Sandro Settimj: in principio furono i racconti

 Sandro Settimj: in principio furono i racconti

La storia di un esordio oggi ce la racconta Sandro Settimj. Dopo una laurea in Lingue, è partito per fare l’istruttore e l’animatore nei villaggi turistici sparsi per il mondo. Scrive soggetti e sceneggiature televisive e attualmente lavora per la RAI. 

La prima difficoltà di un aspirante esordiente, si sa, è quella di essere letto. “Bello, bravo, ma il genere non va. Scrivi un noir!” Questa la frase più ricorrente dei (pochi) agenti letterari che accettano di prendere in visione gratuita il mio manoscritto. Le case editrici, in compenso, non rispondono neanche. Carta sprecata.

Tra mille dubbi, una sola certezza: pubblicare tanto per farlo, magari con un piccolo editore sconosciuto e senza garanzie di distribuzione, non mi interessa. Così attendo. Anni. Continuando a scrivere racconti e a bussare a porte chiuse. Un paio di volte la porta di editori importanti sembra finalmente aprirsi: “Il libro interessa”. Poi, però: “Bello, bravo, ma il genere…”

Finché non mi decido a scrivere un romanzo. Non un noir, ma una storia che prende spunto da alcuni dei racconti di cui sopra. Concorro al premio il mio esordio – il cui traguardo è la pubblicazione dell’opera da parte di Feltrinelli – entrando nella rosa dei finalisti. Ma finalista non significa vincitore. Altra delusione.

La vita, tuttavia, è una cosa strana, i “tempi giusti” li decide lei. Così, quasi per caso, un’amica legge il mio libro e mi chiede il permesso di girarlo alla sua amica Fiammetta Biancatelli, che di mestiere fa l’agente letterario e decide di prendermi a bordo della Walkabout literary agency. Poi, dopo un primo lavoro di revisione del romanzo, accade tutto in fretta. Neanche il tempo di essere presentato (bene, aspetto non marginale) da Fiammetta ad alcune case editrici, ed ecco che risponde Mondadori nella persona di Joy Terekiev: il miglior editor che un esordiente possa augurarsi di incontrare. Seguono sei mesi di intensa, faticosa e bellissima opera di editing sotto la guida di Joy e quindi… la creatura compare magicamente in libreria. Azz, era tutto vero!

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42 Comments

  • A parte qualche eccezione di scrittore che preferisco nei racconti (Gogol, Maupassant, Tabucchi, Carver), devo ammettere che ho sempre preferito i romanzi. Ultimamente mi sto ricredendo.

  • La vita decide i tempi, ma lo conoscenza ne determina i risultati, il successo o l’insuccesso. Se non avesse conosciuto, non avrebbe pubblicato. Siamo alle solite. Ho letto in tanti anni libri meravigliosi nei concorsi e fuori dai concorsi, ma non ne ho mai visto in libreria. I loro autori non conoscevano nessuno nel circuito editoriale.

    • Alvaro, in realtà è stato solo messo in contatto con una agenzia letteraria. Per entrare in contatto con un agente basta scrivergli. In questo caso, per esempio: http://www.walkaboutliteraryagency.com/#!contact_us/c1z0x
      Altra cosa sarebbe stata conoscere un editor in Mondadori. Gli autori della mia agenzia non conoscevano quasi nessuno nel “circuito”. Mi hanno trovata su internet. O gli è stato fatto il mio nome.
      Tutto qui.

