Nel tempo di mezzo

Nel tempo di mezzo

Non riuscì a pronunciare per intero il suo nome. All’impiegato che glielo chiedeva riuscì a dire solo: Vincenzo. L’altro sollevò la testa per guardarlo fisso, facendo un movimento improvviso che produsse un effluvio sulfureo. Vincenzo sostenne il suo sguardo: era quello di un uomo di età incerta, nella categoria di coloro che ce l’avevano fatta, chissà come, a scampare la chiamata alle armi e ora si trovava lì, all’Ufficio smistamento e controllo documenti della Capitaneria di porto.
– E poi? – gli chiese l’addetto.
Vincenzo sorrise appena, quindi tirò fuori dalla tasca un foglio ingiallito che, in tempi di incertezza, si era dimostrato affidabile come la Bibbia o il Vangelo.
L’uomo ricevette il foglio con diffidenza, quasi si trattasse di qualcosa di sporco. In effetti non era nient’altro che carta cotta dal tempo e dall’essere stata a lungo custodita in tasca. Con cautela che si deve a un’antica pergamena, l’uomo lo distese posando i quattro lembi sul tavolo e spianandoli come se fossero le porzioni di un panno caldo di stiratura.
Si mise a leggere.
Ora che si apriva un’alba pallidissima dal mare Vincenzo poté osservarlo con attenzione. Era più giovane di quanto fosse sembrato a prima vista, aveva una  testa grossa, grigia, fresca di rasatura. Sul cuoio capelluto bianco fosforescente, fra gli aculei dei capelli falciati da poco, s potevano intravedere i segni rossi lasciati dai pidocchi. Per questo, si disse Vincenzo, tutto intorno a lui si avvertiva l’odore acre del petrolio e dello zolfo. Istintivamente si grattò la testa. Ritornò a chiedersi come mai quell’uomo che, ora ne era certo, non superava i trent’anni, avesse scampato la trincea. Perché lui, di se stesso, lo sapeva che era stato esonerato in quanto orfano di guerra, la Prima.
Intanto l’addetto allo smistamento finì di leggere, ripiegò in quattro il foglio e afferrandolo con la punta delle dita, come avrebbe fatto un paleografo, lo restituì al suo legittimo proprietario.
– Chironi Vincenzo, – disse tra sé l’uomo mentre trascriveva. Vincenzo lo guardò capendo che era proprio di lui che stava parlando. – Lo considero valido solo in quanto documento notarile bollato, e col disastro degli uffici bombardati adesso è un lusso. Ma in altri tempi sarebbe stato solo carta straccia, – specificò l’addetto con un accento pesante e una sintassi perfetta. – Ha un riferimento in Sardegna? – chiese subito dopo.
Vincenzo non capì la domanda. – Un riferimento? – ripeté. Quell’eco, quella parola ripetuta, dimostrò che tra lui e l’uomo dello smistamento c’era un mondo intero. Avevano pronunciato esattamente la stessa parola eppure il suono risultava talmente diverso da far sembrare differentissima quell’identità formale. Detta dall’impiegato sembrava grossa e pesante, ripetuta da Vincenzo pareva sottile e leggera.
– Ma lei è sardo? – chiese infatti l’addetto allo smistamento.  

Nel tempo di mezzo, Marcello Fois, Einaudi, p. 263 (20 euro)

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