: lui vende ai lettori (4 cristiani su 10) non ai non lettori, perché i non lettori non entrano in libreria.

Ciò che mi premeva dire è: un libro costa, ma sai quanto costa all’editore? Dato niente affatto scontato. Così, realizzi che la filiera editoriale è una faccenda complicata e non ti senti derubato quando spendi 15/18 euro. Altro che romantica idea del talento e del mecenate appassionato! Osservando le dinamiche attuali mi viene poi da dire che non si dovrebbe puntare sugli esordi col botto (difficili, costosi perché sono progetti da creare da zero) né sui big (costosi e vampirizzanti, e parlo della loro coabitazione con le altre uscite) ma su quella fascia, ricca e varia, di autori che ogni anno fanno il loro medio risultato. Dalle 6 alle 15mila copie. Sono tanti, hanno i propri lettori e aspettano solo di essere presi in considerazione. Ma ci andrei piano con le ricette, anche se vanno di moda.

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13 Comments

  • Insomma, è sempre la solita storia. Il professionista vuole essere pagato per il suo lavoro di competenza e qualità, l’imprenditore vuole essere pagato per il rischio del suo capitale investito, la piccola libreria ci deve far saltar fuori almeno l’affitto dei locali e le bollette. In mezzo ci sta la GDO, brutta e cattiva, che vuole essere pagata più del dovuto per tenere un magazzino ed un paio di camion.
    Il tutto mi fa pensare al concetto di “libro a km zero”.
    Che se vogliamo potrebbe essere l’ebook, il quale però è un prodotto intangibile, più che a km zero. E non attrae il grande target dei non-lettori.

  • E’ il terzo commento che comincio a scrivere, i primi due li ho chiusi perché alla fine ho talmente tanto da dire che sono rimasta senza parole. Da lettrice spendo un botto in libri e nelle alette vorrei vedere il n. di battute, sì il n. di battute perché sono stanca di libri fuffa con corpo 18, carta spessa come una piadina, salti di pagina che manco i canguri, e poi riduci riduci saranno 150 mila battute, perché il prezzo, si parlava di prezzo, va giustificato in contenuti, come dici tu, certo la qualità non la quantità ma un romanzo che alla fine è un racconto un po’ mi prende in giro. E da autore i rimborsi spese trasferte per presentazioni li ho avuti solo una volta alla sagra del baccalà e no, non è una battuta, (vitto ovvio era baccalà in mille modi, l’alloggio in un posto molto figo con annessa distilleria di grappa) e per il resto tanta bella gente che si è comunque fatta in 4 per avermi nel proprio circolo culturale, negozio, ristorante e mi ha pagato magari con una bottiglia di olio buono ed è stato bello bello bello comunque, e alla fine insomma l’investimento un po’ lo fa pure l’autore…

    • Sono d’accordo con te: odio i salti pagina, le pagine bianche e tutto quello che citi. Però non vedo una relazione diretta: quantità di battute/prezzo. Ti cito una poesia che sappiamo a memoria tu, io, Chiara, tutti:
      “Si sta come d’autunno sugli alberi le foglie.”
      Se avessi comprato un libro da 10 12 euro con questa sola riga in mezzo a pagine bianche non mi sentirei preso in giro.
      Scusa eh, ma sono a una riunione elettorale e non so cosa fare. 🙂

      • Sì, certo però sai Ungaretti (era Ungaretti :D?) non è la narrativa attuale e di quello parliamo qui, io sarei disposta a pagare un sacco per certi libri letti ma non posseduti (leggi: biblioteca) e introvabili. Introvabili? Ecco, grazie Aldo, controllo, porca paletta un quasi introvabile Ellery Queen su Amazon 7 euri… che spunto mi hai dato, vedi che alla fine salta fuori Amazon criticatissimo Amazon però salva da un botto di guai.

      • Mi pare calzante. Evviva le riunioni elettorali 😉
        E sì, la qualità del contenuto non c’entra con la quantità ma, alle volte, si nota una manipolazione della quantità che è un insulto all’intelligenza del lettore.

    • Altro che se lo fa l’autore. Ne conosco diversi che si sono sbattuti per tutto lo stivale e a parte qualche pranzo e bicchiere di vino si sono pagati tutto. Evviva il baccalà 😉

  • Sulla faccenda dei nomi di chi ha lavorato al libro, palma d’onore a minimum fax, che nei “titoli di coda” di ogni volume mette il nome e il ruolo di OGNI SINGOLA persona che ha contribuito alla realizzazione del prodotto finito.

    • Vero! NN per le bio dei traduttori nelle alette.