      Chiara

      • grazie della delucidazione, Chiara. però resto della mia opinione perché supportata dai fatti. sono vent’anni che leggo celestiali fesserie spacciate per libri di alta letteratura (e il sistema editoriale si loda e si imbroda da solo, con pezzi, articoli, recensioni da urlo a supportare operette mediocri), e la tendenza va addirittura aumentando. non sono opinioni personali ma condivise da un gran numero di lettori, che se non sono ‘forti’ come me (150 libri all’anno), quantomeno sono gente preparata, che viene da un substrato letterario e ha un background di tutto rispetto.
        sul fatto che entrare in contatto con un agnete basti scrivergli non ho dubbi, ne ho moltissimi per ciò che riguarda la presa in carico di un’opera – anche molto bella – senza risposte precompilate che la rifiutano, o che persino chiedono soldi. un agente, se è un agente serio, non chiede soldi: oppure tutte le agenzie straniere sono degli enti benefici che sanno mantenersi remunerando i loro lettori senza chiedere la reading fee? no, è un malcostume strettamente italiano, proprio come il nepotismo sotto vuoto spinto.
        per chiarire: non ho mai scritto niente e se scrivessi non mi rivolgerei mai ad un agente italiano. ho però esperienza di vicende riprovevoli nel campo, il primis per avere spinto molti bravi autori a provarci, ed avere avuto un senso di colpa dei più acuti una volta apprese le loro sventure, le risposte avute appunto da agenzie e, in misura drasticamente minore, dagli editori.
        evito di aprire il ‘capitolo frottole altisonanti’ perché diventerei troppo lungo e andrei fuori tema. dico solo che l’anno scorso ho fatto una prova, insieme a conoscenti ed amici: abbiamo sottoposto a tutti i nostri conoscenti e colleghi di una mailing list due romanzi di autori contemporanei, e due di autori sconosciuti (e rimasti tali, entrambi rigettati a più riprese dai sedicenti esperti). non tutti i conoscenti/colleghi li hanno letti, perché si sa come vanno queste cose: non si ha tempo oppure voglia per dedicarcisi. però chi l’ha fatto, e si tratta di oltre novanta persone, in un paio di mesi si è detto sorpreso che i romanzi editi fossero quelli più scadenti. e non sto parlando dei tristi esempi di cui spesso recensisce il bravo Pippo Russo. parlo di libri celebrati e messi in circolazione senza recensioni agghiaccianti e contenuti in apparenza pessimi.
        come si spiega tutto ciò?

        • Caro Alvaro,
          che tu resti della tua idea non mi stupisce visto che le discussioni nascono dal presupposto di convincere l’altro, non di dissuadere se stessi!
          Sul fatto che l’editoria non sia una scienza esatta non si discute. Ci sono nei cassetti libri meravigliosi (io è un po’ che non ne trovo, però) e sugli scaffali libri di merda. Ma è così in tutti i campi dell’umano: prototipi di auto super non vedranno mai la strada e schifezze su ruote faranno contenti inconsapevoli automobilisti. Così come al comando ci finiscono gli idioti e non in tutti i ristoranti si mangia bene.
          Però negli scaffali ci sono anche le perle. Ed esistono editori seri che le scovano e le pubblicano (per farci i soldi e pure cultura, che schifo non fa).
          Sugli agenti, forse fai una riflessione parziale. Il sistema italiano impedisce a un agente di curare esordienti vivendo solo sulle royalty. È una questione di numeri. Sai quanto si vende in America, In Gran Bretagna o in Francia o in Germania? Parlo di autori mediocri. Da noi per un esordiente superare le 5mila copie è il Paradiso. La maggior parte non raggiunge le 1000 copie e non prende anticipi. L’agente per trovare “casa” a un testo lavora anche un anno. Vendute mille copie, l’autore prende il 6/7 per cento del prezzo di copertina. L’agente il 15 per cento di quel 7. Fai i tuoi conti.
          Ecco perché le agenzie letterarie interessate ai “giovani” sono poche. È un massacro.
          Chiedere un fee per la lettura è una truffa? Lavoro per agenzie che la prevedono (e lavorano tanto e bene con gli esordienti) e la scheda non è una paginetta furbetta ma una analisi puntuale, uno strumento di lavoro su cui poi l’autore dovrà farsi il sacrosanto mazzo. Certo, se non sai scrivere, non ti servirà granché ma allora il problema è un altro. Al massimo possimo discutere sugli editing. Editing che un tempo erano compito dell’editore ma che oggi solo alcune case editrici prevedono: pochi soldi, poco tempo e allora si prendono solo i libri “pronti”. Il che significa per l’autore dover investire migliaia di euro di tasca propria. Questo sì è il problema di un settore malato.
          Tornando alle agenzie sono molte quelle che non chiedono alcunché: Silvia Meucci, Laura Ceccacci… basta fare delle scelte.
          Non avendo letto i quattro romanzi di cui parli, non ho gli strumenti per giudicare. Se i due scartati sono ancora senza editore, mandali a me. A meno che non siano stati rifiutati da tutti gli editor delle case editrici: per i miracoli, non sono attrezzata 😉
          In tutta franchezza: lavoro da anni e ogni anno ricevo una marea di testi. Le cose “degne” sono davvero poche. Quelle nate per una urgenza, pensate, rielaborate, frutto di vera conoscenza che racchiudono una idea forte ed evidenziano rispetto per i lettori pochissime. Mi capita di vedere un testo rifiutato, ma non è mai accaduto con i capolavori. I testi più belli che mi sono passati per le mani sono sugli scaffali. C’è una piccola percentuale di casi sfortunati. Ma la sfiga non si può eliminare come un refuso. Si sa.

