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Incipit

Il cane di Shakespeare

Wolfsleach, quell’ingordo cagnaccio tutto pelo, stava giocando con Marr in mezzo al prato, e quando mi vide corrergli incontro con le zanne luccicanti cominciò ad agitarsi tutto sbavante e in preda al panico, e assestò a Marr un sonoro calcio nel posteriore che la mandò a piroettare sulle quattro zampe, frignando di rammarico per il divertimento interrotto e sbavando con la bocca giallastra. Tu, schifoso leccaculo, pensai, cagnaccio dalla lingua infetta di candida, in perenne fregola; che il diavolo ti porti. Gli addentai al volo pelliccia e cartilagine, e continuai a stringere. Blah brrr, oof grrr, bestiaccia ansimante e rognosa con piedi di porco al posto del cervello che ti strusci senza ritegno, e nel mio giardino! Qui ne va dell’onore, direbbe quel Due Zampe dagli occhi a palla. Beh, assaggerai il veleno dei miei denti, conoscerai la giusta ira e il castigo di Hooker. Avrai le punte dei miei artigli dove una volta avevi i gioielli di famiglia. Uff uff, warf warf, bestia maledetta.
Wolfsleach si era rimesso in piedi e si era dato alla fuga, lo smidollato, ma non poteva andare che da un muro all’altro o girare intorno a un olmo spoglio, cosicché, maldestro com’era, si ritrovò presto tra le mie grinfie ed essendo anche un vile commediante si mise a piangere con la coda tra le gambe. «Non pestatemi, Mr Hooker, stavo solo… non stavo facendo niente di male!». Così lo azzannai di nuovo, quel volgare furbastro, per aver mentito e per aver messo in mezzo la povera Marr, la quale si era ripresa dallo stordimento quel tanto da inseguirci da muro a muro e intorno all’olmo rattrappito, nonché mordere i calcagni all’uno e all’altro col risultato di farmi inciampare proprio mentre mettevo all’angolo Wolfsleach e gli affondavo più e più volte i denti nel muso ispido.
Pisciasotto! sbraitavo ansimando e sputando. Bastardo annusafoglie!
Era tutta la mattina che cercavo il bastardino, fin da quando mi ero accorto che aveva girato attorno a mia sorella Terry riuscendo alla fine a ingropparsela e per giunta a metterla incinta.
«Mi dispiace, Mr Hooker» piagnucolò quella testa di legno. «Non dovete dar peso alle apparenze. Mai e poi mai farei del male a vostra sorella Terry o alla vostra amata Marr, a cui stavo solo togliendo le pulci».

Il cane di Shakespeare, Leon Rooke, traduzione di Manuela Francescon, Elliot, p. 173 (16 euro)

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