Poter leggere tutti i libri che vogliamo soltanto con un clic? No, non si tratta di scaricare ebook ma di una piattaforma che gli ebook li raccoglie e li rende fruibili, un servizio di ebook in streaming on demand tramite applicazione mobile, come Spotify ma dei libri!
Bookolico è la dimostrazione che le idee in editoria non mancano. L’editoria è in crisi? Non ci sono lettori? Ci sono troppi libri? Questa solfa la conosciamo fin troppo bene. Ma c’è chi a innovare ci prova davvero.
Nel mare magnum delle lamentele ecco che le startup e le idee si fanno largo. Per esempio Bookolico. Questa community, composta da autori e lettori, nasce nel Febbraio 2012 grazie a un’intuizione di Giuseppe Spezzano, neolaureato in Ingegneria, che ha messo in piedi un team composto da Gianluca Ambrogio, Marco Cardillo e Davide Pani.
Come funziona Bookolico
Inizialmente Bookolico proponeva un catalogo di ebook di autori self published, incassando una percentuale (il 20) sulla vendita degli stessi. Una particolarità era il costo di ciascun titolo, fissato sulla base di un algoritmo variabile: da 0,99 a 6,99. Tutti i titoli partivano cioè dal prezzo base e – in base alle vendite, click, commenti… – potevano salire fino al massimo di 6,99.
Bookolico però non si è fermato qui. Ed ecco la proposta: un servizio di ebook in streaming on demand tramite applicazione mobile. Pensate, per esempio, a Spotify che consente di ascoltare tutta la musica gratuitamente, pagando però un contributo mensile. Una sorta di biblioteca digitale per la musica.
Adesso immaginate una piattaforma di libri, un catalogo di ebook di autori editi, perché Bookolico (forse avendo fatto i conti con la qualità dei testi autoprodotti…) ha pensato di coinvolgere gli editori. Diverse case editrici, hanno quindi deciso di concedere i diritti di fruizione di alcuni titoli (indagherò a Torino).
L’utente pagherebbe quindi un canone mensile potendo così leggere tutti i titoli che desidera, se il pagamento viene meno i libri non sono più consultabili. Che ne pensate?
19 comments
Idea interessante.
Sono titoli con DRM?
Ah, bella domanda 😉
Per il momento è tutto segreto, sto indagando per voi!
Ciao Vittorio,
i libri saranno leggibili on demand, tramite abbonamento. In altre parole, l’utente non acquista il libro, ma lo legge sull’app fintantoché è abbonato. I libri saranno opportunamente criptati, per evitare che siano ancora leggibili allo scadere dell’abbonamento.
C’è anche l’esperimento del sito raccontibrevi.it del Gruppo l’Espresso che offre in abbonamento la lettura di racconti brevi su smartphone e tablet. Si paga un tot alla settimana e si legge a volontà. I racconti vengono selezionati dagli studenti della Scuola Holden. Ehm, a dirla tutta ci sono anche alcuni miei racconti 😉
Ringrazio Gianluca Ambrogio di Bookolico che mi ha scritto per precisare che il catalogo conterrà solo autori editi.
Inutile dire che, nei prossimi giorni, sarò felice di fargli parecchie domande sul progetto… Se ne avete, gliele giro volentieri.
Lodevole iniziativa, ma noto che mentre si trovano nuove idee per promuovere il digitale, il cartaceo sembra in ostaggio di un passato che, in nome di vecchia gloria, non si evolve, ma non si rimane in vita in questo modo, si muore. E ci ritroviamo con libri di difficile reperimento, per non dire impossibile, autori che devono trasformarsi in segugi: sono proprio stanca Chiara. Un bacio
Il cartaceo è ostaggio della cattiva distribuzione. Da sempre. I piccoli editori hanno questo problema, fingere che non esista è un insulto per i lettori. Altrimenti, posso dirti che in Italia tutto si fa per il cartaceo e nulla si fa per i digitale.
Bacio!
Ciao Sandra,
apri un discorso veramente vasto e complesso.
Innanzitutto, voglio precisare che Bookolico non è interessata alla dicotomia cartaceo vs digitale. Detto altrimenti, noi, per quanto digitali, non intendiamo fare guerra al cartaceo. Il nostro scopo è offrire nuove opportunità di lettura, invogliando magari a leggere di più. Che poi questo avvenga su formato cartaceo o digitale, va bene lo stesso!