          • so tutto ciò che dici, Chiara, e credimi che oltre ad apprezzarne l’onestà la mia non era una discussione volta a convincere nessuno, sennò non avrei chiuso con la domanda su come si spiega tutto ciò. ma se all’estero, ad esempio in Francia o in Germania, si vende di più, farsi due domande non sarebbe male. la risposta che uscirebbe avrebbe proprio i caratteri dei quali andiamo disquisendo 🙂
            e non li avrebbe come presupposto, ma come base, dal momento che un libro fa storia a sé, ma tanti libri, libri buoni intendo, fanno storia di una cultura. il fatto che la nostra sia precipitata nell’ultimo ventennio lo testimonia più che chiaramente. sugli editor avrei qualcosa da dire, specialmente quando riscrivono i testi dove, a loro parere, non ‘vanno’… salvo commettere mostruosità aberranti come in molti casi, storicamente celebri. se uno corregge i refusi, sistema il testo in modo da non stravolgere quanto proposto dall’autore, suggerendo interventi che oserei definire di dendrochirurgia, fa bene il suo mestiere; se pretende di tagliare o ribaltare intere parti allora o vuole scrivere lui (e dovrebbe tentare la stessa via dell’autore), o vuole dare agli editori un romanzo come-piace-a-lui, scempiando quello che è stato il lavoro e il sudore di chi l’ha elaborato. già, perché pare che lo scrittore, oltre ad essere merce di scambio a prezzi non convenienti né per le case editrici né per le agenzie, pare debba anche metterci del suo in denaro. è la procedura ad essere malata, e malata proprio da dentro. dire che sarebbe impossibile invertire la tendenza è un po’ ricalcare quel disfattismo rassegnato che vediamo ogni giorno nella vita pubblica: ‘piove, governo ladro’ suona male sia in tempi di cinque stelle, sia in quelli passati, quando stavamo bene e chi governava almeno era competente.
            di testi di grande valore potrei anche mandartene, ma devo chiedere ai proprietari. e se vuoi posso tentare di reperirli, giusto per darti un’idea che non sarebbe spreco né tentativo (one time again) di convincere, ma solo avallo di quanto affermato. perché non credo che le storie riferitemi da decine di persone – se insegni letteratura finisci per calamitare tali attenzioni, per quanto effettiva o meno sia la tua preparazione – siano false o esagerate. c’è chi ha speso migliaia di euro per pagare agenzie che gli hanno detto ‘eccezionale, ma…’ e tutti fermi al palo. ho letto anche documenti circa il problema e ne sono sempre uscito stupefatto.
            dico ciò per amore della letteratura che fu, quella che ci difendeva dall’alto dei vari Samonà, Mattioni, Parise, Landolfi, Biamonti, Pavese, Gambini, e dei ‘pargoli’ di vittoriniana memoria, lanciati da scout che ci sapevano veramente fare.
            anch’io, si sarà notato, sono uno streuo difensore della causa della narrativa buona, densa, piena non solo di significati ma anche di valori propri.

          • Per amor di una battuta, dico anche di peggio!
            Scherzi a parte: in Italia 4 su 100 leggono. In Germania 80 su 100.
            È un problema di universi e di analfabetismo funzionale. Cioè la gente da noi non sa più leggere, non è che non vuole leggere. Non né è capace, perché non capisce cosa c’è scritto. Perché ha i muscoli dell’attenzione atrofizzati. Questo è il problema da risolvere a monte. Se non si lavora su questo, siamo perduti.
            Gli editor scrittori non li prendo in considerazione. Gli editor non scrivono i libri dei propri autori. Qui si parla di far male il proprio lavoro o di farne un altro: il ghostwriter. Così le gioie, se il libro vende, sono le tue. E i dolori, se il libro non vende, sono dell’autore.
            E se uno vuole un editing per pubblicare un libro brutto, non glielo devi fare. Perché un libro un po’ meno brutto in libreria non è una gran cosa. Se vuole fare un editing per capire, per soffrire, per imparare… allora puoi anche farglielo. I soldi c’è chi li spende in scarpe da 800 euro. Son scelte.
            Io faccio un lavoro meraviglioso e lo faccio nel mio piccolo. Quindi da pesce piccolo non posso certo parlare per i Grandi e di tutti. Cerco storie che rispettino i lettori e abbiano una propria dignità (ci devono essere scelte, di campo, di intenti e possono essere più o meno pop, più o meno profonde, ma devono esserci). Letteratura? Per quella serve il tempo, tempo per giudicare, tempo per testare le parole… al tempo. Alle volte pare di averla scovata ma chissà…
            P.S. Se rintracci gli autori, sono qui.