    • Beh, allora dillo che devo autocitarmi! 😀
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      El cugino terminale del parente assente e bisessuale… scrive:
      20/05/2015 alle 09:17

      Sono a pagina quattordici di Ghiaccio-nove di Vonnegut, MERAVIGLIOSO…

      PS: Minimum Fax pubblica SOLO libri da capogiro
      PPS: grazie a CBM di esistere
      PPPS: Ghiaccio-nove è però di Feltrinelli
      PPPPS: Saviano non è altissimo, ma non gli ho visto le scarpe
      PPPPPS: la Maestra disse che “nella vita tutti dovrebbero scrivere una canzone, crescere un figlio, pubblicare un libro”. Io sono ancora fermo a zero e temo proprio che ci resterò (#sapevatelo)
      PPPPPPS: ascoltare Carrère in francese e dal vivo…
      PPPPPPPS: costa più il parcheggio che il biglietto d’ingresso (o no?)
      PPPPPPPPS: Carrère ha una compagna più giovane ma non proprio una sbarbatella
      PPPPPPPPPS: Lidia Ravera ce l’ha a morte con Moccia
      PPPPPPPPPPS: la mamma degli editori non paganti è sempre incinta
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  • Ne penso che in un mercato in crisi la catena distributiva tende ad accorciarsi, perché non c’è più ciccia per tutti. Pensiero così, a caldo. Le complicazioni si semplificheranno parecchio, e non sarà sempre e comunque un bene (anche se io sono una fan del SP).

  • Ho letto con attenzione tutti gli articoli – botte e risposte, cioè – e secondo me Manuppelli ha formulato una proposta coerente e interessante. Non credo che intendesse il vecchio sistema del “posto fisso”: non si può portare avanti il settore con qualità (e di conseguenza con risultati) finché i professionisti sono tagliati fuori dalle “aziende” che producono libri, in questo caso parliamo ovviamente di editori, perché il rendimento ne viene certamente penalizzato. So bene quanto sia difficile tirare avanti anche per gli editori, ma senza valorizzare adeguatamente i professionisti che gli danno la possibilità di realizzare i libri il sistema non può che tracollare ulteriormente. Meno libri e seguiti meglio è certamente una soluzione opportuna, perché – come ben sottolinea Manuppelli – il lettore percepisce quando viene “raggirato”. Sono stato collaboratore esterno di alcune case editrici e raramente il personale “incardinato” all’interno ha il tempo e la possibilità di fare vero scouting o di seguire i libri perché sono schiacciati da una mole di lavoro impressionante e devono occuparsi di cose che esulano dal mero lavoro intellettuale quindi si demanda all’esterno, pagando poco e dando fretta, incidendo sul prodotto finale e anche sulla serenità di professionisti di grandissimi levatura, con una forte preparazione alle spalle, che devono sperare in lavori non continuativi, pagati con ritardi pazzeschi. Che poi molti editori pubblichino fuori diritti è un altro aspetto reale e si fa normalmente sia con gli stranieri che con gli autori già scomparsi. Ho amici che hanno pubblicato con case editrici piccoli e anche con case editrici che sono dei colossi: nel primo caso non c’era praticamente alcun tipo di promozione, perché la casa editrice non poteva permetterselo e nel secondo magari tanta pubblicità, ma anche tanta indifferenza e difficoltà a comunicare da parte dell’autore con l’editore. E sono anche d’accordo sul fatto che gli attori del libro sono autori (compresi traduttori e copertinisti) e lettori e trascurando entrambi gli esiti non possono essere favorevoli all’imprenditore. Non si tratta di sogno romantico, ma di credere in quello che si fa e di farlo bene. I più grandi imprenditori erano innamorati della loro azienda e spendevano energie personali e creatività per i loro prodotti, ottenendo così molto spesso risultati economici migliori quindi è importante credere e soprattutto non penalizzare i professionisti del settore proprio per aumentare vendite e guadagni.

    • Ciao A. L.,
      come detto su molti punti concordo a pieno con Manuppelli e il post è stato una occasione per approfondire diversi argomenti. Quando parlo di idea romantica mi riferisco a qualcosa che mi garberebbe succedesse ma si scontra con il dato di realtà. Per esempio: le redazioni si alleggeriscono, quindi pensare che si ri-appesantiscano è contro il dato di realtà. Al massimo io spero che le collaborazioni esterne non siano al limite dello schiavismo ma seguano il principio del network: mettere in contatto competenze (non gente che fa sconti). Si tratta di capitale sociale molto prezioso.
      Stessa cosa per la diminuzione del numero di titoli. Marcos y Marcos ha scelto di diminuire il numero di titoli dopo il grande successo di Ervas. Vale a dire che la liquidità è stata impiegata per uscire dal circolo vizioso della “caccia alla liquidità”. Se uno ignora questa dinamica, mi spiace, ma è avulso dalla realtà. E purtroppo ai grandi gruppi non basta un buon titolo per rompere il meccanismo del butto fuori titoli per fare cassa (o ottenere cassa). Ci vorrebbe una considerevole inversione di tendenza. Tutto qui.

  • Hai un cattivo credito? Hai bisogno di soldi per pagare le bollette? Avete bisogno di avviare una nuova attività? Avete progetto incompiuto a disposizione dovuto il finanziamento difettoso? Avete bisogno di soldi per investire in qualche area di specializzazione che vi profitto? e tu non sai cosa fare. per altre informazioni, contattaci subito via email: [axlgroups@outlook.com] modulo di domanda nome: importo: Durata: paese: numero di telefono: email: dove hai preso la nostra pubblicità prestito: Contattaci ora su e-mail: [axlgroups@outlook.com] presepe ciò che rende il vostro annuncio unico

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