Più in generale, penso sia normale che il cartaceo non riesca più ad evolversi, mentre dal digitale nascono sempre nuove opportunità, sia per gli editori, sia per i lettori. La digitalizzazione è un processo irreversibile, non va osteggiato, semmai va gestito con cura. Anche musica e cinema sono ormai digitali… il libro arriva più lentamente, ma è destinato alla stessa sorte.
Ma questo non va vissuto come una disgrazia! Tutto sta nel cogliere le opportunità che solo il digitale può offrire, in aggiunta a quanto offerto finora dal cartaceo.
Spotify ha dato il colpo di grazia ad un agonizzante mondo della musica, riducendo a zero i già ormai esigui introiti derivati dalla vendita dei dischi. Gente che fa milioni di streaming di un dato brano e incassa cifre tra i 1000 e i 10000 dollari (una miseria, fate il conto). Gli artisti si organizzano di conseguenza, e puntano tutto su merchandising e concerti, e bene o male tirano avanti.
Ora immagina la stessa cosa in campo letterario. Spotify, come altri sistemi, ripartisce i ricavi tra gli artisti con lo stesso (sbagliatissimo, secondo me) meccanismo della siae: ricava non un fisso per ogni riproduzione, ma una cifra in base alla percentuale sulle riproduzioni totali (questo ovviamente penalizza gli artisti mimori).
Ora applicate un sistema del genere alla letteratura, che diventerà ancora meno remunerativa, e trovatemi un escamotage di sopravvivenza equivalente a concerti e merchandising. Non l’avete trovato, eh? Ecco, ora capite perchè dico a tutti: “pubblicate adesso, che tra dieci anni l’editoria sarà morta e sepolta”.
Ciao impossiball,
hai messo tanta carne al fuoco; rispondo per punti, così sono più ordinato e leggibile.
1) Non sono proprio sicuro che Spotify abbia dato il colpo di grazia all’industria musicale. Le case discografiche erano in crisi a causa della digitalizzazione dei brani: in pratica, tutti preferivano scaricare 1000 brani al mese gratis, piuttosto che comprare i cd. Spotify è un modo intelligente di cogliere le opportunità offerte dal digitale, anziché proseguire in una battaglia senza senso contro la pirateria. Spotify, insomma, ha capito che l’unico modo per combattere la pirateria, è non darle motivo di esistere. Penso che oggi le case discografiche percepiscano più introiti rispetto a qualche anno fa, proprio grazie a un modello come Spotify. Se così non fosse, che senso avrebbe, per loro, cedere i diritti d’autore a Spotify?
2) Il modello di distribuzione delle revenue operato da Spotify è il pay per view, ovvero ciascuno viene retribuito in base al numero di volte in cui il suo brano è stato ascoltato. Se si applicasse il modello che forse tu preferisci, cioè di versare una cifra fissa per ogni ascolto, si rischierebbe di sforare, perché Spotify potrebbe dover pagare alle case discografiche più soldi di quanto ha incassato dagli abbonamenti.
3) Speriamo che l’editoria non sarà mai morta e sepolta! Sicuramente sarà trasformata, ma non morta. Considera che gli editori sono i nostri partner: se muoiono loro, muore anche Bookolico. Pensi sia questo il nostro obiettivo?
Ciao!
Piccola premessa: niente di personale, il mio era un discorso totalmente generico. A voi auguro il meglio a prescindere, questo voglio che sia chiaro 😉
Veniamo alla “ciccia”. Il tuo discorso è corretto ma opera dal punto di vista sbagliato: case discografiche e case editrici. Il mio è un punto di vista dell’artista (suono in un gruppo rock indipendente, per cui è ovvio che quello sia il mio).