        • Gentile Alvaro, di solito non commento i blog che leggo ma voglio fare un’eccezione.
          Il suo pensiero è la foto dell’editoria italiana.
          Per fortuna non ho mai desiderato pubblicare neanche le mie ricette di cucina. Non lavoro in televisione e non sono conosciuta, quindi resterebbero nel mio Cucchiaio d’Argento. Però posso confermarle che le esperienze da Lei riportate e riferite a suoi conoscenti, sono quasi uguali a quelle di alcuni miei.
          Una sola differenza: i miei hanno buttato migliaia di euro in speranze che dei ladri di sogni, come li chiamo io, hanno scempiato.

          Massimo rispetto per Pippo Russo.

          • Elly, però, suvvia: se a un autore chiedono mille euro per una lettura, basta dire no. Così come pubblicare a pagamento è ridicolo.
            Un conto è un servizio, altro è un furto.
            Credete che tutti i libri buoni che leggete siano di autori che hanno sborsato, sono figli di, amici di, conoscenti di?
            Io posso fare un bell’elenco, senza timore di essere smentita, di persone che hanno fatto un bel percorso. Bello ed etico.
            Pippo Russo, da me rispettatissimo, scova gli orrori. E ce ne sono. E sa bene che si ha molto più seguito a fare critiche negative che a proporre storie da leggere. Ma le storie da leggere ci sono. Eccome!

          • concordo con ciò che scrive Chiara sotto: mille euro sono troppi. però per molti, presi non so se da sconforto o sentimenti simili (non va sottovalutato l’ego clamoroso di certi individui), l’editoria a pagamento ‘rende’ più che sottoporre a tante agenzie letterarie da 250-300 euro l’una. perché non credo che chi vuole scrivere si limiti a un paio di ‘no’ ben assestati, specie se gli dicono, ipotizzo, che hanno letto con attenzione il suo libro e l’hanno trovato notevole, ma non nelle loro corde, e che potrà facilmente essere approvato da altri, qualora vogliano provare 🙂

          • Una agenzia che risponde: il testo è notevole ma non è nelle mie corde, ti truffa se fa solo questo. Perché se ti pago (una scheda) voglio sapere dove e perché è notevole e cosa non è nelle tue corde. Se non esserlo significa essere fuori mercato o se si tratta esclusivamente di un problema di “gusto”. L’agente che non fa analisi dettagliate, non può chiedere un fee.
            E per i mille euro: un ego immenso, fidati.

  • Azz. Complimenti per aver saputo aspettare senza bruciarti con piccoli editori un po’ così. Comunque è vero la vita decide lei i tempi, in ogni campo 😀 tipo trovare l’uomo ideale.

  • Sei mesi di “faticosa e intensa opera di editing”? Significa, per lo meno, che mancavano tutte le vocali! 🙂

    • MI stai diventando un battutaro criptico… o son io che perdo colpi.
      Comunque se l’autore dice “bellissimo” parlando di editing vuol dire che è santo. O che l’editor è bravissimo. O tutte e due 😉

  • vero anche questo, Chiara: ma se 80 su 100 in Germania leggono e da noi 4 su cento, è anche e soprattutto un problema di cultura e di offerta. se viene offerta della robaccia è normale sia che si venga travolti (agenti ed esperti) da altrettanta robaccia, poiché ci sono cattivi esempi; se viene offerto qualcosa di comunque insufficiente, o spacciato con roboanti fascette tipo 500.000 copie vendute in sei giorni (sebbene una litografia non ne stampi oltre diecimila al giorno), il risultato è lo stesso: disaffezione da una parte, assedio dall’altra. calcola poi che siamo animali televisivi, la cui più impegnata attività intellettuale riguarda la biologia del telecomando, ecco servito il disastro 🙂
    l’analfabetismo funzionale, nel caso italiano ‘di ritorno’ e sospinto con fervore dai media, è conseguenza, non origine. per questo difenderò sempre la buona scrittura. facciamo che se rintraccio qualcuno di costoro mando un segnale.

    • Certo che è un problema di cultura e offerta. Perché la cultura coincide poco con l’offerta. Ma l’offerta, l’editoria, la politica, la scuola… sono fatti da noi. Non da ectoplasmi o da alieni. Passo la mia vita parlando con gente che si lamenta dei libri che non si leggono, dei libri che non ci sono… poi però:
      – mi faccio un giro in rete e trovo pochissimi che suggeriscono buone storie (diamine le leggete, parlatene!);
      – i libri “buoni” si vendono pochissimo (quindi chi si lamenta non li legge);
      – gli orrori fanno numeri spaventosi (cioè qualcuno evita il buono e predilige l’orrido).
      La gente guarda la D’Urso perché c’è solo lei in tv o la guarda perché gli garba e allora c’è solo lei. Basterebbe spegnerla la tv.
      E ancora: in ogni settore ci sono i furbetti. Avete mai fatto due passi nell’ambiente musicale? Ci sarebbe da affrontare anche la delicata faccenda del’ego degli autori… comunque. Se trovo qualcosa che non va, mi lamento e reagisco. So che un editore non paga? Bene, lo cancello. So che un traduttore lavora male? Lo dico. Un libro non mi piace e ho la forza di leggerlo con attenzione da cima a fondo? Lo stronco.
      Però non posso non salvare nulla. Non sarei oggettiva.
      L’analfabetismo funzionale, la pigrizia fatta persone, nasce nelle famiglie senza libri. E uno che ama i libri non smette di leggere perché c’è Moccia o la James. Uno che ama i libri sceglie quelli buoni, anzi, diventa ancora più esigente. È tutta colpa degli editori? Davvero davvero?

      (Attendo un segnale)

  • Non è solo triste pensare che solo chi conosce pubblica e comunque pubblica schifezze, è offensivo per chi ce l’ha fatta in maniera limpida, magari prendendo anche cantonate, ma alla fine è uscito bene con una storia che piace ai lettori e ha convinto l’agente e/o l’editore. Mi sembra un po’ da “rosiconi” dire sempre che occorre avere la conoscenza. Scusa Chiara, è tutto il giorno che leggo e soffro, adesso o esplodo o commento. Bacio

    • Anche a me verrebbe da esplodere ma sulla faccia degli editori 🙂
      Il sig. Alvaro ha sante ragioni e non mi sembra che rosichi. Poi magari mi sbaglio ma ha esposto un problema grave in maniera lucida.
      Chiara gli ha risposto in modo altrettanto pertinente: tutti e due hanno ragione, non è una gara a chi la sa più lunga, è dialettica del confronto.
      Per l’esperienza dei miei conoscenti la realtà p quella di un mondo chiuso, sigillato nelle sue mura, che apre la porta a pochissimi buoni e moltissimi scarsi.
      Ma se c’è una colpa è come dice il sig. Alvaro: l’offerta non è buona, e la gente si fa plasmare come con la D’Urso. Non spengono la tv, la lasciano accesa.
      Io non comprerei mai la James, ma neanche D’Avenia, Moccia, Lagioia, Scurati e tanti altri che invece vendono. Di chi è la colpa?
      Io lavoro nel campo della pubblicità, so bene come funziona: quando vuoi spingere un prodotto scarso, gli costruisci attorno le condizioni necessarie perché arrivi in casa di tutti, anche se è un bidone.
      Nel cinema: un film dal cast stellare quasi mai ha una trama avvincente.
      Nelle altre arti è lo stesso.
      Nell’editoria, idem. Se si attivano i canali giuti, un libro arriva anche se tanti lo usano solo per equilibrare le gambe del tavolo. O vogliamo dire il contrario? Su, un pochino di realismo…

      • gentile elly, in effetti non rosico. ho un certo senso di colpa (come avevo chiarito in un post forse troppo lungo, sopra) per avere spinto alcune persone a cercare di farsi pubblicare nel circuito italiano, ma posso discolparmi con la assoluta buona fede. non avevo idea di quanto fosse torbido il sistema.
        sulla pubblicità non oso commenti, non essendo il mio campo. però immagino che le dinamiche siano proprio quelle: un editore non è una Onlus, e questo è ciò che fa del suo ruolo una funzione delicata.