Ti consiglio vivamente di leggere questo post: http://www.aux.tv/2014/02/x-royalty-cheques-thatll-make-lose-faith-music-industry/
In particolare occhio all’immagine che compara i pagamenti e il numero di riproduzioni di brani (postata dai Camper Van Beethoven), e poi possiamo discutere se Spotify & co. abbiano migliorato o no la vita agli artisti. Tanta gente come me, fino a qualche anno fa, scaricava svariati dischi, ma poi un po’ ne comprava, specie quelli delle piccole band che con quei dischi ci finanziavano l’attività. Ora invece hai tutto sul pc (o sul cell se paghi l’abbonamento) ergo addio acquisto dei cd. Se i compensi che arrivano alle band fossero equivalenti a 5 anni fa, non avrei niente da dire; purtroppo invece non è così. E’ ovvio che i grandi artisti camperanno lo stesso, magari dovranno rinunciare alla seconda limousine, ma sapranno farsene una ragione. Sono quelli medi e piccoli che ne soffriranno di più, e in particolare quelli indipendenti che non hanno alle spalle grosse case discografiche (che magari hanno la forza di negoziare tariffe differenti). Per cui non dico che dare un tot fisso ad ogni riproduzione sia corretto, ma pagare persino meno di 0,001 euro lo trovo un furto bello e buono.
Cmq, come dicevo, i musicisti compensano con merchandising e concerti, per cui il lunario lo sbarcano così, stando sempre in giro. Ma gli scrittori? Ce lo vedi Andrea De Carlo presentare i suoi libri nelle librerie con affianco un banchetto del merchandising? Camilleri che vende sigari griffati Montalbano?
La mia preoccupazione, dunque, non è bookolico perchè, al momento, mi sembra una realtà piccola – anche se ha le carte in regola per crescere – ma l’idea che anche per la lettura passi il concetto di non pagare per leggere come è ormai passato quello di non pagare per ascoltare musica, il che va tutto a danno dei singoli autori, più che delle case editrici e discografiche.
Avevo capito non fosse nulla di personale contro di noi, figurati 😉
Adesso capisco meglio la tua prospettiva, e non è facile dare una risposta breve.
Anche in questo caso, quindi, penso sia meglio procedere per punti:
1) il problema delle scarse revenue all’autore è, nel mondo dell’editoria, un problema antico. Sul prezzo di copertina, l’autore guadagna generalmente meno del 10%; in più, sui contratti Editore-Autore, si trovano spesso clausole che penalizzano l’autore.
Ma questo, dicevo, è un problema antico. Allora la mia domanda provocatoria è: se in questo mondo gli editori si lamentano (da sempre) di essere in crisi, e gli autori si lamentano (da sempre) di venire pagati poco, e i lettori si lamentano per il prezzo alto dei libri… non sarà che il modello economico alla base dell’editoria non è sostenibile? Cioè, se in Italia circa il 60% delle persone non legge neanche un libro all’anno, dove li troviamo i soldi per far funzionare tutta la filiera (in cui, oltre ad editore e autore, ci sono mille altri professionisti da retribuire)?
2) Il modello dello streaming non è concorrenziale al modello dell’acquisto. Mi spiego meglio: se io pago una piccola cifra mensile per leggere tutti i libri che desidero, ci sarà sempre qualcuno di questi libri che vorrò possedere fisicamente (in cartaceo o digitale, dipende dai gusti). Se tu su Spotify puoi ascoltare tutta la musica che desideri, nulla ti impedisce di andare in negozio a comprare qualche disco. La differenza rispetto a prima, è che prima scaricavi quasi tutto e compravi poco. Oggi, quello che ieri scaricavi, lo ascolti in streaming, generando comunque delle revenue per chi detiene i diritti sull’opera. Nel caso di Spotify, a quanto vedo nell’articolo che hai linkato, queste revenue sono miserrime. Nel caso di Bookolico, sono decisamente più competitive, te lo garantisco 😉
3) Non ce lo vedo Camilleri a produrre i sigari Montalbano, è vero. Ma è anche vero che, nel mondo di oggi, tutto sta cambiando: l’avvento del digitale, il web 2.0 ecc. Insomma, è un mondo diverso, con delle logiche nuove. Alcune saranno forse più brutte rispetto al passato, altre saranno migliori.Quindi gli scrittori, oggi, devono gestire il loro lavoro diversamente da come facevano prima; ma, per loro fortuna, hanno tanti strumenti per poterlo fare.
Ne sta venendo fuori una discussione interessante… ma, se da un lato tu sottolinei eventuali punti critici dei modelli streaming, bisognerebbe anche parlare delle nuove opportunità che questi modelli aprono 😉
Ciao a tutti,
sono Marco Cardillo, uno dei fondatori di Bookolico.