      • (Nessuna gara! Solo una sana chiacchierata. Anche perché non sono un editore 😉 )
        Ecco sì, ma i canali giusti attivano chi? Degli ectoplasmi? Attivano “noi”. Quelli che dicono leggo Volo perché mi rilassa. Che è come dire (perdonate, son terra terra): ci provo con quello cesso che quello bello richiede troppe energie. Quindi meglio godere poco, ché troppo è faticoso.
        E poi: Volo va benissimo, non sono snob, il problema è leggere SOLO Volo.
        Gli editori pubblicano tutti robaccia? Prendete Nutrimenti, Nottetempo, Fazi, Indiana, Caracò, Lindau, e/o, Guanda… vado a caso e ho dimenticato molti. Ma avete dato un occhio ai cataloghi? Di esordi ottimi, di libri ottimi è pieno. Basterebbe leggerli, ripeto. Basterebbe parlarne.
        Il mega editore imperiale mobilita il mega ufficio stampa? E noi si spiega alla nostra cerchia e lo si fa per benino che leggere Genovesi al posto di Volo rende una serata splendida, per rilassarti c’è sempre la tomba. No?
        (Detto questo, vi obbligo – per gioco – a recensire qui o dove gradite un libro che avete amato.)

    • Io lo so cosa intendi e so che splendida persona e meravigliosa lettrice sei. Quindi capisco lo sfogo.

      • 😀 : D 😀 😀 😀 ok smetto! solo per la faccenda surgelati incombenti, mica per altro

  • W Genovesi appunto. Guarda Elly sono talmente realista che non parlo per interposta persona, nè per sentito dire. Non leggo gli autori che citi. No, nessuna gara ma siete voi ad aver portato solo esperienze di chi non ce l’ha fatta. E’ questo il punto, chi invece è riuscito? Ha le conoscenze e comunque pubblica robaccia. Io in questa rubrica In principio fu ho trovato autori che non conoscevo che poi ho letto e apprezzato molto come Muzzopappa. Il punto non era il marketing, il punto era pubblicare bene senza conoscenze.

    • Però nonostante tutti i bei discorsi e la chiacchierata garbata, c’è un però.
      Se dico 151.47.168.109 non sto dando i numeri sai, Sandra. Ma sto leggendo un indirizzo ip. Che poi niente altro è che l’indirizzo di “casa” di un pc. E purtroppo Alvaro T e elly o sono la stessa persona o scrivono dallo stesso pc o tutte e due.

      • Siora Beretta, lei mi sta stanando parentele… 😉

        • Non pensiamo male, magari hanno la tastiera in duplex.

          • Più facile avere lo stesso wi-fi. 😉

        • Ci mancavi Gaia!

          • Ciao cara, passavo di qui e ho visto tutto ‘sto cancan. Eh… mamma mia, con tanta roba brutta sugli scaffali, arriva un tale che scrive bene e va a pubblicare degnamente, e la buttiamo subito in vacca. Ora, sia chiaro, il marcio lo vedo tutti i giorni. Sarà per questo che non urlo “cacca cacca cacca” al primo che passa.
            Occorre saper distinguere e occorre farsi il culo. Darlo via non serve, darlo via scrivendo bene aiuta. Ma prima bisogna accertarsi di saper scrivere bene. Occhio che non è così semplice… 😉
            [Sono in modalità Giramenti].

      • Chiara, ci deve essere un errore, e non mio: io scrivo da un cellulare, e un cellulare non credo abbia come IP un indirizzo 151.

      • Quanto mi sei Bill Gates, Chiara, io sta roba mica la so fare. Attenzione, sono sempre io da 2 pc diversi, ufficio (beccata!) e casa a proposito, la cena chiama, altrimenti anche sta sera surgelati 😀

      • Di solito quando il proprietario di un blog tira fuori l’espressione “indirizzo ip” scatta il fuggi-fuggi generale 😀

  • Alvaro l’ip di un pc non è una cosa che stabilisco io. Ogni commento possiede un indirizzo mail e un indirizzo ip. Gli ultimi quattro commenti, ho lo screenshot, tuoi e di elly provengono dallo stesso indirizzo ip.

    • proprio non capisco questa cosa, ma non vedo perché dovrei sdoppiarmi: qual è il fine? per quanto rovisti nella mente (che avrà i suoi difetti ma è ancora presto perché sia confusa dall’alcol) non trovo ragione. meglio andare a cena: buon appetito a tutti.

    • Se volete posso postare una foto del netbook dal quale sto scrivendo. Packard Bell da dieci pollici, non cellulare.
      Pare stranissimo anche a me.
      So che per avere uguali IP i due computer devono essere collegati allo stesso router o allo stesso hag. E io sono comodamente a casa. Boh.
      Ma resta il fatto che, stravaganze informatiche a parte, la discussione è stata di tipo costruttivo.

    • Adesso si scopre che Alvaro ha lo smartphone con cui scrocca la connessione wifi di Elly 😀

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