Voglio innanzitutto ringraziare Chiara per l’articolo… ci fa piacere che il nostro progetto stimoli la curiosità degli addetti ai lavori.
Adesso rispondo alle vostre domande, così magari si avvia una bella discussione 😉
Il libro sta diventando sempre più digitale.
Confesso che la cosa non mi piace molto, ma contrastare certi processi è sempre stata una battaglia persa.
Perciò (parlo da autore) se la fruizione delle opere scritte passerà sempre più per la forma digitale, ben vengano soluzioni che evitino il proliferare incontrollato della pirateria e trovino modi per assicurare a chi scrive una forma di compenso.
Detto ciò va anche evidenziato che guadagnare con la scrittura è persino più difficile che guadagnare con la musica. La musica ha le esibizioni dal vivo, la letteratura no.
Chiaramente parliamo di musicisti e scrittori magari bravi, ma non famosi (per i famosi valgono altre considerazioni, che farò magari in futuro, dopo che mi avranno dato il Nobel eheheheeh).
Se a uno non interessa guadagnare scrivendo, allora chi se ne frega.
Se invece uno aspira a guadagnare qualcosa, per la – credo comprensibile – aspirazione a vivere del proprio lavoro di scrittore invece che di altro, allora iniziative come quella di cui si discute sono interessanti, ma – per gli autori – non sono la soluzione.
Perché, come diceva IMPOSSIBALL, anche realizzando numeri importanti di ascolto/lettura, all’autore (anello debole della catena), arrivano somme poco più che simboliche; esattamente come accade oggi con il cartaceo.
Oggi un autore che vende 5.000 copie cartacee di un romanzo pubblicato con una piccola casa editrice ha compiuto un’impresa da applausi (che riesce all’1% degli autori pubblicati), che però gli porta in tasca sì e no 1.000 euro (se l’editore è onesto). E intascando 1.000 euro l’anno è difficile licenziarsi dalla banca e mettersi a fare lo scrittore a tempo pieno…
Con i meccanismi di lettura on line tipo quello di cui si discute temo non cambi nulla: il libro dell’autore di cui sopra potrebbe essere letto in digitale migliaia di volte, magari decine di migliaia di volte, ma molto probabilmente, alla fine, l’autore si ritroverà in tasca somme non superiori a quelle di cui sopra.
Insomma sono soluzioni interessanti per l’editoria intesa come case editrici e relativo indotto costituito da professionisti (a loro volta sfruttatissimi) che fanno gli editor, i traduttori, ecc.
Un po’ meno per gli scrittori.
O, almeno, per quegli scrittori volgari, esosi e per nulla moderni che vorrebbero (orrore!) guadagnare da quello che scrivono, magari solo per pagare qualche rata del mutuo o per portare la moglie un fine settimana al mare 🙂
Ciao Silvio,
condivido le tue osservazioni. Ricollegandomi a quanto scritto nel precedente commento, il problema della remunerazione agli autori c’è sempre stato, come affermi tu stesso. I servizi digitali innovativi, secondo me, possono aprire nuove opportunità, ma non possono realizzare il sogno di chi, vendendo 5000 copie di un libro, vorrebbe trasformare la scrittura in una professione. Francamente, non penso esista qualcuno in grado di realizzare questo sogno…
Però, se è vero quello che dici, cioè che questi modelli digitali potrebbero essere una soluzione interessante per gli editori, allora, indirettamente, ne gioveranno anche gli autori!
Per prima cosa grazie, Marco, per questa bella chiacchierata.
Mi intrometto nella faccenda della remunerazione perché, spesso, parlando con gli aspiranti autori mi accorgo che a riguardo circolano leggende e i miti da sfatare.
Un autore esordiente, di norma, incassa il 6/7 per cento delle royalty. Percentuale che va ad aumentare in base alle vendite. Cioè, da contratto, se si superano le 15 mila, le 50mila copie eccetera… l’autore incassa il 10, il 14 per cento e via discorrendo.
Per semplificare, però, possiamo dire che su un prezzo medio di 15 euro, all’autore va un euro. E calcolando che, oggi, vendere 5mila copie è una impresa titanica, fate voi i vostri conti. Togliete tasse, e percentuali di un eventuale agente, ovvio.
I simpatici numeri da fascetta – decima ristampa, 100mila copie – e compagnia strillante, magari vanno bene per gli autori stranieri, ma da noi sono miraggi. O fenomeni che riguardano pochissimi nomi.
Vivere di scrittura? Roba da supereroi. Gli scrittori più fortunati hanno un comodo primo lavoro, gli altri si arrabattano con i mestieri del libro – editor, traduttori, ghostwriter – e tanti altri tengono corsi di scrittura.
Tutti, ma proprio tutti, si lamentano dei pochi lettori in Italia 😉
Ciao Chiara,
grazie a te per l’attenzione che hai rivolto al nostro servizio, e per l’opportunità di discutere apertamente di questi temi.
Sono d’accordo con il tuo discorso: il problema della remunerazione agli autori, come vari altri problemi, è un problema antico, intrinseco all’editoria. I modelli digitali magari non risolveranno tutti questi problemi, ma, allo stesso tempo, non ne sono la causa.
Un saluto a tutti. Per qualsiasi domanda, dubbio o critica, io sono qui 😉
Marco
Ciao a tutti…
Partiamo dal presupposto che quando mi sono trasferita ho accettato abbastanza compromessi sulla casa, tranne uno lo spazio per i libri e all’ultimo censimento erano circa un migliaio… quindi quando qualcuno mi dice che il cartaceo e’ destinato a sparire inorridisco e nn credo sia cosi chi è amante dello stampato lo resterà anche con l’avvento del digitale, è capitato anche a me di leggere qualche e-book ma nn sarà mai la stessa cosa, ciò nn toglie che può essere una bella soluzione per chi viaggia (l’altra mia droga) per avere a portata di mano un buon libro senza l’ingombro e il peso di un volume in valigia e senza l’imbarazzo di scegierne uno alla partenza che poi nn aprirai nemmeno perchè magari l’ispirazione del momento é diversa da quando lo hai messo in valigia prima di partire. Aggiungo inoltre che specialmente per i più giovani che sono sempre più informatici e meno lettori potrebbe essere una buona base di partenza per appassionarsi all’immenso viaggio della lettura e cmq credo che molto dipenda anche dal nostro modello culturale, faccio un esempio banale il primo regalo che ha ricevuto il mio nipotino è stato un libro e quando entra in casa mia la prima cosa che fa é correre a tirarli tutti fuori dagli scaffali, vive il libro nella sua quotidianità, con questo nn vuol dire che diventerà un divoratore della parola scritta ma quantomeno potrà scegliere di esserlo essendo stato “contaminato” da quel modello culturale, forse sbaglio ma credo sempre che la miglior forma di insegnamento sia l’esempio, in ogni ambito o contesto… per quanto riguarda la remunerazione credo sia proprio l’intero sistema economico ad essere fallato si é parlato di musica ed editoria ma posso assicurarvi che anche in altri settori nn é molto diffirente pensate al frutto che al supermercato pagate 4 euro al kg al produttore ne vanno in tasca dai 30 ai 50 centesimi e deve ancora toglierci tutte le spese sostenute di trattamenti e manodopera, per questo nn credo che il nocciolo della questione dovrebbe essere cartaceo o on-line ma avere un sistema sociale politico e culturale capace di valorizzare e remunerare correttamente chi produce un qualsiasi bene di consumo che sia un libro, un cd o un pomodoro mentre se ci pensiamo bene si tende a valorizzare la trasformazione e commercializzazione ma se nessuno producesse più tutti quelli che svolgono questi servizi cosa farebbero???
Grazie, Sesikala, per questo lungo e super condivisibile commento.
LA libreria è una parte magnifica della casa (mi è costata un’ernia l’ultimo trasloco! a furia di far scatoloni di libri…), il digitale è pratico e una grande opportunità da cavalcare (e io adoro comprare i libri quando voglio).
E sì, l’economia è fallata se a un produttore vanno in tasca dai 30 a i 50 centesimi…
Abbiamo bisogno di un po’ di onestà, di meriti, e sì di valorizzare competenze. Tanto bisogno.
Un abbraccio,
Chiara
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